Il muro è dentro di noi
Ho ricevuto oggi (19.1.1995) l'ultima "Tabularasa". Credo di poter affermare,
dopo aver sfogliato sia pure rapidamente la rivista, che il mio ripetuto appello
-divenuto quasi una supplica- ad uscir fuori dalla solita discussione sulla
vicenda fascismo - msi alleanza nazionale, sia caduto nel vuoto. Devo, dunque,
riproporlo e chiedere al direttore ed agli amici della redazione di pronunciarsi
nel merito. Anche perché, Carli mi ha spedito una lettera «aperta» a me
indirizzata da Paolo Signorelli che, immagino, sarà pubblicata. Sicché anche il
prossimo numero sarà come il precedente ed il successivo e così via... in una
spirale che non porta da nessuna parte. Si può davvero continuare così? A che
serve? Cui prodest?
Non ho nulla da replicare alle argomentazioni ed al ragionamento che in quella
lettera viene svolto. Desidero, al contrario, ribadire l'inutilità di un
dibattito di questo tipo. Da quando la rivista è nata sono accadute tante cose
dentro e fuori di noi. Tutto è cambiato e continua rapidamente a cambiare. È
legittimo, per carità, che a qualcuno piaccia restar fermo. Nel castello o sulle
vette. Innamorati a tal punto delle proprie convinzioni, delle letture fatte,
delle lotte politiche duramente combattute, delle esperienze rivoluzionarie, dei
comportamenti sempre cristallini e puri, da rifiutare il vaglio non dico della
critica, quanto della propria coscienza.
Non altrettanto corretto ch'essi sbeffeggino chiunque abbia deciso di camminare
nel mondo dei vivi, ancorché miseri e mortali; di sporcarsi le mani nel fango
che ci circonda, magari per aprire un varco di pulizia e di libertà ai propri
figli: purtroppo nati in una società disabitata dagli dei, in un tempo in cui
gli eroi non hanno elmi, corazze e spade, ma abiti sporchi, volti scavati dalla
fatica e dalla fame.
C'è ancora chi s'illude di poter fermare il tempo scaricando le batterie del
proprio orologio? Avverto un crescente disagio che mi impedisce di scrivere, per
come vorrei, appunto di cose vere e vive: del qui ed ora.
Per usare termini psicoanalitici, dei quali mi scuso, mi pare che "Tabularasa"
sia in una fase schizofrenica. Due universi distinti, non comunicanti. Due
personalità, una delle quali bloccata su un determinato evento, incapace di
elaborare il tutto.
Ma il babbo è morto, amici miei. Chi ne ha nostalgia attenda di rivederlo nel
regno dei cieli. Ma non impedisca ad altri di vivere ciò che resta, fosse anche
l'ultima stagione. Tradimenti veri o presunti? Delusioni e disillusioni? Per
quanto tempo ancora bisognerà inseguire sentimenti, risentimenti, ombre,
fantasmi?
L'ambiente, la comunità, l'appartenenza. Concetti buoni per tutte le stagioni.
Come la coerenza, il prezzemolo della minestra.
Qualcuno continua a confondere il farsi male con le brillanti performances del
povero Fantozzi. Chi vuoi sfogarsi si accomodi. Ma se questa rivista dovesse
continuare ad essere tribuna per gli orfani, diario di piagnistei più o meno
strumentali, io non ci sto più. Dovrò rassegnare le dimissioni dal comitato di
redazione, non senza amarezza. Non vedo altro modo per segnare una differenza
politica sostanziale, irreversibile, nei confronti di un mondo che, come già
detto, non mi appartiene e che a ben vedere non è mai stato il mio. Le
divergenze non sono più componibili. Non è solo la lettera in questione. C'è
dell'altro e di più: basta leggere certi articoli, le tesi che vi si sostengono,
la forma con la quale vengono espresse. Ed anche la forma è sostanza, non è
vero?
Che c'è di male a pensarla diversamente? Sono passati quattro anni, perdio!, da
certi addii. Quattro anni durante i quali si è viaggiato alla velocità della
luce. Chi, come me, ha staccato il biglietto è ormai su un altro pianeta. Magari
sarà il pianeta delle scimmie, ma le distanze sono siderali. Impossibile
ripercorrerle in direzione contraria. Non esiste, come qualcuno sostiene, un
Donnici-pensiero. No davvero. Tra tantissimi difetti e limiti che mi trascino vi
sarà pure l'ambizione, la presunzione mai. Né la furbizia. Rispetto le scelte di
tutti, le opinioni di tutti, le coerenze, le incoerenze, le incongruenze di
chicchessia, almeno quanto le mie. Che, mi sia consentito, non son figlie del
trasformismo ma di una ricerca intima, profonda, dolorosa, liberatoria: del
resto documentata dalle riflessioni che ho affidato di volta in volta alla
rivista, spero in un italiano accettabile quanto comprensibile. Ad esse rimando
gli amanti della polemica, i censori di professione, che, guarda caso, non lo
sono mai verso sé stessi.
Aggiungo: forse aveva ragione Croppi quando ammoniva sul rischio
dell'avvitamento intorno alla solita spirale di area. Una sorta di perversione
che ci ha spesso trasformato in strumenti, altre volte in utili idioti. Per
iniziare Il cammino non c'era e non c'è altro che il soccorso della propria
solitudine. Il nuovo inizio in compagnia del silenzio. Lontano dai rumori, dal
chiacchiericcio, dall'ipocrisia ammantata di sacri princìpi, dalle menzogne
spacciate per verità.
L'ambiente, l'appartenenza, la comunità -quando si ha il coraggio di certe
scelte radicali e definitive- non possono esserci più. E non ci sono. C'è
ciascuno di noi, con la propria storia, per modesta che sia, con un po' di
valori nei quali continuare a credere. Per andare oltre, senza infingimenti,
senza strumentalità. Questo è stato il senso del progetto "Calabria Libera",
successivamente, "Unione Mediterranea". Altro che partitini o chiese, tessere ed
apparati come qualcuno si sarebbe augurato. Un luogo aperto di discussione e di
confronto, dove non hanno mai trovato riparo i pregiudizi, gli odi, i rancori,
le doppiezze, le ambiguità. Un luogo dal quale si entrava ed usciva, in assoluta
libertà...
Dal quale, tanto per esser chiari, quasi tutti quelli che provenivano dalla
cosiddetta area -che fatica usare ancora questi sostantivi!- sono andati via
all'indomani del 27 marzo. Né mi è mai passato per la testa di accusarli di
niente. Più volte l'ho detto: questo è il tempo delle libere scelte. Ed è scelta
anche il non scegliere, in attesa di tempi migliori.
Che fine hanno fatto "Calabria Libera" ed "Unione Mediterranea"? Semplicemente,
hanno realizzato le rispettive ragioni sociali. Le proposte, i temi, i contenuti
culturali e programmatici di quei movimenti sono diventati patrimonio di altri
gruppi, associazioni, partiti, con i quali discutiamo, operiamo, lavoriamo. In
amicizia e con reciproca stima e soddisfazione. Federalismo, meridionalismo
protagonista, nuovo modello di sviluppo, una grande rivoluzione nella politica
creditizia, il Mediterraneo come futuro mercato comune: non siamo più i soli a
parlarne. Il PDS, le altre forze della Sinistra, su questo versante, si
dimostrano persino più entusiasti e determinati.
Dovremmo lagnarcene?
Già, ma che vale parlarne? Il muro dell'intolleranza, dell'incomunicabilità è
dentro di noi. E quel muro non va giù da solo. Bisogna infilare le mani dentro
la carne. Tirarlo via, mattone dopo mattone, lo l'ho fatto, direttore, ed oggi
non avverto dolore. Le ferite si sono rimarginate. Semmai mi fa male che
"Tabularasa" stia perdendo, forse ha già perso, l'occasione di poter essere
davvero utile ai tanti che non ci conoscono, che vorrebbero discutere con noi
con animo aperto. Mi fa un po' male, certo. Ma anche questo dolore -come gli
altri- passerà.
Buona notte, vecchia pellaccia. Anche se è quasi l'alba e non riesco a staccare
gli occhi dal mare. Laggiù, sembra che si scosti dolcemente per far posto ai
primi rossi bagliori.
Beniamino Donnici
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