«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995

 

Un ultimo viaggio: verso Utopia


«... Coraggio come mai prima, come mai prima squallore.
Giovane sangue e alto sangue,
fresche guance e bei corpi;
fortezza come mai prima,
come mai prima candore,
delusioni mai dette ai vecchi giorni,
deliri, confessioni di trincea,
e risate da ventri morti»
(Ezra Pound, “Hugh Selwyn Mauberley”)

 


Caro direttore,
è la giovane amica di Milano che le scrive, quella che non sogna più, quella che sta sognando ancora, per un'ultima volta.
Le scrivo in un momento di immenso disagio interiore, di scoramento, di svuotamento, di buio, di vuoto, di solitudine, di abulìa e di stanchezza, ritrovandomi così pienamente nel suo articolo di copertina del mese di dicembre.
Ho letto e riletto le sue parole, quelle sue parole, arrabbiandomi con lei, con quanti con i nostri sogni e forse anche con i vostri hanno giocato, arrabbiandomi con me stessa e con le mie generazioni senza santi né eroi ma, le assicuro, con tanto orgoglio e tanta purezza, con nessuna intenzione di rimanere immersa nella putrida palude di quest'Italia dei giorni nostri.
È questo un mio personalissimo sfogo, un grido di ribellione e di dolore per ciò che ho visto compiersi, sotto i miei increduli occhi, in quel di Fiuggi, gli scorsi giorni di gennaio ed altrove subito dopo. Le assicuro che per un qualsiasi giovane cresciuto leggendo Berto Ricci, ascoltando i racconti di quanti avevano sognato con Beppe Niccolai, graffiandosi all'occorrenza per poi ricominciare, vagando per spazi senza tempo inseguendo le parole di Evola, poetando con Pound, rimpiangendo quella «generazione che non si arrese» di quel Pisano che solo ora difende ciò su cui da tempo continuava a sputare, è difficile sognare, è difficile non abbandonare.
Sono questi giorni di analisi profondissima, di ricerca incessante di errori commessi da noi, da voi... Ci avete insegnato a sognare, ci avete condotto per quella che eravate convinti fosse la retta via, ci avete iniettato gli ideali, insegnato le canzoni... Ci avete fatto sentire forti, diversi e speciali per poi arrivare ad un momento in cui avete deciso di toglierci tutto, mettendo in discussione ogni cosa, ogni principio, ogni valore, ogni sogno, tutto tranne voi stessi. Avete fatto tutto questo rendendo, ora sì, la nostra vita miserevole... È vero che pensavamo «ad un nuovo modo di concepire la vita» ma non era quello da lei, provocatoriamente, descritto nelle sue righe.
Tuttavia, per noi, però, non si trattava di una novità, bensì di un ritorno di quei nobili ideali che avevano spinto i nostri padri in quella che fu la splendida ed irripetibile Repubblica Sociale Italiana.
Lei ha indubbiamente generalizzato, sicuramente sognato ed è evidente che, anche per quanto riguarda me, non a lei ho indirizzato la mia rabbia, la mia delusione, il mio disprezzo.
Cerchi tuttavia, pur non immedesimandosi con noi, di pensare a quanto con noi siate stati ingiusti, quanto ci abbiate ingannato, quanto poco ci abbiate dato, quanto ci abbiate sicuramente tolto, quanto lontano ci abbiate portato per poi dirci che non era più la strada giusta, mettendo così in discussione non solo la mèta ma l'intero viaggio.
Volete forse riconoscenza? Beh, non l'avrete. Volete sentirci dire «Mea culpa»? Beh, non lo diremo. Siamo molto arrabbiati, ci sentiamo feriti nel profondo. Non veniteci quindi a parlare di sogni, perché, in fondo, dei nostri sogni avete sempre avuto paura e quindi, meschinamente, ce ne avete privato.
 

Roberta Capotosti

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