«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 1 - 31 Gennaio 1995

 

Il muro è dentro di noi



Ho ricevuto oggi (19.1.1995) l'ultima "Tabularasa". Credo di poter affermare, dopo aver sfogliato sia pure rapidamente la rivista, che il mio ripetuto appello -divenuto quasi una supplica- ad uscir fuori dalla solita discussione sulla vicenda fascismo - msi alleanza nazionale, sia caduto nel vuoto. Devo, dunque, riproporlo e chiedere al direttore ed agli amici della redazione di pronunciarsi nel merito. Anche perché, Carli mi ha spedito una lettera «aperta» a me indirizzata da Paolo Signorelli che, immagino, sarà pubblicata. Sicché anche il prossimo numero sarà come il precedente ed il successivo e così via... in una spirale che non porta da nessuna parte. Si può davvero continuare così? A che serve? Cui prodest?
Non ho nulla da replicare alle argomentazioni ed al ragionamento che in quella lettera viene svolto. Desidero, al contrario, ribadire l'inutilità di un dibattito di questo tipo. Da quando la rivista è nata sono accadute tante cose dentro e fuori di noi. Tutto è cambiato e continua rapidamente a cambiare. È legittimo, per carità, che a qualcuno piaccia restar fermo. Nel castello o sulle vette. Innamorati a tal punto delle proprie convinzioni, delle letture fatte, delle lotte politiche duramente combattute, delle esperienze rivoluzionarie, dei comportamenti sempre cristallini e puri, da rifiutare il vaglio non dico della critica, quanto della propria coscienza.
Non altrettanto corretto ch'essi sbeffeggino chiunque abbia deciso di camminare nel mondo dei vivi, ancorché miseri e mortali; di sporcarsi le mani nel fango che ci circonda, magari per aprire un varco di pulizia e di libertà ai propri figli: purtroppo nati in una società disabitata dagli dei, in un tempo in cui gli eroi non hanno elmi, corazze e spade, ma abiti sporchi, volti scavati dalla fatica e dalla fame.
C'è ancora chi s'illude di poter fermare il tempo scaricando le batterie del proprio orologio? Avverto un crescente disagio che mi impedisce di scrivere, per come vorrei, appunto di cose vere e vive: del qui ed ora.
Per usare termini psicoanalitici, dei quali mi scuso, mi pare che "Tabularasa" sia in una fase schizofrenica. Due universi distinti, non comunicanti. Due personalità, una delle quali bloccata su un determinato evento, incapace di elaborare il tutto.
Ma il babbo è morto, amici miei. Chi ne ha nostalgia attenda di rivederlo nel regno dei cieli. Ma non impedisca ad altri di vivere ciò che resta, fosse anche l'ultima stagione. Tradimenti veri o presunti? Delusioni e disillusioni? Per quanto tempo ancora bisognerà inseguire sentimenti, risentimenti, ombre, fantasmi?
L'ambiente, la comunità, l'appartenenza. Concetti buoni per tutte le stagioni. Come la coerenza, il prezzemolo della minestra.
Qualcuno continua a confondere il farsi male con le brillanti performances del povero Fantozzi. Chi vuoi sfogarsi si accomodi. Ma se questa rivista dovesse continuare ad essere tribuna per gli orfani, diario di piagnistei più o meno strumentali, io non ci sto più. Dovrò rassegnare le dimissioni dal comitato di redazione, non senza amarezza. Non vedo altro modo per segnare una differenza politica sostanziale, irreversibile, nei confronti di un mondo che, come già detto, non mi appartiene e che a ben vedere non è mai stato il mio. Le divergenze non sono più componibili. Non è solo la lettera in questione. C'è dell'altro e di più: basta leggere certi articoli, le tesi che vi si sostengono, la forma con la quale vengono espresse. Ed anche la forma è sostanza, non è vero?
Che c'è di male a pensarla diversamente? Sono passati quattro anni, perdio!, da certi addii. Quattro anni durante i quali si è viaggiato alla velocità della luce. Chi, come me, ha staccato il biglietto è ormai su un altro pianeta. Magari sarà il pianeta delle scimmie, ma le distanze sono siderali. Impossibile ripercorrerle in direzione contraria. Non esiste, come qualcuno sostiene, un Donnici-pensiero. No davvero. Tra tantissimi difetti e limiti che mi trascino vi sarà pure l'ambizione, la presunzione mai. Né la furbizia. Rispetto le scelte di tutti, le opinioni di tutti, le coerenze, le incoerenze, le incongruenze di chicchessia, almeno quanto le mie. Che, mi sia consentito, non son figlie del trasformismo ma di una ricerca intima, profonda, dolorosa, liberatoria: del resto documentata dalle riflessioni che ho affidato di volta in volta alla rivista, spero in un italiano accettabile quanto comprensibile. Ad esse rimando gli amanti della polemica, i censori di professione, che, guarda caso, non lo sono mai verso sé stessi.
Aggiungo: forse aveva ragione Croppi quando ammoniva sul rischio dell'avvitamento intorno alla solita spirale di area. Una sorta di perversione che ci ha spesso trasformato in strumenti, altre volte in utili idioti. Per iniziare Il cammino non c'era e non c'è altro che il soccorso della propria solitudine. Il nuovo inizio in compagnia del silenzio. Lontano dai rumori, dal chiacchiericcio, dall'ipocrisia ammantata di sacri princìpi, dalle menzogne spacciate per verità.
L'ambiente, l'appartenenza, la comunità -quando si ha il coraggio di certe scelte radicali e definitive- non possono esserci più. E non ci sono. C'è ciascuno di noi, con la propria storia, per modesta che sia, con un po' di valori nei quali continuare a credere. Per andare oltre, senza infingimenti, senza strumentalità. Questo è stato il senso del progetto "Calabria Libera", successivamente, "Unione Mediterranea". Altro che partitini o chiese, tessere ed apparati come qualcuno si sarebbe augurato. Un luogo aperto di discussione e di confronto, dove non hanno mai trovato riparo i pregiudizi, gli odi, i rancori, le doppiezze, le ambiguità. Un luogo dal quale si entrava ed usciva, in assoluta libertà...
Dal quale, tanto per esser chiari, quasi tutti quelli che provenivano dalla cosiddetta area -che fatica usare ancora questi sostantivi!- sono andati via all'indomani del 27 marzo. Né mi è mai passato per la testa di accusarli di niente. Più volte l'ho detto: questo è il tempo delle libere scelte. Ed è scelta anche il non scegliere, in attesa di tempi migliori.
Che fine hanno fatto "Calabria Libera" ed "Unione Mediterranea"? Semplicemente, hanno realizzato le rispettive ragioni sociali. Le proposte, i temi, i contenuti culturali e programmatici di quei movimenti sono diventati patrimonio di altri gruppi, associazioni, partiti, con i quali discutiamo, operiamo, lavoriamo. In amicizia e con reciproca stima e soddisfazione. Federalismo, meridionalismo protagonista, nuovo modello di sviluppo, una grande rivoluzione nella politica creditizia, il Mediterraneo come futuro mercato comune: non siamo più i soli a parlarne. Il PDS, le altre forze della Sinistra, su questo versante, si dimostrano persino più entusiasti e determinati.
Dovremmo lagnarcene?
Già, ma che vale parlarne? Il muro dell'intolleranza, dell'incomunicabilità è dentro di noi. E quel muro non va giù da solo. Bisogna infilare le mani dentro la carne. Tirarlo via, mattone dopo mattone, lo l'ho fatto, direttore, ed oggi non avverto dolore. Le ferite si sono rimarginate. Semmai mi fa male che "Tabularasa" stia perdendo, forse ha già perso, l'occasione di poter essere davvero utile ai tanti che non ci conoscono, che vorrebbero discutere con noi con animo aperto. Mi fa un po' male, certo. Ma anche questo dolore -come gli altri- passerà.
Buona notte, vecchia pellaccia. Anche se è quasi l'alba e non riesco a staccare gli occhi dal mare. Laggiù, sembra che si scosti dolcemente per far posto ai primi rossi bagliori.


Beniamino Donnici

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