«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995

 

Le «tesi» di Rauti



Pino Rauti è partito tre volte con il piede giusto. Anzitutto, quando ha detto chiaro e tondo che il «suo» nuovo MSI non sarà un partito di destra, con ciò restando fedele a uno dei fondamentali postulati della corrente «Andare oltre», con il quale ingaggiò la battaglia di rettifica al congresso di Sorrento del 1989. Quindi, allorché ha affermato che non si gingillerà con nostalgismi da torcicollo, ma si impegnerà in profondità su tematiche di grosso spessore sociale. Inoltre, avviando le «Tesi» -elaborate per il grande addio al congresso di Fiuggi- con proposizioni di inequivoca apertura alla democrazia. Che sono le seguenti: «Attraverso il metodo democratico e confermando la sua adesione alle regole che ne derivano, sia nella lotta politica sia nei comportamenti della vita civile, ci proponiamo la realizzazione dello Stato Nazionale del Lavoro, per il raggiungimento -mediante l'alternativa corporativa- dei traguardi più avanzati di giustizia sociale. E ciò mediante l'inserimento delle categorie, delle competenze, delle professionalità nelle strutture politiche e giuridiche e ad ogni livello decisionale della vita dello Stato e degli Enti Locali, con la realizzazione di una economia organica, la collaborazione delle classi sociali, la partecipazione del lavoro e dei tecnici alla vita, alla gestione, ai risultati economici delle aziende».

Qualche riflessione su tutto questo. Pare a noi inevitabile l'addensarsi su Rauti di sospetti e negative illazioni relativamente al suo richiamarsi al corporativismo. Ma qui bisogna parlarsi chiaro. Formazioni politiche dalla ortodossissima matrice antifascista -valga per tutti il Partito Democratico della Sinistra- hanno inviato a Fiuggi delegazioni legittimatrici composte con personaggi dai molti galloni sulle maniche, con ciò segnalando la caratura democratica di una Alleanza Nazionale che nelle tavole fondative asserisce essere la Destra -la «sua» Destra, annoverante fra i padri spirituali nomi non certo di tutto riposo per dei democratici, come, ad esempio, Evola, Papini, Marinetti, Soffici, Schmitt, Rocco etc. etc.- non sinonimo di fascismo ma corrente autonoma di pensiero ed esperienza storica perennemente esistita e che il fascismo sì era limitata ad «attraversarlo».

Vera o men vera o fallace che sia, questa interpretazione autorizza a dichiarare che a maggior ragione un discorso del genere vale per il corporativismo, adottato e male utilizzato ma non inventato dal Regime Fascista. Esso, cioè, preesisteva al Ventennio mussoliniano; fu la base sociale di tante aggregazioni cattoliche -partitiche, sindacali, comunitarie e quant'altro- in Italia e fuori d'Italia. Dunque, in certo modo, il Littorio ne venne «attraversato». E sia pure in misura tale da esserne pervaso, quanto meno in una chiave insoddisfacentemente propedeutica.

Sic stantibus rebus, perché mai Pino Rauti sarebbe un bieco antifascista mentre Gianfranco Fini -il quale con la sua estemporanea opzione putativamente «liberaldemocratica» altro non ha fatto, a ben vedere, che cambiare di spalla al fucile con cui da sempre spara contro la Sinistra e i suoi «stracci rossi», come disse alla presentazione di un libro di Adalberto Baldoni- meriterebbe tutti gli «sdoganamenti» possibili e immaginabili, onde essere accolto in pompa magna nel sinedrio degli «antifascisti» veri o presunti ma che contano?

E veniamo alla «economia organica» e alla «collaborazione delle classi sociali».
Per quanto concerne la prima, nulla quæstìo. Siamo talmente favorevoli che da un pezzo e ad ogni pie sospinto spariamo -metaforicamente, s'intende- contro tutti i paladini del liberismo selvaggio di indole reaganiana-tatcheriana; e contro tutti i vari Eolo confindustriali e «multinazionali» dalla cui labbra scaturiscono gli impetuosissimi venti privatizzatori che squassano, insieme ad ogni idea di ruolo dello Stato nella economia, anche quanto resta della indipendenza nazionale. Per inciso: stiliamo queste note mentre il presidente Dini torna da Washington, dove si è recato a rendere omaggio all'Imperatore d'Occidente; e alla vigilia di analoga operazione dell'ineffabile on. prof. Rocco Buttiglione, ansioso anch'egli di un imprimatur imperiale alla sua ennesima scelta di campo, stavolta in prò del Cavaliere Azzurro. Con relativa, tentata emarginazione della Sinistra del Partito Popolare. Si dirà: ma che c'entrano i pellegrinaggi in USA di Dini e Buttiglione con il liberismo e le privatizzazioni? C'entrano, c'entrano, eccome...!!!

Per quel che attiene alla seconda, bisognerebbe, per essere in grado di esprimere un giudizio preciso e definitivo, avere adeguati ragguagli sui contenuti. Questo perché lo spettro di tutte le possibili ipotesi di «collaborazione fra le classi sociali» è piuttosto vasto e variegato; comprensivo, quindi, di ispirazioni opposte e sfumature intermedie, tali da rendere estremamente cangianti le concrete soluzioni adottabili con riferimento a un principio generale. Insomma. dall'assunto della intesa interclassista possono discendere applicazioni sia reazionarie e intonate al classismo borghese, sia, perfino, gradualmente proiettate verso orizzonti rivoluzionari. E, in mezzo, tutta la gamma delle escogitazioni variamente moderate.

Orbene, in quale comparto della ingegneria economico-sociale si colloca la concezione sinergica rautiana? Sicuramente in uno di taglio progressivo, visto il netto riferimento alla «partecipazione del lavoro e dei tecnici alla vita, alla gestione, ai risultati economici delle aziende»; ossia a qualcosa di più del più tradizionale corporativismo dell'Era Fascista e a qualcosa di meno della socializzazione della Repubblica Sociale Italiana (peraltro decisa da Mussolini già nella primavera del '43 su «istigazione» del ministro delle Corporazioni Tullio Cianetti; e bloccata dalla iniziativa del Re e di Badoglio nel «fatale dì» 25 luglio).

Tuttavia, l'impulso socializzatore non risulta estraneo ai contenuti della scissione seguita alla operazione trasformistica di Fiuggi. Infatti, nel primo numero di "Linea" -il ripristinato periodico strumento di tutte le battaglie di «Andare oltre», che ha stampato le «Tesi»- un interessante articolo del direttore responsabile, Claudio Pescatore, offre queste stimolanti considerazioni: «Da ciò, la nostra impostazione per le scuole e l'università, l'associazionismo parallelo, l'ecologia ed il volontariato, ma anche la crescente necessità di una articolazione sindacale più corposa ed attenta alle difficili problematiche del mondo del lavoro. Per la Comunità antagonista contro la massificazione, per la partecipazione e la socializzazione nelle aziende, per un nuovo ordine mondiale dopo la caduta del muro di Berlino, per un nuovo modello di sviluppo ...».

Dunque, Pescatore ha dato un senso effettivo al nome che porta... ripescando la socializzazione. Ma si sarebbe a ciò indotto senza previa consultazione con il leader della sua corrente? No, evidentemente. E così, questa affascinante prospettiva rivoluzionaria invece di passare per la porta entra dalla finestra. Che differenza fa? Nessuna, pensiamo. Al massimo, il fatto di non essere immessa direttamente nelle «Tesi» può spiegarsi con l'esigenza di procurare una sosta tattica ad un movimento di anticonformismo e ribellione giunto ad una fase di «strappo» in una straordinaria, confusissima, affocata situazione voluta dall'on. Fini, stavolta segnalatosi per un comportamento che -fatte le debite differenze di proporzione storica- ricorda non più Dino Grandi bensì Pietro Badoglio. Il presidente di AN, infatti, ha consegnato ai vecchi nemici non solo di sinistra, ma anche di centro e di destra, una delle massime personalità del suo partito -meglio: la sua testa, in un piatto d'argento- onde conseguire quella legittimazione «antifascista», chiamiamola pure così, da spendere per l'acquisto del biglietto d'ingresso nell'area del potere dove comandano i vincitori. Fossimo stati al posto dell'on. D'Alema, ci saremmo ben guardati dal coonestare manovre del genere. E diciamo questo dall'interno del popolo della Sinistra, di cui ci onoriamo far parte. Lo diciamo in obbedienza a una esigenza squisitamente morale, perché non è vero che l'on. Rauti ha rifiutato di entrare in Alleanza Nazionale contravvenendo antidemocraticamente a un deliberato congressuale. L'on. Rauti, viceversa, è stato volutamente e ricattatoriamente messo in condizione di andarsene mediante l'invito a cadavericamente subire -senza mediazione e confronto alcuno- un testo compilato in modo da non potere essere accettato che umiliandosi in un rinnegamento totale e suicida. E ciò dopo averlo lavorato ai fianchi facendogli il vuoto intorno, con una campagna acquisti degna delle più serrate ed eclatanti trattative all'Hotel Gallia di Milano alla fine del campionato di calcio. Insomma, un fenomeno corruttivo vero e proprio, non meno perverso per il fatto di configurarsi in modo assolutamente diverso -mancherebbe altro!- da scambi in chiave di venalità, di «cosa contro prezzo». Noi facciamo riferimento a una corruzione psicologica, che, per essere tale, non esclude pregiudizialmente neppure la buona fede, mentre inoppugnabilmente cancella nei voltagabbana di turno l'idea stessa della spina dorsale e di una congrua, ferrigna fede e fedeltà alle idee e ai valori professati. Si è trattato, insomma, di una devastante crisi di fiducia, connessa alla gigantesca ondata di destra reazionaria -della quale la Sinistra porta, con le sue insufficienze e i suoi settarismi, una rilevante responsabilità-, che ha proiettato Fini molto, troppo in alto, gettando, in tanti «nazional-popolari» uno sgomento non disgiunto dalla preoccupazione per le sorti loro e dei relativi collegi elettorali, la cui titolarietà dipende sempre dal sopracciò in carica. Specie se a lui vanno i favori di una Dea Bendata e di una piazza volubile e passionale.

 

*  *  *

Si afferma ancora nelle «Tesi»: «In termini finalistici e strategici, ci battiamo per un nuovo modello di sviluppo, al di là del collettivismo -che fu tipico del marxismo e ne ha determinato il fallimento e l'irreversibile tramonto- e sia del liberal-capitalismo, che "sviluppa" solo le ineguaglianze, le ingiustizie anche all'interno dell'Occidente e che sta devastando il resto del mondo dove imperversano saccheggi delle risorse naturali, sottosviluppo, miseria e forme sempre più diffuse e disumane di nuovo schiavismo, specie a danno delle donne e dei minori».

Questo è uno dei passaggi più interessanti, condivisibili e anche belli del documento rautiano. Le positività che esprime sono di tale evidenza da esentare da troppe chiose. Vorremmo, però, che gli estensori del brano ci consentissero di metterli in guardia da un rischio che corrono: l'obiettivo coinvolgimento in talune posizioni e polemiche della destra. Per esempio: quelle che si pronunciano su Marx e sul marxismo in una chiave non solo pregiudizialmente vertenziale ma anche demonizzante, in uno spirito che sta fra il maccartismo e la caccia alle streghe, il Sant'Uffizio e il sesquipedale, caleidoscopico programmone di Alleanza Nazionale. Da un raffinato uomo di cultura come Pino Rauti è lecito attendersi comportamenti intellettuali e politici che segnino una straordinaria diversità rispetto al vecchiume reazionario di Fini e sodali. E pensiamo che non tarderanno ad accorgersi che il leader di «Andare oltre»... oltre andrà, tracimando una «Linea» già tanto suggestivamente creativa sotto vari rispetti.

Intendiamoci: mica stiamo suggerendo a Rauti di essere ciò che, peraltro, noi stessi non siamo, cioè un marxista. Gli ricordiamo soltanto che in vari filoni culturali su cui si sono attestati certi comparti dello stesso schieramento cui egli nazionalmente e internazionalmente si richiama, Marx e il marxismo non sono stati trattati come pretendono trattarli sia il Fini che la Fininvest. Di casi, addirittura, di filia marxista potremmo citarne tanti. Ci limitiamo ad un paio. Vediamo, dunque, cosa ci dice in proposito Tullio Cianetti, sicuramente, nel Ventennio, il più alto esponente del Fascismo sociale.

Estrapoliamo da "Memorie dal carcere di Verona", più di cinquecento pagine di ricordi del tempo che fu, editi nell'83 dalla Editrice Rizzoli di Milano: «Fu precisamente a Nardo ch'io mi accorsi per la prima volta della serietà di alcuni problemi sociali, e fu dopo Nardo che acquistai un libro ignorato fino a quel momento: "il Capitale", di Carlo Marx. Non commetto il peccato di dire che lessi fino in fondo il voluminoso vangelo del grande maestro del materialismo e di aver capito storicamente e filosoficamente l'intera portata della sua sconcertante critica al capitalismo. Quella lettura fu però uno scossone potente per me, tanto che, rientrando a Lecce a servizio compiuto, diradai le mie abitudini salottiere e frequentai, a preferenza, l'ospitale casa di un professore la cui famiglia viveva nella semplicità e mi accoglieva con la schiettezza della gente per bene». (pag. 67)

La ingenua e bonaria chiusa del pensamento cianettiano non deve solo farci sorridere, perché il rapporto dell'ultimo Ministro delle Corporazioni con il pensiero di Marx risulterà -lungo tutto l'arco della sua alta vicenda politica- influente, positivo, costruttivo. Come, del resto, ulteriormente si evince dalle proposizioni che seguono: «Negare l'esistenza della lotta di classe è come negare la luce del sole. La lotta esiste in quanto esistono le classi, e queste sono divise da un solco profondo al quale si può dare il nome di miseria, di egoismo, di ingiustizia, di sopraffazione. [...] Non si poteva negare che le critiche acerbe che il Marx aveva rivolto alla società borghese, fossero giuste ed esatte. La borghesia emancipata dalla rivoluzione francese ed ingigantita dall'avvento della rivoluzione industriale, si era chiusa nel sancta sanctorum del suo egoistico interesse senza accorgersi che essa stessa contribuiva a creare, nei confronti del proletariato, quel clima di insofferenza e di rivolta che la nobiltà ed il clero avevano creato nei suoi confronti».

Ed ecco l'integrazione corradiniana-mussoliniana -e non la sostituzione, come da certuni si pretende- alla intuizione e alla elaborazione marxista: «Se la lotta tra le classi era violenta nell'ambito di ciascuna nazione, non meno vivace si presentava sul piano internazionale. Ad una solidarietà mondiale del capitalismo si contrapponeva una non meno potente solidarietà internazionale del proletariato» (pag. 97). Dove il corradinismo-mussolinismo non appare privo di vincoli di parentela con la teoria dell'imperialismo formulata da Lenin.

Ancora: «Ci dicevano: Poiché il fascismo non ha mai negato la giustezza della critica marxista, ma ha sempre respinto l'ideologia costruttiva di Marx che vaticinava la distruzione della borghesia e l'avvento della dittatura proletaria, al fascismo si impone di dimostrare con i fatti che la rivoluzione sociale può anche non passare per quella dittatura. [...] Che cosa ci divideva dalla critica socialista? Niente, poiché noi, dicevamo, abbiamo ammesso la fine del regime borghese, del dominio incontrastato del capitalismo, e abbiamo vaticinato l'avvento di una nuova civiltà del lavoro. [...] La stessa trafila e lo stesso collaudo subiti dal socialismo prebellico sono, in fondo, serviti per dimostrare come si possa arrivare alla realizzazione di una politica socialista senza passare per gli estremismi radicalmente sovvertitori».
Lasciamo Cianetti e rivolgiamoci a un autore francese certamente caro a Pino Rauti: Maurice Bardéche. Costui, occupandosi del fondatore della Falange spagnola, José Antonio Primo De Rivera, nel trattare del suo pensiero sociale si esprime, tra l'altro, nei seguenti termini: «Questo socialismo dirigista (cioè di José Antonio - n.d.r.) va più lontano di quanto si immagini generalmente. Molti credono che José Antonio sia violentemente antimarxista. È un errore. L'analisi economica di Marx gli sembra, al contrario, molto giusta». Ma colleghiamoci con José Antonio in presa diretta, per una interpretazione del suo dettato: «Un personaggio al tempo stesso ributtante ed affascinante, quello di Carlo Marx, domina lo spettacolo della crisi del capitalismo. Nel momento attuale, ovunque, gli uni si proclamano marxisti, gli altri antimarxisti. Io vi chiedo, ed è un vigoroso esame di coscienza che propongo: che vuoi dire essere antimarxista? Ciò vuoi dire che non si desidera il compimento delle predizioni di Carlo Marx? Allora siamo d'accordo. Ciò vuol dire che Carlo Marx ha sbagliato? Allora sono coloro che l'accusano d'errore che sbagliano». Insomma, annota il Bardéche, «Le obiezioni di José Antonio contro il socialismo non riguardano l'analisi dei fatti, ma quello dei princìpi filosofici estranei all'analisi economica» (pagg. 51-52).

 

*  *  *

Tutto questo non per significare a Rauti che farebbe bene ad essere la copia conforme di Cianetti, o di De Rivera, o di Bardéche; ma per fare presente -più a noi stessi e al Lettore di Tabula che a personalità come, appunto, l'autorevole leader dell'opposizione a Fini- l'importanza del confronto ragionante e pacato, costruttivo, con le grandi e anche meno grandi correnti della cultura politica. La qual cosa implica non il rinnegamento delle proprie radici ideali e delle relative esperienze storiche, bensì il superamento di un modo fondamentalista, integralista, acritico, catechistico, di intuirle e collocarle nel vissuto. Implica, soprattutto, ciò che lo stesso Mussolini -e, con lui, tanti altri mussoliniani- ritennero urgente fare or è mezzo secolo: la separazione del grano dal loglio, del bambino dall'acqua sudicia. E, insomma, per dirla con un antifascista doc come Pietro Nenni, «l'onda pura dalla sporca schiuma».

A proposito di quest'ultimo, pare a noi opportuno e utile riprodurre un brano estremamente significativo di un suo articolo apparso sul quotidiano «paracomunista», come allora si diceva, "Paese Sera", esattamente il 1° gennaio 1955: «Da noi la destra esprime soltanto istinti antisociali, di conservazione e di reazione. Tipico il caso dei fascisti che, per inserirsi nella politica reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro Capo ed a rinnegare l'unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a dire l'opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie dei paesi arrivati». Qui, a parte l'«unico» (la bonifica delle paludi pontine, per esempio, non è forse un «elemento rispettabile»?) e il «cosiddetto» («plutocrazie» e «imperialismo» non sono forse sinonimi?) c'è la vivida, efficacissima rappresentazione di un truffaldesco modo d'essere degli «alleanzisti» non solo di oggi, che l'ormai celeberrimo ribaltonista Fini ha portato ad un livello di perfezione tecnica prima inimmaginabile.

Abbiamo voluto citare il defunto leader del parimenti cessato d'esistere PSI quale autore di prosa espressiva di analisi atte, specialmente oggi, ad essere proposte come base per un confronto dialogico fra le forze popolari e democratiche di avanguardia e quella parte della Destra che, di destra da sempre non essendo, ha sacrosantemente ritenuto di doversi accomiatare dal Giovin Signore di Via della Scrofa onde togliere, insieme all'equivoco, il proprio disturbo e l'altrui. Una volta per tutte.
Naturalmente il confronto non potrebbe che ispirarsi alla pari dignità, oltre che alla piena autonomia ideologica e propositiva dei singoli e di tutti. Ci conforta nella convinzione della possibilità di un concreto discorso comune fra quelli che continuiamo a definire i due versanti della Linea Gotica le successive impostazioni di politica sociale delle «Tesi». Come queste per esempio: «Una società consumistica, edonistica, che mercifichi l'uomo, la donna, il bambino e, al limite, tutta la vita sociale, crea problemi spaventosi, insolubili, in tutto il mondo. Fa pagare anche all'Occidente super sviluppato un costo esistenziale che sta già divenendo insopportabile, foriero di ulteriore degrado e di autentica barbarie ad ogni livello, specie in quello della vita associata e negli ormai incontrollabili e sempre meno gestibili aggregati metropolitani».

Sarebbe interessante sapere quale partito della Sinistra -Rifondazione Comunista, poniamo- non se la sentirebbe di sottoscrivere questa enunciazione non altrimenti definibile che rivoluzionaria.

 

Enrico Landolfi

Indice