«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995

 

F(i)uggiaschi?


La verità, vecchia pellaccia, può apparire a volte «provocatoria». Qualcuno ha insegnato a non smettere di cercarla, rovistando meglio coscienze non immuni dal peccato.
Capita sovente che l'altrui incertezza, l'indeterminatezza pigra o consapevole, favorisca i mistificatori. E ce n'è tanti sul proscenio di questo decadente spettacolo.

Sai bene che non ti lascerei solo. La tua oscura fatica mi è preziosa lezione di vita. Ricordo Beppe Niccolai, a Sorrento. L'ultima tribuna: «Non applaudite, sto male, lasciatemi parlare ...». Mi sembra di rivederlo in qualche lampo severo dei tuoi occhi, di leggere il suo inedito testamento in ciò che scrivi. Non v'è traccia d'ipocrisia!
Perciò insisto. Altro è la collaborazione che non farei mancare alla rivista, altro la condivisione -in quanto componente il comitato di redazione- di tutto ciò che su Tabularasa viene rappresentato, spesso in stridente contraddizione. Ciò che, a mio avviso, non vivifica affatto il dibattito, ma rischia di sterilizzarlo. Beninteso, non ho mai pensato che questo foglio -parte importante della nostra vita- dovesse diventare un «bollettino» parrocchiale. Ma che dovesse avere una linea, questo sì. Aperto ad ogni contributo, libero da censure, lontano da pregiudizi e tabù, senza paletti, ma neppure sospeso in aria... mentre a terra, nel fango, si costruiscono barricate, si scavano trincee. Bisogna pur scegliere da che parte stare. L'ha fatto, da sempre Buttafuoco. Mi dicono che in queste ore anche Nanni abbia rotto gli indugi. Era già toccato a Gino Logli. Fior di cervelli, intelligenze acutissime. Non ammaestrabili dai consigli per gli acquisti. Hanno scelto. Sanno con chi e dove vanno. Forse non sarà dove li porta il cuore, eppur ci vanno. Non giudico, prendo atto. Rinnovo gli auguri.

Vecchi, savi amici di un altro tempo, in un'altra dimensione.

Epperò, il mio nome in riga davanti o dietro al loro non ce lo voglio più! Non avrebbe senso.

Quella che stiamo vivendo non è una finzione. La destra affila le dentiere. Mostra il suo volto. Il suo disegno viene da lontano. Questa destra italiana, senza ulteriori inutili aggettivi, vuole il potere. È determinata ad ottenerlo con qualsiasi mezzo. Se non ci svegliamo presto dal letargo della volontà nel quale siamo sprofondati, lo otterrà. Ricordiamo il piano di rinascita nazionale della P2? Tabularasa. Non della memoria.

A te la palla, vecchia pellaccia.

Chissà che «gli altri» non si facciano vivi... prima o poi.


* * *

Voci malevole, non sappiamo quanto informate, scommetterebbero che dietro il gran polverone della annunciata «rifondazione nera» ci sia un bluff: una sorta di intesa segreta tra alleati nazionali e promotori dei comitati per la difesa del MSI, sulla base di una reciproca convenienza: accreditare la svolta democratica, liberale e liberista dei primi, affrancandoli dal pesante retaggio di dottrine corporativistiche e socializzatrici, fino a ieri riferimento programmatico di tutti i militanti e dirigenti di area finiana; regalare ai secondi, capitanati da personalità oramai in età di quiescenza, momenti di effimera gloria, una dignitosa via di fuga, la sistemazione di qualche rampante amico.
Tesi dietrologicamente suggestiva, clamorosamente smentita dalle notizie di queste ore secondo le quali Rauti avrebbe vinto la battaglia sul simbolo e sarebbe pronto a presentare liste Fiamma in tutta Italia. Se questo è vero, una riflessione è d'obbligo. Si può forse tentare un ragionamento parimenti distaccato e serio, in attesa che lo stesso Rauti chiarisca il suo «progetto», magari dalle colonne di questa rivista (o è chiedere troppo?).

Evento: la svolta di Fiuggi. Postulato: il definitivo sdoganamento della alleanza nazionale. Corollario: una scissione lungamente annunciata e fortemente voluta dall'establishment di via della Scrofa. Personalmente, non ho colto in questo processo -sembrato, a tratti, un semplice procedimento- segnali sostanziali di serio travaglio, né quelle lacerazioni e costi che sempre si sopportano, in casi come questo.

Senza andar troppo lontano, per esempio alla occhettiana bolognina dalla quale, in tempi non sospetti, si arrivò alla costituzione del PDS con tanto di prezzo durissimo pagato sull'estrema sinistra, ci sono casi più recenti, altrettanto emblematici. Basti pensare a quanto avvenuto in casa democristiana, oppure all'implosione della Lega. L'evoluzione bipolare, se non addirittura bipartitica, della politica italiana lasciava presagire dirompenti tensioni lungo il percorso post-missino. Covavano, infatti, sotto la fiamma, magari tra le ceneri della combustione, divisioni e contrasti ideologici, persino ontologici, che avrebbero motivato ben diverse riflessioni, analisi, approfondimenti, in un congresso dove passerelle e défilé degni dell'ultimo craxismo hanno preso il posto di tesi politiche all'altezza dell'occasione.

Due anime, con alterne fortune, si son date battaglia nel partito di che trattasi, sin dati tempi di Michelini, poi con Almirante e Rauti, da ultimo con l'on. Fini che, «sapientemente», ha rimosso quella più scomoda e pericolosa alla strategia di costruzione di una destra tatcheriana-gollista. Due anime: da una parte la sinistra popolare-nazionale, radicale, rivoluzionaria, libertaria, terzomondista; dall'altra la destra moderata, filo-americana, perbenista, benpensante, tutta ordine e stato.

Due anime sulle cui profonde radici getta volentieri squarci di lucida analisi l'amico Landolfi, oltre -ovviamente- la più avveduta ed illuminata storiografia del fascismo. Che questo contrasto fosse divenuto oramai insanabile fu dimostrato da un altro evento di rottura, in verità ben serio e complesso, passato sotto silenzio per il black-out dei media e l'immaturità, allora, di gran parte della sinistra italiana: la «fuoriuscita» dal MSI-DN di un gruppo di dirigenti nazionali, tra i quali chi scrive, durante il travagliatissimo Comitato centrale del luglio 1991 che sancì l'incredibile passaggio di consegne tra la segreteria Rauti e la seconda, fortunatissima, gestione Fini. C'erano, allora, ben evidenti i segni della svolta moderata di quel partito. In quell'assise furono gettate le basi della futura «alleanza nazionale», nuovo contenitore del conservatorismo italiano che la tempesta di Tangentopoli avrebbe presto privato
della rassicurante protezione del partito-stato: la democrazia cristiana.
Ci fosse stato allora un empito di orgoglio e di dignità, la volontà di andare davvero oltre... chissà, forse sarebbe stata tutta un'altra storia.

Così non fu. Ce ne rammaricammo. Andammo lo stesso avanti. E fu assai indicativa la circostanza che, all'epoca, le parti (in senso pirandelliano) fossero esattamente capovolte. A stimolare, infatti, le corde del nostalgismo, dell'ortodossia ideologico-dottrinaria, della continuità ideale col fascismo, non era certo chi «usciva», ma chi restava «dentro»: ovvero, l'intero entourage post-almirantiano, Fini in testa. Era chi usciva a venir bollato come traditore e «sovversivo», sol perché poneva l'esigenza di fondazione ex-novo di un movimento aperto -dopo il crollo dei muri e la crisi delle ideologie- al confronto, all'alleanza con le grandi aree popolari e sociali del nostro Paese: in definitiva, con la sinistra post-marxista.

I fatti successivi dimostrarono che il processo di rivisitazione storica dell'esperienza fascista, poi missina, era inevitabile. Tuttavia -ecco il punto!- nelle intenzioni della nomenklatura, esso doveva portare a tutt'altro approdo: infine conquistato a Fiuggi, con la benedizione dei centri di potere economico e finanziario, di parte influente della gerarchia vaticana, di non pochi settori occulti che non hanno smesso di condizionare le vicende del nostro Paese.

Ora, al di là della simpatia con la quale lo seguiamo, il tentativo di Rauti contiene indubbiamente elementi di intempestività ed il conseguente rischio di diventare funzionale al progetto finiano.

Un rischio di per sé ineliminabile che tuttavia può essere ridotto. Nulla, infatti, è scontato in politica e molto dipende dalla capacità di incidere positivamente sulle circostanze esterne, quand'anche sfavorevoli.

Va, dunque, evitata ogni banalizzazione folcloristico-nostalgica che è il vero pericolo mortale con il quale dovrà cimentarsi Pino Rauti. Parimenti, occorrerà costruire, sul piano culturale e politico, le condizioni per un dibattito che potrebbe rivelarsi originalissimo ed assai stimolante.

Senza fermarsi alle prime, prevedibili, difficoltà.
A questo dibattito potrebbero fornire occasioni e sponde quanti lo hanno già positivamente sperimentato. A chi scrive, non parrebbe vero.

Anche Tabularasa vi potrebbe contribuire. Non già come foglio organico, o sospetto tale, di una rifondazione i cui esiti sono tutti da verificare, ma come rivista già collocata -senza ambiguità od incertezze- sul versante alternativo alla destra.

Questa rivista, se mi è consentito scriverlo, nasce da una comune, sottintesa volontà: lavorare alla ricomposizione delle scissioni del '14 e del '21. Questo lo spirito. Questo il comune sentire. Chi ancora si ostina a vedere in quelle scissioni prospettive politiche può suscitare tenerezza, ma è certo fuori dal tempo e dalla storia.
Tutto torna alle origini. Il cerchio si chiude.
C'è un cantiere nella sinistra che verrà. C'è bisogno di idee. Ma, soprattutto, di uomini e donne in carne ed ossa che si rimbocchino le maniche. E se infine la conclusione di questa fase di grandi cambiamenti non sarà una palude -sul modello d'oltre oceano- dove tutto è maledettamente uguale al suo contrario, sarà merito di chi avrà lavorato e sudato in quel cantiere. Nessuno escluso.
Un compito ed un ruolo nella costruzione, di una società migliore e più giusta, a misura d'uomo. Avanti, parliamone!
Altro che f(i)uggiaschi. Altro che bollicine!

Beniamino Donnici

 

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Mi passi la palla... Beniamino. Ho gli stinchi tutti segnati da cicatrici. Antichi «ricordi» di quando, ragazzino, giocavo ali 'attacco e a difesa della porta avversaria c'era un «tipetto» che mi stendeva sempre a terra. Dolorante e sanguinante. Gli avevo appioppato il soprannome di «mangano». Non gioco più a pallone. Non voglio dire, con questo, che non accetto «il passaggio». Anzi... Le mie vicissitudini, prima da giramondo e poi da politico, mi hanno costretto a «subire», non gradite, la vicinanza e la frequentazione delle più disparate categorie umane. Raramente ho provato la piacevole sensazione che si ha quando si incontrano gli uomini. Tu non giudichi -scrivi-, prendi atto. E mi ricordi Beppe Niccolai ed il continuo rimprovero che gli muovevo: quello di esser tanto buono da far pensare, a certuni, che egli fosse anche bischero. La bontà non paga e Beppe, se da qualche parte c'è un luogo ove dimorano i giusti e i buoni, non può che darmi ragione. Ora. Ma per esprimere giudizi non occorre avere cattiveria, bensì la capacità di osservare i comportamenti degli umani.
Gino Logli, Pietrangelo Buttafuoco, Peppe Nanni. Non me la sento di metterli, i tre, sullo stesso piano. Pietrangelo e Peppe sono due «uomini gemelli». Teste matte che, se in questa società rasentano l'assurdo, non è colpa loro. Sono nati. E subiscono la punizione di vivere in un ambiente -quello umano, appunto!- con il quale non hanno nulla da spartire. Son fuori dal tempo. La loro partecipazione all'attività di quel composito conglomerato affaristico messo su da Fini, è soltanto una specie di divertissement intellettuale. Nessuno dei due è «al servizio» - a differenza di tanti intellettuali di nostra conoscenza che sono «organici al proprio portafoglio».
Son «teste matte» che prima o poi si allontaneranno -o saranno allontanati- da quella congregazione di opportunisti che è l'accolita degli anini. E non posso immaginarmeli, i due, con l'ombrello e la bombetta nella City, o con il tricorno in Vaticano o, peggio, con il kippah in qualche sinagoga di New York. Non sono amici che sbagliano, sono geniacci estrosi ai quali sono affezionato. E perché alla loro età ne ho combinate di peggio... e continuo a combinarle... e perché, fra i tanti «amici» di Beppe, essi erano tra i pochissimi amici disinteressati. Con il caratteristico altruismo dei giovani che li accompagnerà per tutta la vita.
E Gino Logli? Lui ha fatto una scelta. Sicuramente non di ordine ideale. Poco da uomo, molto da umano.

A.C.

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