Una proposta davvero risolutiva
Sovrappopolazione, sviluppo e condivisione
Il ruolo dell'Europa
«Qualsiasi considerazione sul futuro dell'Europa deve iniziare con una
riflessione sul passato...
Per molti popoli che vivono altrove, questa parte del mondo relativamente
piccola,
di nome Europa, non si caratterizza per una ricerca di dignità umana, di
libertà,
di giustizia sociale, ma per l'espansione coloniale, la schiavitù, il razzismo,
la discriminazione,
lo sfruttamento economico, la dominazione culturale e l'irresponsabilità
ecologica»
Assemblea Ecumenica di Basilea, 1989
Ci rendiamo perfettamente conto di come si tratti di un problema arduo, non solo
attualissimo e scottante, dibattuto in sedi diverse e con atteggiamenti opposti
a seconda dell'ottica dei soggetti che intendono affrontarlo, ma anche e
soprattutto impostato malamente o, quantomeno, in modo tale da eluderne ogni
volta la definitiva soluzione. Infatti, a nostro avviso, questa è a portata di
mano e molto più semplice di quanto non appaia a prima vista.
Forse, si tratta dell'uovo di Colombo -come suol dirsi- ma crediamo che non si
sia pervenuti, a tutt'oggi, ad impostare seriamente il problema con una reale
volontà di risolverlo per un duplice ordine di motivi: da una parte, perché
spesso le soluzioni ovvie non vengono nemmeno contemplate da chi possiede la
congenita capacità di complicare le cose già di per sé ingarbugliate;
dall'altra, perché (e questo, purtroppo, crediamo che sia il motivo reale) in
fondo non si vuole affatto mutare l'attuale status quo, evitando accuratamente
di portare la discussione su argomenti che potrebbero anche minimamente turbare
l'ordine (o il disordine?) costituito da tempo, che tende a cristallizzarsi in
eterno, divenendo in tal modo irreversibile. Al massimo, assistiamo a caute
aperture e concessioni formulate, però, in modo tale da non modificare
sostanzialmente la situazione.
Comunque stiano le cose, siamo certamente consapevoli della complessità del
problema, nonché dell'entità degli interessi in gioco; pertanto, non ci
illudiamo che le attuali scelte siano sconfessate a breve termine. Molta acqua
dovrà passare, infatti, ancora sotto i ponti e la situazione internazionale
senz'altro ancora peggiorare, speriamo senza giungere a livelli parossistici,
caotici e del tutto ingovernabili, prima che ci si decida ad agire con decisione
nel senso giusto, riducendo il numero degli interminabili colloqui, delle
estenuanti trattative e delle tavole rotonde o quadrate che siano, le quali in
fondo lasciano il tempo che trovano, ed iniziando ad operare finalmente con
fatti concreti.
Per tutte queste considerazioni, non intendiamo qui dilungarci più di tanto,
come non presumiamo di esaurire tutta l'estrema complessità della questione,
riducendola nel breve spazio di queste note. Più umilmente, invece, ci
proponiamo di fornire delle semplici indicazioni, di cui qualche individuo
dotato di buona volontà potrà far tesoro, nel momento in cui si decida che è
giunta l'ora per i politici, cioè di coloro che dovrebbero curare gli interessi
dei politici, cioè dei cittadini e, più generalmente, dell'intera umanità, non
tanto o, meglio, non più quelli di oligarchie plutocratiche per cui vale solo la
brutale legge imposta dal mercato e non il rispetto della persona, di provvedere
a raddrizzare almeno un po' l'andazzo imperante. Innanzitutto, vorremmo
contestare un luogo comune, purtroppo avallato dai mass-media, nonché dai bravi
gazzettieri di regime e, quindi, ormai divenuto un fermo convincimento da parte
della maggioranza degli abitanti dei Paesi ricchi (si pensi, dunque, all'enorme
responsabilità che grava sugli intellettuali e su tutti coloro che manovrano
impunemente l'opinione pubblica); ci riferiamo proprio alla radicata credenza
circa una sovrappopolazione del nostro pianeta.
Secondo noi, non esiste nulla di più falso e teniamo subito a precisare che non
si tratta assolutamente di un nostro parere personale, bensì di un'affermazione
che poggia su rigorose ed aggiornatissime indagini di tipo statistico e
scientifico, stilate però da quei pochi studiosi che non hanno ritenuto
opportuno di vendersi agli attuali detentori del potere od, ancor peggio, di
mandare i loro cervelli all'ammasso, abdicando alla facoltà critica e
raziocinante che contraddistingue l'essere umano. Da tali indagini risulta
chiaramente come i cinque, sei miliardi di individui che costituiscono l'attuale
popolazione planetaria non rappresentino affatto quel serio e drammatico
problema che si vuoi far credere da parte di chi non è disposto a rinunciare ai
propri privilegi; infatti, sembra proprio che la nostra vecchia Terra possa
agevolmente nutrirne, sfamarne ed allevarne tranquillamente il doppio od anche
il triplo, se correttamente ed amorevolmente coltivata dai suoi abitanti. Il
che, ovviamente, non potrebbe accadere, se il nostro pianeta continuasse a venir
ignobilmente ed indiscriminatamente sfruttato da una manica di criminali
incoscienti, da manigoldi in guanti bianchi che stanno, invece, distruggendo con
incredibile rapidità delle risorse preziose che andrebbero saggiamente
amministrate per il bene di tutti e non per soddisfare la loro insaziabile
ingordigia.
Ciò che andiamo affermando, per non restare nel vago e nel generico, è condiviso
da scienziati del calibro di un Jonas, fautore dell'etica della responsabilità
nei riguardi del futuro, di un Galtung, di un Papisca, sociologo umanitario
sostenitore dell'interdipendenza simmetrica tra le nazioni del mondo, o da
organismi internazionali come l'Unesco, il WWF, lo stesso ONU che nell'88 ha
saputo recepire l'importanza del «Rapporto Bruntland», allineato sulle stesse
posizioni. Recentemente, lo stesso Vaticano ha iniziato a condurre una critica
serrata al sistema capitalistico, di cui, seppur non sconfessandolo del tutto,
si auspica un ammorbidimento.
Pertanto, se la politica e l'economia mondiale scegliessero la strada da noi
prospettata, cioè quella di un impiego intelligente ed intensivo delle
potenziali risorse del pianeta Terra, pressocché infinite, nonché della
tolleranza, della solidarietà e dello sviluppo simmetrico, a soffrirne non
sarebbe davvero nessuno; anzi, le cose andrebbero senz'altro meglio e per il
verso giusto. Forse, a rimetterci (ma in modo in fondo relativo) sarebbero la
cosiddetta industria pesante o gli speculatori internazionali legati all'alta
finanza ed al sistema bancario. Certo, ci rendiamo conto che tali figuri, che
non si peritano certo d'arricchirsi col traffico d'armi e di droga o grazie al
riciclaggio del denaro più sporco che esista, non accetterebbero mai e poi mai
di veder diminuiti, anche se in modo infinitesimale, i loro spropositati
guadagni. Sarebbe come prospettare allo zio Paperone, che pure nuota nell'oro,
la perdita di un nichelino: una proposta oscena, che potrebbe comportare un
infarto allo sfondato capitalista. Per cui, nemmeno parlarne. Eppure, un
politico super partes (ce ne sarà rimasto almeno qualcuno!) dovrebbe proporre od
anche imporre, per evitare mali maggiori, di disciplinare l'indiscriminato
arricchimento dei già ricchi, riconvertendo le industrie di morte o
superinquinanti in industrie di pace, di vita, capaci di sfornare prodotti
socialmente ed universalmente utili. Ciò non comporterebbe a ben vedere -a parte
un piccolo arresto o lieve arretramento iniziale- nemmeno un tracollo nei
guadagni, che resterebbero comunque ingenti; da principio, occorrerebbe sì
ammortizzare i costi dovuti alla riconversione industriale, alla sostituzione
dei macchinari, alla formazione di nuove specializzazioni, ma l'inevitabile
perdita verrebbe riassorbita in tempi ragionevolmente brevi, non provocando la
rovina di nessuno e, tantomeno, un paventato (in realtà, sbandierato ad arte)
ritorno al Medioevo o all'età preindustriale. Molte cose, invece, cambierebbero
in meglio: ci sarebbe più occupazione (quanti latifondi, quante terre demaniali
incolte potrebbero essere affidate a privati cittadini, a cooperative, agli
stessi extracomunitari che chiedono lavoro!), migliorerebbe la qualità della
vita, dell'alimentazione; diminuirebbero le spese sanitarie, dovute in gran
parte agli effetti dei molteplici inquinamenti prodotti dalla civiltà (?)
industriale, nonché varie spese legate all'importazione, dal momento che molte
nazioni tornerebbero a conoscere l'autosufficienza almeno alimentare. È chiaro
che una riconversione così totale e drastica -stiamo proponendo, in fondo, un
deciso incremento di un'economia agricola e pastorale, supportata ovviamente
dalle industrie, dalla tecnologia e dalla ricerca scientifica più avanzata-
avrebbe bisogno anche di una campagna educativa e d'informazione condotta non
solo da politici illuminati, ma appoggiata anche da intellettuali, da
insegnanti, da filantropi, da strenui sostenitori e financo da generosi
finanziatori. Dove trovare tanti idealisti? Forse, l'unico reale problema di
difficile, se non impossibile, soluzione è questo. Dove trovare tanti
coraggiosi? Sì, perché le reazioni a tale proposta sarebbero anche violente; c'è
da aspettarselo, visti i tempi che corrono.
Pertanto, ci sarebbe da rischiare; forse, anche la vita; nello stesso tempo,
però, occorre convincersi che questo è l'unico mezzo per uscire dalle sabbie
mobili che ci hanno intrappolato, minacciando d'inghiottirci tutti: sfruttati e
sfruttatori, oppressi ed oppressori, vincitori (?) e vinti.
Non riteniamo davvero eccessivo parlare di sabbie mobili, che evocano l'immagine
e l'idea di una morte atroce, di fronte ai rischi reali, incombenti su tutto il
genere umano. Come definireste la catastrofe ambientale che minaccia di
distruggere tutto e tutti? Il buco nell'ozono, l'effetto serra, l'inquinamento
dell'aria, dell'acqua, della terra, quello acustico? Che dire dello stress a cui
ci sottopongono i ritmi sempre più ossessivi della civiltà (?) tecnologica? Che
dire della paurosa diffusione delle droghe, dell'alcoolismo, del tabagismo e,
peggio, dei suicidi -degli adolescenti in primis-, dello scatenarsi della
violenza più bestiale, evidenti sintomi di profondo malessere proprio nella
società definita del benessere? Che dire delle crescenti tensioni
internazionali, del terrorismo, dei fondamentalismi sempre più intransigenti,
spesso frutto d'immotivate chiusure e di assurdi dinieghi nei confronti del
riconoscimento dei diritti dei popoli terzomondisti da parte dei fautori del
neocolonialismo economico? Se si fosse costituito davvero il migliore dei mondi
possibili, come spiegare allora le ansie, le paure, i dubbi, la fragilità che
caratterizzano l'uomo moderno? Tutti mali da cui l'uomo antico era senz'altro
meno vittima, se non del tutto immune.
Dovendo, pertanto, operare un bilancio tra i beni acquisiti e quelli perduti,
non siamo tanto certi che il piatto penda nella direzione dell'attuale
consumismo. D'altra parte, il dubbio che il gioco non valga la candela si va
insinuando nelle menti degli stessi scienziati più onesti. Aspre critiche,
infatti, si levano proprio dal mondo della scienza o dell'intellighentsia più
avanzata contro un sistema che fa acqua da tutte le parti. A tal proposito,
invitiamo i nostri lettori a leggere le opere del fisico americano Fritjof
Capra, che costituiscono un'aspra ed impietosa denuncia dell'attuale ciclo
storico. Quindi, in fondo, non ci sentiamo tanto soli; anzi, senz'altro siamo in
buona compagnia. In fondo, quella che è stata definita la sindrome del
millenarismo, cioè il risvegliarsi, alle soglie del terzo millennio, di ataviche
paure legate ad una visione apocalittica davvero inquietante, che agita le menti
più sensibili di pensatori italiani e stranieri a noi contemporanei e non -da
Quinzio a Bobbio, dai fondamentalisti verdi Pucci e Berry a Tolstoi e Gandhi, da
Wittgenstein a Cacciari, da Severino a Di Majo, per non parlare degli autori del
rapporto stilato dal Word Watch Institute che danno solo pochi anni di tempo per
rimediare ai guasti subiti dal pianeta- non è poi così sciocca o deleteria come
potrebbe sembrare. Forse, potrebbe stimolare invece e provocare una salutare
reazione al sistema imperante.
Del resto, tutto cambia, tutto evolve, tutto può essere rivedibile e
reversibile. Abbiamo assistito a repentini ed inimmaginabili cambiamenti proprio
in questi ultimi anni, non ultimo alla caduta del sistema comunista; la storia
ci ha mostrato tragedie e crolli anche peggiori, come quello dell'impero romano,
che ha comportato un regresso nell'intero occidente europeo.
Ora, se tutto può essere corretto o è destinato a tramontare, per far posto a
nuove esperienze od occasioni di sviluppo, perché non sarebbe ipotizzabile un
cambiamento, anche radicale, nel sistema capitalistico che s'è imposto in Europa
e nei Paesi da essa colonizzati in fondo da solo duecento anni? Perché questa
presunzione d'infallibilità e d'eternità da parte dei miopi sostenitori di un
sistema di cui, ad essere onesti, anche l'uomo della strada dovrebbe riconoscere
il totale fallimento? Non vediamo nulla di tragico o di sconvolgente in tutto
ciò. Anzi, come dicevamo prima, solo una seria possibilità per attuare un sicuro
miglioramento della qualità della vita. Pertanto, scartata l'ipotesi di uno
sviluppo omogeneizzante tutti i popoli della Terra, perché fondamentalmente
sfruttatore e neocolonialista; viste anche le reazioni negative da parte delle
nazioni che avrebbero dovuto essere «interessate» a tale processo; proprio per
evitare ulteriori tensioni o, peggio, scontri davvero apocalittici tra popoli
ricchi ed armati (in minoranza, però) e sterminate masse di diseredati
reclamanti il loro sacrosanto diritto alla sopravvivenza (il mito di Gog e Magog!),
l'unica alternativa consiste nell'integrazione e nell'assimilazione reciproca.
Occorre sviluppare una cultura ed una pratica della tolleranza,
dell'accettazione, della condivisione. Se proprio non si vogliono intendere
ragioni, che prevalga almeno lo stesso senso dell'utilitarismo; sì, perché
sei-settecento milioni, o giù di lì, di individui ricchi e benestanti non
possono certo chiudersi a riccio nelle loro fortezze, armati fino ai denti, per
resistere alle legittime richieste di popoli che reclamano la loro parte.
Riteniamo, e crediamo proprio a ragion veduta, che non si possa assolutamente
continuare a propugnare l'obsoleto ideale guerrafondaio ed imperialista
sostenuto un tempo dai Romani ed oggi dagli statisti fautori dell'equilibrio del
terrore, fondato sul motto: «si vis pacem, para bellum». Pensiamo, invece, che
chi vuole davvero la pace debba operare per instaurare la giustizia nel mondo.
In tal senso, l'Europa potrebbe e dovrebbe senz'altro svolgere un ruolo
determinante, ergendosi a paladina dei diritti degli oppressi dall'onnivoro
potere della plutocrazia internazionale e ricavandone in cambio il favore,
l'amicizia e, quindi, anche vantaggiosi accordi di tipo politico ed economico.
Sfruttando poi la sua posizione geografica davvero particolarissima, il vecchio
continente potrebbe e dovrebbe volgere il suo sguardo ai Paesi emergenti e
limitrofi del Medioriente, ricchi di risorse umane e di preziose materie prime,
nonché, contemporaneamente, a quelli dell'America Latina, dell'India e
dell'Estremo Oriente, creando una solida alleanza tra Nazioni neutrali, libere
da influssi e condizionamenti propri del deleterio colonialismo anglosassone.
Tale oculata politica permetterebbe -ne siamo certi- alle genti che ne facessero
parte di raggiungere un benessere finora mai conosciuto, nonché di attenuare e
sciogliere definitivamente tutti i motivi di conflitto e di tensione che tanto
angustiano il mondo contemporaneo. Ciò non è poco; eppure, a noi sembra molto
semplice ed a portata di mano, purché vi si creda fermamente e lo si persegua
con salda volontà. Il nuovo mondo del terzo millennio dovrebbe, infine,
scegliere di poggiare la sua struttura sulle imperiture basi della Saggezza dei
popoli di più antica tradizione -dalla Cina al Giappone, dall'India all'Egitto,
dalla Grecia a Roma- che rappresenterebbe davvero, col suo retaggio di profonda
cultura e di vera civiltà, un faro ed un chiaro punto di riferimento per le
altre nazioni che rivelassero l'intenzione di associarsi a tale sistema di
alleanze fondato sul rispetto reciproco, sulla tolleranza, sulla condivisione,
presupposti irrinunciabili per un sicuro sviluppo, indici di reale evoluzione,
di conseguita maturità di giudizio.
Non si può continuare ad imporre la visione del mondo propria della razza bianca
all'intero pianeta. Consideriamo in modo obiettivo i danni che essa ha
comportato, le ingiustizie che ha compiuto, gli orrori e la violenza che ha
seminato nei secoli di storia che l'hanno vista dominatrice.
Dovremmo, piuttosto, condurre una seria autocritica e, senza rinunciare al
nostro migliore retaggio -quello della cultura, della filosofia, dell'arte-
tendere una mano a chi soffre per secoli di sfruttamento ed emarginazione ed
accettare di dividere la torta con altri fratelli, a prescindere dalle barriere
artificiosamente create da chi era mosso dall'esclusivo interesse personale o di
casta. È un appello che viene dal cuore e dalla ragione, insieme; da chi, come
noi, non possiede le carte in regola per proporsi come guida di nessuno, ma che
non ha interessi da difendere e che parla al di sopra delle parti e delle
fazioni d'ogni genere, dopo averne sperimentata la fallacia, però. Ci auguriamo
che prevalga una autentica cultura della solidarietà tra i popoli, finalmente al
di fuori della deleteria logica del mercato che sta distruggendo un pianeta
assieme ai suoi abitanti, divenuti oggetti, mezzi di produzione, robots, numeri
e non più persone.
Siamo fermamente convinti che uscire dal capitalismo non rappresenti affatto un
dramma, bensì l'inizio di un'era nuova.
Ci auguriamo che prevalga il positivo sul negativo; altrimenti, non c'è da
illudersi circa un futuro migliore; anzi, forse non c'è da sperare nemmeno nel
futuro.
Alfredo Stirati
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