Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995
F(i)uggiaschi?
Sai bene che non ti lascerei
solo. La tua oscura fatica mi è preziosa lezione di vita. Ricordo Beppe
Niccolai, a Sorrento. L'ultima tribuna: «Non applaudite, sto male, lasciatemi
parlare ...». Mi sembra di rivederlo in qualche lampo severo dei tuoi occhi, di
leggere il suo inedito testamento in ciò che scrivi. Non v'è traccia
d'ipocrisia! Vecchi, savi amici di un altro tempo, in un'altra dimensione. Epperò, il mio nome in riga davanti o dietro al loro non ce lo voglio più! Non avrebbe senso. Quella che stiamo vivendo non è una finzione. La destra affila le dentiere. Mostra il suo volto. Il suo disegno viene da lontano. Questa destra italiana, senza ulteriori inutili aggettivi, vuole il potere. È determinata ad ottenerlo con qualsiasi mezzo. Se non ci svegliamo presto dal letargo della volontà nel quale siamo sprofondati, lo otterrà. Ricordiamo il piano di rinascita nazionale della P2? Tabularasa. Non della memoria. A te la palla, vecchia pellaccia. Chissà che «gli altri» non si facciano vivi... prima o poi.
Voci malevole, non sappiamo
quanto informate, scommetterebbero che dietro il gran polverone della annunciata
«rifondazione nera» ci sia un bluff: una sorta di intesa segreta tra alleati
nazionali e promotori dei comitati per la difesa del MSI, sulla base di una
reciproca convenienza: accreditare la svolta democratica, liberale e liberista
dei primi, affrancandoli dal pesante retaggio di dottrine corporativistiche e
socializzatrici, fino a ieri riferimento programmatico di tutti i militanti e
dirigenti di area finiana; regalare ai secondi, capitanati da personalità oramai
in età di quiescenza, momenti di effimera gloria, una dignitosa via di fuga, la
sistemazione di qualche rampante amico. Evento: la svolta di Fiuggi. Postulato: il definitivo sdoganamento della alleanza nazionale. Corollario: una scissione lungamente annunciata e fortemente voluta dall'establishment di via della Scrofa. Personalmente, non ho colto in questo processo -sembrato, a tratti, un semplice procedimento- segnali sostanziali di serio travaglio, né quelle lacerazioni e costi che sempre si sopportano, in casi come questo. Senza andar troppo lontano, per esempio alla occhettiana bolognina dalla quale, in tempi non sospetti, si arrivò alla costituzione del PDS con tanto di prezzo durissimo pagato sull'estrema sinistra, ci sono casi più recenti, altrettanto emblematici. Basti pensare a quanto avvenuto in casa democristiana, oppure all'implosione della Lega. L'evoluzione bipolare, se non addirittura bipartitica, della politica italiana lasciava presagire dirompenti tensioni lungo il percorso post-missino. Covavano, infatti, sotto la fiamma, magari tra le ceneri della combustione, divisioni e contrasti ideologici, persino ontologici, che avrebbero motivato ben diverse riflessioni, analisi, approfondimenti, in un congresso dove passerelle e défilé degni dell'ultimo craxismo hanno preso il posto di tesi politiche all'altezza dell'occasione. Due anime, con alterne fortune, si son date battaglia nel partito di che trattasi, sin dati tempi di Michelini, poi con Almirante e Rauti, da ultimo con l'on. Fini che, «sapientemente», ha rimosso quella più scomoda e pericolosa alla strategia di costruzione di una destra tatcheriana-gollista. Due anime: da una parte la sinistra popolare-nazionale, radicale, rivoluzionaria, libertaria, terzomondista; dall'altra la destra moderata, filo-americana, perbenista, benpensante, tutta ordine e stato.
Due anime sulle cui profonde
radici getta volentieri squarci di lucida analisi l'amico Landolfi, oltre
-ovviamente- la più avveduta ed illuminata storiografia del fascismo. Che questo
contrasto fosse divenuto oramai insanabile fu dimostrato da un altro evento di
rottura, in verità ben serio e complesso, passato sotto silenzio per il
black-out dei media e l'immaturità, allora, di gran parte della sinistra
italiana: la «fuoriuscita» dal MSI-DN di un gruppo di dirigenti nazionali, tra i
quali chi scrive, durante il travagliatissimo Comitato centrale del luglio 1991
che sancì l'incredibile passaggio di consegne tra la segreteria Rauti e la
seconda, fortunatissima, gestione Fini. C'erano, allora, ben evidenti i segni
della svolta moderata di quel partito. In quell'assise furono gettate le basi
della futura «alleanza nazionale», nuovo contenitore del conservatorismo
italiano che la tempesta di Tangentopoli avrebbe presto privato Così non fu. Ce ne rammaricammo. Andammo lo stesso avanti. E fu assai indicativa la circostanza che, all'epoca, le parti (in senso pirandelliano) fossero esattamente capovolte. A stimolare, infatti, le corde del nostalgismo, dell'ortodossia ideologico-dottrinaria, della continuità ideale col fascismo, non era certo chi «usciva», ma chi restava «dentro»: ovvero, l'intero entourage post-almirantiano, Fini in testa. Era chi usciva a venir bollato come traditore e «sovversivo», sol perché poneva l'esigenza di fondazione ex-novo di un movimento aperto -dopo il crollo dei muri e la crisi delle ideologie- al confronto, all'alleanza con le grandi aree popolari e sociali del nostro Paese: in definitiva, con la sinistra post-marxista. I fatti successivi dimostrarono che il processo di rivisitazione storica dell'esperienza fascista, poi missina, era inevitabile. Tuttavia -ecco il punto!- nelle intenzioni della nomenklatura, esso doveva portare a tutt'altro approdo: infine conquistato a Fiuggi, con la benedizione dei centri di potere economico e finanziario, di parte influente della gerarchia vaticana, di non pochi settori occulti che non hanno smesso di condizionare le vicende del nostro Paese. Ora, al di là della simpatia con la quale lo seguiamo, il tentativo di Rauti contiene indubbiamente elementi di intempestività ed il conseguente rischio di diventare funzionale al progetto finiano. Un rischio di per sé ineliminabile che tuttavia può essere ridotto. Nulla, infatti, è scontato in politica e molto dipende dalla capacità di incidere positivamente sulle circostanze esterne, quand'anche sfavorevoli. Va, dunque, evitata ogni banalizzazione folcloristico-nostalgica che è il vero pericolo mortale con il quale dovrà cimentarsi Pino Rauti. Parimenti, occorrerà costruire, sul piano culturale e politico, le condizioni per un dibattito che potrebbe rivelarsi originalissimo ed assai stimolante.
Senza fermarsi alle prime,
prevedibili, difficoltà. Anche Tabularasa vi potrebbe contribuire. Non già come foglio organico, o sospetto tale, di una rifondazione i cui esiti sono tutti da verificare, ma come rivista già collocata -senza ambiguità od incertezze- sul versante alternativo alla destra.
Questa rivista, se mi è
consentito scriverlo, nasce da una comune, sottintesa volontà: lavorare alla
ricomposizione delle scissioni del '14 e del '21. Questo lo spirito. Questo il
comune sentire. Chi ancora si ostina a vedere in quelle scissioni prospettive
politiche può suscitare tenerezza, ma è certo fuori dal tempo e dalla storia. Beniamino Donnici
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A.C. |