«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno III - n° 7 - 30 Novembre 1994

 

lo stato etico, i fondamentalismi, i dogmi
Historia magistra vitæ?


«Eventus docet: stultorum iste magister est»
(L'esperienza insegna; essa è la maestra degli stolti)
Tito Livio, "Storie", XXII, 39
 


Il buon Cicerone, nel secondo libro del De Oratore, considerato il suo capolavoro assoluto, decanta le virtù della Storia, a cui attribuisce il famoso epiteto di «magistra vitæ»; essa, infatti, attraverso gli insegnamenti del passato, insegnerebbe a regolarsi per l'avvenire. Ci permettiamo di dissentire almeno in parte da tale pur autorevolissima affermazione. Infatti, se ciò fosse vero, il mondo attuale non presenterebbe più gli errori o gli orrori registrati in passato; non vi dovrebbero esplodere conflitti di sorta, ma regnerebbe ovunque la pace, il benessere, la giustizia. Così non è, purtroppo, e le prove di quanto andiamo affermando sono sotto gli occhi di tutti.
Tuttavia, è pur vero che gli esseri umani più evoluti si differenziano dalla massa e, ascoltando la voce della coscienza più che gli impulsi irrazionali del proprio istinto e delle passioni, sanno far tesoro degli insegnamenti ricevuti dal passato più o meno recente.
Ciò, indubbiamente, fa ben sperare, anche se l'attuale quadro degli avvenimenti appare senz'altro sconfortante, inducendoci a propendere per la tesi dell'evoluzione individuale, non certo collettiva, cioè attuabile in contemporanea per tutti. Pertanto, intendiamo condurre in merito alcune considerazioni che riteniamo affatto peregrine.
Innanzitutto, rifacendoci alle sentenze degli antichi, che riconosciamo come maestri indiscussi di perfetta umanità e di profonda saggezza, amiamo ricordare il motto oraziano «culpam pcena premii comes», cioè il castigo segue come compagno la colpa. Quindi, si deve essere convinti del fatto che nessun delitto resti impunito in eterno e ciò, oltre a rassicurare i giusti e gli onesti, dovrebbe indurre i malvagi a riflettere sulle proprie azioni sconsiderate. Se è possibile, infatti, sfuggire a volte ai mezzi deterrenti escogitati dalla legge umana, è impossibile evitare i contraccolpi di quella legge morale che regola l'intero universo e che agisce in modo inesorabile, seppur del tutto impersonale, seguendo lo stesso principio di causa ed effetto che regola i fenomeni fisici. Tale legge, infatti, impedisce che l'inconsapevole disarmonia prodotta dalle azioni di uomini ignoranti vada oltre un certo segno, che potrebbe risultar disdicevole per l'equilibrio del Tutto, ed interviene appunto al fine di riprodurre lo stato di originaria perfezione.
Questa legge, ben conosciuta nell'antico Oriente col nome di legge del karma, opera al fine di risvegliare dapprima la ragione e poi la luce della coscienza in esseri umani non ancora sufficientemente evoluti, al fine di evitar loro gli spiacevoli contraccolpi derivanti da un sistema di cose congegnato in modo da correggere gradatamente l'errore attraverso il dolore, pur senza interferire minimamente nella libera scelta individuale. Essa, infine, non prospetta nemmeno -si badi bene- l'esistenza di un essere divino antropomorfizzato che intervenga nelle azioni umane in veste di giustiziere, evitando in tal modo ingenue e puerili interpretazioni della divinità, costruita a misura d'uomo dalle forme religiose più exoteriche. L'errore, quindi, viene cancellato dal dolore che scaturisce automaticamente dalle stesse azioni criminose. Tale processo può svolgersi sia nell'ambito di una vita terrena che nell'arco di più esistenze, secondo la dottrina della reincarnazione.
La legge agisce al momento opportuno, quando gli eventi siano maturati al punto di far incontrare nel diagramma cosmico gli assi cartesiani delle cause e degli effetti in un punto ben preciso. Il paragone usato non è casuale, dal momento che tutto avviene con precisione matematica, infallibilmente e con somma giustizia. In tal caso, non si può parlare di eletti, né di predestinati o di reprobi; piuttosto, ciascuno è «faber suæ fortunæ», cioè artefice del proprio destino ed apprende la lezione di pace, armonia, fratellanza e giustizia che regola il cosmo a sue spese.
Non c'è che dire: si tratta di un meccanismo ben congegnato, l'unico in grado di convincere gli erranti e non di costringerli all'obbedienza, ricorrendo a strumenti esteriori che lasciano il tempo che trovano o, nella migliore delle ipotesi, attuano un ordine apparente, ma certo non duraturo.
Non intendiamo, comunque, dilungarci oltre nell'illustrazione di quella che per noi è una verità, né, d'altra parte, desideriamo convincere alcuno in proposito; lasciamo che queste idee, antiche di millenni, penetrino nelle menti dei lettori e si sedimentino col tempo, forse suscitando delle resipiscenze utili all'accettazione delle stesse o anche solo riemergendo al momento giusto, quando saranno sentite come vere nel profondo del nostro essere. Lungi da noi, dunque, qualsiasi tentativo di proselitismo, che rappresenta pur sempre una violenza operata sulle coscienze individuali, le uniche deputate, in fondo, a decidere ogniqualvolta si debba procedere ad una scelta.
Tornando, quindi, all'assunto iniziale, siamo propensi a sostituire alla sentenza ciceroniana quella di Tito Livio, autore certo non meno autorevole dell'arpinate, il quale nelle sue Storie affermava, invece, che «evento docet: stultorum iste magister est»; cioè: l'esperienza insegna, essa è la maestra degli stolti. Pertanto, se si accetta tale visione delle cose, è inutile pensare di ricorrere a strumenti coercitivi o ad organizzare vendette, pubbliche o private che siano, contro il malvagio, perché tali strumenti non lo cambieranno mai nel profondo. Più utile sarebbe, invece, rieducarlo, collaborando in tal modo a risvegliare in lui la luce dello Spirito ricoperta da troppi detriti. Quando questo prevarrà sulla materia, l'errore si dissolverà come neve al sole, dal momento che due elementi di segno opposto s'annullano a vicenda. Ed anche questa è una legge matematica, indiscutibile e comprovata.
Abbiamo parlato testé di rieducazione; pertanto, è ovvio che, almeno in linea di principio, non siamo contrari allo Stato etico, a patto, però, che le sue funzioni non tendano a sovrapporsi a quelle della succitata legge di evoluzione universale, quanto piuttosto a fiancheggiarla, a stimolarla, ad accelerarla.
Per ottenere questi risultati, lo Stato con finalità etiche dovrebbe agire ad interim, cioè fintanto che nell'individuo non si sviluppino quelle tendenze positive che lo libereranno dalla schiavitù dell'errore. In quel preciso momento, lo Stato cessa di svolgere la funzione di educatore, avendo svolto le sue mansioni; esso deve, pertanto, dar fiducia al suo allievo e controllare se costui sia in grado di procedere da solo, facendo tesoro della lezione ricevuta.
L'individuo evoluto non ruberà o non ucciderà perché coartato dal timore dell'intervento dello Stato, delle sue multe, delle sue galere o pene capitali, bensì perché la legge finora a lui esterna è penetrata nel suo animo, è divenuta un habitus, una forma mentis che impedisce di commettere di nuovo gli sbagli d'una volta. A quel punto, ovviamente, viene meno la necessità di uno Stato, di gendarmi, di galere, di deterrenti di sorta. Siamo nella fase di quella che amiamo definire santa anarchia, non -per intenderci- quella bombarola, del disordine che distrugge e non costruisce alcunché, ma quella che sancisce una volta per tutte l'avvenuta liberazione dell'uomo da tutti i condizionamenti che l'avevano limitato, rendendolo più simile ad un bruto che ad un essere superiore quale in effetti egli è. Come tale, pertanto, l'individuo non conosce altro potere da quello che provenga dalla sua stessa coscienza, dal Maestro interiore, dal dàimon di socratica memoria, l'unica, vera, legittima Autorità che dovrebbe guidare ciascuno. Proprio come l'auriga di Platone, che tiene a freno il cavallo nero, simbolo della parte negativa da soggiogare, mentre incita quello bianco, che allude agli elementi positivi che sussistono in noi, a procedere con sicura baldanza.
Da quanto detto, dovrebbe essere chiaro come e quanto noi siamo contrari ad ogni forma di tirannide più o meno mascherata, non solo statuale, laica e politica, ma ancor peggio religiosa, che si arroga dei compiti che non le spettano e che, in ogni caso, tenta di prolungare all'infinito la sua pur utile funzione, se intesa in modo propedeutico, iniziale, strumentale.
Purtroppo, invece -e questo davvero è dimostrato dalla Storia, almeno a chi possiede occhi per vedere!- il potere politico e religioso che si è manifestato nei secoli ha sempre inteso prevaricare nei confronti dell'essere umano. Infatti, lo ha schiacciato sotto il peso della sua autorità, lo ha costretto ad uniformarsi al proprio volere, lo ha minacciato, terrorizzato, torturato, fìnanco ucciso. Non lo ha mai educato, però, nel senso etimologico della parola, dal latino «e + ducere»; cioè, non ha mai tentato di sollevarlo da una condizione inferiore ad una superiore, più evoluta.
Di ciò, a puro titolo di esempio, fa fede il linguaggio stesso usato dai padroni del vapore che hanno sempre parlato dell'umanità, anche quando si arrogavano il titolo di progressisti e di democratici (somma ipocrisia!) nei termini di «massa» o di «piazza», vocaboli indistinti, che evocano l'idea di un'omogeneità anodina, grigia, immutabile nei secoli, su cui il capo debba ergersi in eterno. Peggio ancora, quando si è ricorso al termine davvero odioso di «base» che evoca l'immagine di una pedana su cui ergersi ben piantati sulle gambe, senza la minima intenzione di rinunciare a quella arrogante posizione di comando e di privilegio.
Ciò detto e speriamo chiarito una volta per tutte, a mo' di corollario aggiungiamo solo qualche rapida considerazione relativamente ai fondamentalismi, oggi più che mai proliferanti nel mondo, nonché ai loro dogmi sempre più cristallizzati e, quindi, almeno secondo il nostro punto di vista, inutili e, al limite, pericolosi, dal momento che intendono fare classe unica dell'intera umanità, impedendo all'individuo di ragionare con la propria testa, di liberarsi dal principio d'autorità di funesta memoria (l'ipse dixit!) e di provare una buona volta a sé stesso ed al mondo la sua «nobilitade».
È vero che responsabilizzare l'individuo rappresenta una via rischiosa, non priva d'incognite, ma, se pensiamo che, prima di abbandonare l'essere umano a sé stesso, questo è stato preventivamente «educato» dallo Stato o da forme religiose e morali tese non tanto ad affermare il proprio potere senza limiti di spazio e di tempo, volto a possedere a volte addirittura sia la persona che l'anima, ma appunto preoccupate di stimolare l'evoluzione del singolo e della collettività, molte remore, dubbi, perplessità dovrebbero cadere.
L'importante, per concludere, è che sia lo Stato che le religioni si decidano ad orientarsi finalmente in tal senso, attuando una buona volta le loro specifiche funzioni, simili a quelle di un istruttore che insegni al suo allievo a camminare, oppure a nuotare, o ad andare in bicicletta e a cavallo. È ovvio che, quando l'allievo avrà appreso l'arte in questione, il maestro non riterrà più necessario seguirlo. Ciò, infatti, non avrebbe più senso, dal momento che l'istruttore avrà esaurito il suo precipuo compito. Abbiamo in mente la parabola del Buddha, quando disse ai suoi discepoli che il maestro è paragonabile ad una zattera necessaria per attraversare un fiume vorticoso; guadato il quale, nessuno si sognerebbe di caricarsi la zattera sulle spalle, gravandosi in tal modo di un peso del tutto inutile. A tal punto, anche i dogmi, tesi a ribadire verità di fede relative all'infallibilità dei maestri ed alla loro funzione eterna, da non discutere nemmeno, appaiono quanto mai ridicoli ed inopportuni agli occhi di chi s'è risvegliato alla Verità.
Vorremmo concludere davvero il nostro discorso, sperando di non aver annoiato nessuno, augurandoci piuttosto d'aver suscitato almeno qualche interesse o d'aver fornito argomenti di discussione, abitudine quanto mai utile ad una crescita, individuale o collettiva che sia, citando il motto virgiliano «spes sibi quisque», ciascuno sia speranza a sé stesso, ciascuno confidi nelle proprie forze, nei propri mezzi, nelle sue capacità. Ciascuno lavori, quindi, con impegno su sé stesso, per apprendere l'autocontrollo, l'autodominio, per realizzare la padronanza di tutto il suo essere, sia a livello fisico che istintuale e mentale. Questa e solo questa è la via della liberazione, della crescita interiore, dell'illuminazione; non certo l'obbedienza mostrata da un cane ammaestrato o da un bove melenso ad un padrone spesso per giunta violento, ingiusto, degenerato rispetto alle sue funzioni, mostruoso e tirannico parassita che non si perita di usare qualsiasi mezzo, in primis di lasciare nell'ignoranza più totale e nelle più ridicole superstizioni l'umanità intera, pur di procrastinare all'infinito il suo smisurato potere, ipocritamente mascherato dalla subdola immagine di Grande Fratello.


Alfredo Stirati

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