Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995
Sulla resistibile ascesa
Si palesa vieppiù evidente come, nel processo di beatificazione in corso, ben
pochi siano disposti ad assumere il ruolo -ingrato, eppure necessario-
dell'avvocato del diavolo.
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Il giuoco -va detto- è
pericoloso.
... Eppure -in tutta modestia, ma con onesta cognizione di Causa vorrei spingermi ad interpretare pensiero dei Tabulisti tutti (ecce fatta per Beniamino, che vuole e occupi di soli fanti, e si lascino i pace i santi) ed emettere per Lui e a nome Vostro- un giudizio i non meritevolezza. Aggiungo anzi -non senza ma suggerimenti- che il Venerand trui (per quanto mi e ci riguarda) andrebbe spedito, e senza troppi rimpianti, direttamente all'inferno.
Ciò deliberato, potremmo anche aggiungere e specificare che a noi, al pari dello snaturato figlio di casa Cuppiello, «Nun ce piace o' presepe». La qualcosa, ne siam certi, non mancherà di provocare perplessità mista a costernazione, o di destare scandalo. E di suonare d'offesa ai buoni sentimenti. Ma a noi, lo stesso: o' presepe continua a lasciarci freddamente agnostici. A non piacerci, in particolare, è il clima natalizio ottenuto con effett speciali (: effetto melassa, effetto kitsch, effetto beautiful) che vanno a sostituire, in una società tele-rappresentativa quale la nostra, i contenuti con le immagini, le apparenze con la sostanza, la verità con la virtualità.
Ed è proprio quella sua
caratteristica medietà, quel suo perbenismo telegenico, quella sua scorrevole e
brillante superficialità, a render grato al popolo teleutente Gianfranco Fini -e
a renderlo ingrato ed indigesto a noi Tabulisti.
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Sì, risulta davvero difficile
capacitarsi della frivolezza con cui gli austeri esaminatori, ossia gli avversi
alla Causa di beatificazione -quelli ufficiali e patentati, con tanto di bollini
in regola- hanno sin dall'inizio affrontato «il fenomeno Fini». Commentatori,
opinionisti, politologhi e politici, cioè, che ieri gli rinfacciavano sdegnati
il suo fascismo, ed oggi manifestano virtuosi dubbi sulla sua conversione
liberale. Sbagliavano ieri, sbagliano imperterriti oggi. «Ora che, tapini, l'antifascismo più non da rendite di posizione, ora che l'astuto (ma mica poi tanto) Fini Gianfranco già ha testimoniato che Lui e i suoi non sono fascisti, o meglio non lo sono più, anzi non lo sono mai stati - ecco che Voi, così a lungo impegnati a far da palo nel giuoco delle tre carte, Vi trovate spiazzati, col fiato corto, e senza saper più da che mazzo prendere. Buon prò Vi faccia e buon proseguimento. «Distinti saluti».
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Giunti alfine all'alba del 1995
c'è stato chi -come Paolo Franchi sul Corsera, 30 gennaio- s'è accorto di
qualcosa che non andava nel repentino passaggio dal vetero nostalgismo missino
al fresco liberismo anino. E che tale passaggio s'era rivelato -per tutti-
troppo indolore. Sicché, a proposito del placido approdo di Fini alle sponde
della democrazia di mercato, egli lamentava «la sostanziale afasìa che si è
impadronita dei suoi avversari di sinistra e dei suoi interlocutori di centro,
in tutto incapaci di contrastare, e prima ancora di comprendere, quanto andava
capitando sulla destra». Ma se qua e là si avvertono barlumi di (tardiva)
intelligenza, per il resto -sul fronte dell'establishment politico-culturale- ci
si continua a muovere fra le tenebre dell'ottusità. Così Giorgio Bocca, che ha
definito il fresco presidente di AN «politico serio e affidabile»; così Michele
Santoro, che durante la puntata di "Tempo reale" con Fini ospite-protagonista,
manifestava un evidente stato di soggezione; così "Cuore", che l'ha intervistato
in punta di forchetta, senza mai un affondo; così Max D'Alema che dice di
apprezzarne «lo stile»; e "L'Espresso" che -rapito da tanta abilità- lo pone
sull'altare, definendo la trasformazione del MSI in AN «di quelle che
colpiscono» ...
La suprema ragione del Mercato -che tutto unifica e pacifica- spiega, dunque (ma solo in parte), le ragioni per cui si sta operando per la beatificazione del Sullodato. Che, per conto suo, campa -e bene- sul bluff. Nel mentre nessuno, o quasi (: nessuno, intendo, in possesso di qualche carta buona da giuocare), è intenzionato ad andare a vedere. Tra i pochi curiosi annoveriamo Curzio Maltese, il quale ha saputo tratteggiarne un profilo quantomai incisivo, dove «Fini rappresenta, meglio di Berlusconi, il nulla televisivo al potere [...]. Micidiale l'abilità che mette ogni volta che va in TV nell'eliminare dal discorso ogni pur vago accenno ai problemi reali, che ignora. Da mesi il mondo intero ne scruta le giacche e ne setaccia le vuote interviste, per sapere se è ancora fascista. Mai che gli chiedano un parere sulle tasse, sulla disoccupazione. Le rare volte, Fini risponde con puri slogan televisivi copiati da Berlusconi, al quale sta come Guido Angeli ad Aiazzone». Sottoscriviamo e plaudiamo.
D'altronde a volersi rileggere le espressioni di cui si serve l'on. Fini, altro non si avverte che un quieto allineamento di luoghi comuni. Come quando ascrive fra i padri nobili della sua Destra un certo Antonio Gramsci di Ales (CA), avendo orecchiato 15 anni dopo il discorso sul metodo della Nouvelle Droite; oppure, quando cita (in base alla lettura del titolo, è presumibile) «Il Manifesto dei Conservatori» quale libro fondamentale per la di lui formazione ideologico-politica - mentre si tratta, ahinoi, di un testo assolutamente minore, che segna anzi una fase di acuta stanchezza nella pur grande produzione prezzoliniana. A noi Tabulisti, insomma, il personaggio che le moltitudini di colti ed incolti vorrebbe assurgere al Settimo Cielo, risulta essere di levigata, sconsolante piattezza; vuoi per povertà lessicale e/o contenutistica, vuoi per evanescenza concettuale e vacuità politica.
Esemplare in tal senso per
«stupefacente banalità, buttata là non per stupire, ma per oneste convinzioni»
(da: "Linea d'ombra") l'intervista (che varrebbe la pena poter riportare
integralmente) resa ad Enzo Biagi per la rubrica "II fatto", ove il Nostro si
esibisce in fantasmagorici giudizi: «Lo stanno gonfiando [Romano Prodi - n.d.r.],
con larghissima adesione della stampa»; o da sfoggio di un'ironia più piccante
degli omogeneizzati al plasmon: «Bossi era la negazione di una politica seria...
[di lui -n.d.r.] ridono sicuramente tutti quegli italiani [...] che vogliono una
politica seria». Un'intervista che si conclude scoppiettante con la domanda «È
ancora dell'idea che Mussolini è stato un grande statista?» con la radente,
sorridente risposta: «Non ci casco più nella trappola, direttore. Da questo
punto di vista non avrà più risposte». Salvo poi ricredersi, e prontamente
dichiarare tre giorni dopo, ospite dei banchieri della City, che: «Mussolin è
già stato condannato dalla storia». Di simili indecenze (che dovrebbero
dispiacere agli stessi antifascisti «veri») è fatto il Fini-pensiero. E così è
nata, sviluppata e consacrata un leadership. Alberto Ostidich |