I cavalieri antichi e
quelli nuovi
Il direttore mi aveva chiesto un breve commento ai risultati delle elezioni
amministrative del 20 novembre. Ci stavo provando, quando ecco parte il tam-tam
delle agenzie: Berlusconi «avvisato» per concorso in corruzione. Terremoto a
palazzo: crisi di governo o verifica? Subito o dopo la finanziaria? Fibrillano i
mercati, crolla la borsa, la lira è in caduta verticale. Il Presidente registra
una videocassetta e la manda ai tiggì. Non si dimette, né si dimetterà.
Contrattacca. Ma non sembra una tigre ferita, piuttosto un volpacchiotto finito
nella trappola del rubicondo contadino. Un copione già visto. Craxi, Forlani,
Pomicino, Gava, Di Lorenzo, i tanti attori della prima Tangentopoli, lo hanno
già recitato, probabilmente con maggior fantasia e professionalità. Ne ha per
tutti il cavaliere. Per il Presidente della Repubblica. Per la giustizia
«infame». Per l'informazione asservita. Per i poteri forti. Per gli orditori di
trame e complotti. Per il Grande Vecchio. Non arrossisce il cavaliere. I falchi,
ovviamente, gli fanno eco. (A proposito perché mortificare un così aristocratico
animale paragonandolo ai Previti, Maiolo, Sgarbi, Tajani, Larussa, Gasparri e
via elencando che, semmai, anche esteticamente, ricordano gli avvoltoi oppure al
Ferrara, Biondi, Pannella, Storace, fede ecc. che han tratti e movenze da
incrocio bovino-suino?) Scherzi a parte (e lo scherzo, purtroppo, è codesta
classe dirigente arrogante, incapace, rozza e famelica, caduta sulla testa degli
italiani come una punizione divina) tira brutta aria, direttore... bisogna esser
prudenti, responsabili, vigili e pronti. Se Berlusconi e le sue centurie non si
rendono conto che l'avviso dei giudici di Mani pulite è grave non in quanto
tale, ma perché cade su un conflitto di interessi che non ha eguali in Europa e
nel mondo, cavoli loro. Se non si capisce che non può essere consentita ad alcun
capo di un qualunque Governo democratico la condizione di monopolista delle
televisioni private e controllore di quelle pubbliche, di imprenditore con
interessi enormi, tutti colludenti con la funzione istituzionale esercitata, non
vale la pena sprecare fiato. O si è sordi, o ignoranti oppure in perfetta
malafede.
Ma non è questo il punto. Chi scrive preferisce le vittorie politiche e non ama
farsi scudo di azioni che appartengono all'autonomia dell'ordinamento
giudiziario. Che dev'essere, appunto, autonomo, indipendente ed immune dalla
tentazione d'invadere altri campi.
Ricordo soltanto agli avvoltoi che l'azione penale è obbligatoria e che essa non
può fermarsi dinanzi al portone di questo o talaltro palazzo. Sempre agli stessi
pennuti ed ai quadrupedi citati, ricordo che se essi hanno sempre goduto di
momenti di effimera gloria lo debbono a quegli stessi giudici contro i quali
oggi lanciano strali. Che quei giudici stanno facendo nulla di più e nulla di
meno del proprio dovere avendo dalla loro il sostegno del popolo italiano,
garanzia non di carriere politiche alle quali non vogliono accedere -avete già
dimenticato l'offerta ministeriale a Di Pietro ed il suo cortese rifiuto?- ma
della loro incolumità. Iddio gliela conservi. Ciò detto, torniamo al voto con il
quale due milioni e mezzo di italiani hanno espresso il loro giudizio
pesantemente negativo nei confronti della maggioranza di governo. I numeri son
numeri e quando sono così eloquenti fanno cadere nel ridicolo chi tenta di
leggerli prò domo sua. Quel voto -e non l'iniziativa del pool milanese- è assai
più di un campanello d'allarme, anche se, per il momento, neppure una campana a
morto. È la risposta vera, di uomini e donne in carne ed ossa, al selvaggio
liberismo dei neo-destri, alle spinte classiste e reazionarie,
all'antimeridionalismo e quant'altro. Esso è di poco successivo alla
straordinaria mobilitazione di un milione e mezzo di lavoratori di cui siamo
stati testimoni, ricavandone profonda impressione e duraturi insegnamenti. Per
non parlare delle centinaia di migliaia di studenti che ovunque si ritrovano,
con sano spirito ribellistico. Non importa se non hanno simboli e bandiere,
riferimenti e prospettive: è già tanto che siano stati strappati al karaoke, al
tentativo di cloroformizzare per sempre le coscienze.
Controcorrente, direttore, come sempre. Bisogna essere grati, infinitamente
grati, a questo cavaliere che non ha nulla a che vedere con la Tavola Rotonda, i
riti, i miti, il sacro, la fede. A questo anti-Lancillotto incipriato e ridens
che ha avuto il grande merito di provocare una reazione, prima individuale e poi
di massa, nella quale nessuno avrebbe scommesso.
Bisogna serbargli eterna gratitudine, soprattutto, per aver chiarito il più
grande equivoco della nostra recente storia repubblicana, con buona pace dei
buoni e degli ingenui. Il chi è del MSI, poi DN, poi costituente di destra per
la libertà, oggi AN. Il perché è nato, per fare cosa e per chi. Quando si avrà
il coraggio di bere quel calice amaro, interrogandosi sulla tolleranza dei
potenti di allora, molte pagine oscure e drammatiche della lunga notte della
repubblica saranno meno indecifrabili e l'operazione «Alleanza nazionale-destra
di governo» apparirà in tutta la sua straordinaria coerenza e continuità. Mi
sono detto, in questi giorni di scontro sociale non ancora concluso, osservando
i volti e gli sguardi di lavoratori, pensionati, disoccupati che domandavano -e
domandano- maggiore equità, giustizia sociale, un minimo di solidarietà...: se
Fini fosse davvero in buona fede, ovvero se la sua alleanza fosse solo un
momento tattico con l'obiettivo dì farsi sdoganare, beh, adesso dovrebbe venir
fuori qualche novità. Inconsciamente gli stavo dando una chance. Bastava che il
conflitto con Berlusconi, sul versante sociale, lo alimentasse lui. Avesse avuto
questa capacità avrebbe potuto aprire ancora un dialogo su altri versanti,
persino a sinistra. C'erano le condizioni storiche e politiche per farlo. Né gli
mancavano gli strumenti. Penso alla CISNaL che avrebbe potuto svolgere un ruolo
non solo sociale ma politico, davvero rivoluzionario. Invece tutti lì, ancora a
tentare di mettere mattoni e cemento sulle macerie di un muro che è
definitivamente crollato.
Tutti lì, come se il tempo si fosse fermato, al grido de «il comunismo non
passerà». Tutti lì, testa bassa dietro il capo, ad infilarsi come soldatini di
piombo in un imbuto dal quale difficilmente potranno uscire. Incapacità,
presunzione, bramosia del potere per il potere o c'è dell'altro.
Molti fatti sembrerebbero dimostrare che il sogno stia per finire. Durato
soltanto lo spazio di un'estate ubriacante, tra crociere mediterranee e riunioni
nelle residenze estive sulla Costa Smeralda delle quali resterà poca traccia
nella storia. Troppo grandi le vicende e gli scenari di questa fase di
transizione e di fine millennio o troppo piccoli loro? Un momento, direttore. E
noi? Che facciamo noi che abbiamo scelto di essere gli ultimi? Noi, che
attraverso "Tabularasa", pur tra contraddizioni ed incertezze, siamo rimasti in
piedi e, resistendo, abbiamo indicato una prospettiva diversa, un altro approdo?
Giorni fa, a Roma, ho rivisto Umberto: in gran spolvero. Mi diceva che sta
lavorando ad un appuntamento culturale sulla diaspora missina. Marco Tarchi a
Modena alla Festa nazionale de "l'Unità". Croppi che tiene una conferenza stampa
a Botteghe Oscure. Donnici che fa il tupamaro in Calabria ed insieme ad un
socialista lombardiano costituisce un gruppo laburista-federalista organico allo
schieramento «progressista». Errico che si crogiola tra rifondatori comunisti ed
intellettuali di sinistra. Su altri versanti, non meno interessanti, Fabrizio
Comencini che diventa capo dei leghisti veneti, una roba da 35 parlamentari.
Peppe Nanni amministratore esterno della Lega in Lombardia.
Qual è il filo rosso che unisce queste esperienze? Perché non trasformiamo
"Tabularasa" in vetrina per questo dibattito? Anziché continuare a fare
dietrologia, polemizzando -il rimprovero vale innanzi tutto per chi scrive- con
un ambiente che non ci appartiene (o al quale non apparteniamo) e che, a ben
vedere, non è mai stato il nostro. Di più, evitando di insistere sul fascismo,
se non in chiave di approfondimento culturale e critico di aspetti specifici,
esperienze, testimonianze, non ancora esplorate dal dibattito storiografico e
con caratteristiche di attualità. Cosa che riesce molto bene all'amico Landolfi
e che lascerei soltanto a lui. Non voglio rubarti il mestiere, vecchia
pellaccia. Oltre, ancora oltre. Questo hanno in sorte gli eretici. Eppoi, son
sogni poveri i nostri. Vengono da lontano, andranno lontano. Quand' anche
restassero soltanto sogni, poco male. Ai miei rampolli va bene così.
Beniamino Donnici
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