«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995

 

Sulla resistibile ascesa
(ovvero: discorso sui beati ad uso degli scettici)


 

Si palesa vieppiù evidente come, nel processo di beatificazione in corso, ben pochi siano disposti ad assumere il ruolo -ingrato, eppure necessario- dell'avvocato del diavolo.
In compenso, è di conforto vedere quanto numerosi e convinti divengano di giorno in giorno i postulatori -a volte improvvisati, spesso generici- che vanno ad aggiungersi alle fitte schiere degl'incensatori professionali, degli apologeti specializzati, dei ritrattisti edificanti, dei polemisti convertiti, degl'intervistatori genuflessi...
Naturalmente, la Causa di cui stiamo trattando riguarda Lui, il beatificando onorevole Gianfranco. Ordunque, a fronte della latitanza di legali oppositori alla canonizzazione, perché non offrirci noi -noi di Tabularasa- per la parte, la parte del patrocinante filo-luciferino?!

 

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Il giuoco -va detto- è pericoloso.
Se già la vox populi Lo acclama alla gloria degli altari; se prelati, prevosti e sacrestani s'affollano ad impartire lezioni, unzioni e benedizioni; se ormai "Il Giornale" è in grado d'anticipare ch'è Lui «il miglior politico della Nuova Repubblica»; se per il Tiggì 2 ore 13 è sempre Lui «il Re Leone della Nuova Destra»; se tale risulta lo schieramento prò, a voler «remar contro», contro di Lui -Sua Novità- ed il Suo Signor d'Arcore, ebbe, si rischia grosso. Si rischia, se non ancora i rigori del Sant'Uffizio, quantomeno una più laica e miserevole figura: quella dei maldestri maledicenti, dei meschini invidiosi o -per dirla zoologicamente, alla fu Migliore- la figura dei pidocchi nella gran criniera di cotanto Leone.


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... Eppure -in tutta modestia, ma con onesta cognizione di Causa vorrei spingermi ad interpretare pensiero dei Tabulisti tutti (ecce fatta per Beniamino, che vuole e occupi di soli fanti, e si lascino i pace i santi) ed emettere per Lui e a nome Vostro- un giudizio i non meritevolezza. Aggiungo anzi -non senza ma suggerimenti- che il Venerand trui (per quanto mi e ci riguarda) andrebbe spedito, e senza troppi rimpianti, direttamente all'inferno.


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Ciò deliberato, potremmo anche aggiungere e specificare che a noi, al pari dello snaturato figlio di casa Cuppiello, «Nun ce piace o' presepe». La qualcosa, ne siam certi, non mancherà di provocare perplessità mista a costernazione, o di destare scandalo. E di suonare d'offesa ai buoni sentimenti.

Ma a noi, lo stesso: o' presepe continua a lasciarci freddamente agnostici. A non piacerci, in particolare, è il clima natalizio ottenuto con effett speciali (: effetto melassa, effetto kitsch, effetto beautiful) che vanno a sostituire, in una società tele-rappresentativa quale la nostra, i contenuti con le immagini, le apparenze con la sostanza, la verità con la virtualità.

Ed è proprio quella sua caratteristica medietà, quel suo perbenismo telegenico, quella sua scorrevole e brillante superficialità, a render grato al popolo teleutente Gianfranco Fini -e a renderlo ingrato ed indigesto a noi Tabulisti.
Ricordate? C'era un tempo in cui sbarcava il lunario, arrabattandosi come piazzista di poveri voti, fra sfollate riunioni e meste celebrazioni sezionali, ingegnandosi con obsolete liturgie e modesti articoli secolari.
Oggi è ricco e famoso: 5milioni di reddito elettorale, successo mondano assicurato, vaste frequentazioni nazionali ed estere. È suo merito? E quanto, degli eventi prodigiosi che nello spazio di un anno l'han proiettato nelle più alte sfere, è dovuto ai colpi della Dea Bendata e quanto alle spinte altrui?

 

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Sì, risulta davvero difficile capacitarsi della frivolezza con cui gli austeri esaminatori, ossia gli avversi alla Causa di beatificazione -quelli ufficiali e patentati, con tanto di bollini in regola- hanno sin dall'inizio affrontato «il fenomeno Fini». Commentatori, opinionisti, politologhi e politici, cioè, che ieri gli rinfacciavano sdegnati il suo fascismo, ed oggi manifestano virtuosi dubbi sulla sua conversione liberale. Sbagliavano ieri, sbagliano imperterriti oggi.
Ed allora, arrogandoci titolo e facoltà di redarguire gli erranti, i disinformati-disinformatori coi bollini -così potremmo scriver loro: «Cari Oppositori di un tempo che fu, Voi che avete attraversato il secolo XX nell'aver cura d'ignorare, schivare e schifare ogni e qualsiasi cosa provenisse dal pianeta maledetto- ivi comprese riflessioni, sfaccettature, revisioni che avrebbero potuto illuminarVi su quell'oscura parte dell'Universo - Voi ora state in gravi ambasce. Uno spirito beffardo vi ha fatto incontrare, lungo il cammino verso le magnifiche sorti e progressive, un intoppo.
«Un modesto intoppo, a dir il vero, che però non era previsto negli schemi lineari della premiata Vs. ottica antifascista: qualcosa di sfuggente, televisivamente prestante e adeguatamente cinico. La "stranezza" vi ha dapprima incuriosito (: sembrava un essere normale e vestiva Lebole), poi -privi di sicuri referenti, tipo: fascista-pugnal-fra-i-denti-e-bombe-a-mano- è subentrata in Voi la sorpresa, quindi, lo smarrimento, infine il timor panico.
«"Che fare?" suggeriva il buon vecchio Lenin. Ed ancora siete lì a domandarvelo, increduli, contro via della Scrofa ed i suoi alti strateghi. «Recentemente, pare, avete cominciato -secondo i bioritmi del bradypus tridactylus- a reagire. Ma reagendo a sproposito. Come si confa ad una Sinistra erratica e attaccata coi bollini; una Sinistra con la sindrome della sconfitta che ormai cazzeggia, o -più elegantemente, alla Di Pietro- che ormai non "ci azzecca" più. Anche perché -da reazionari quali Voi siete, e con tanta puzza sotto il naso- del disprezzato nemico avevate una vision di comodo, immutabile, da propaganda fìssa ed in bianco-e-nero.

«Ora che, tapini, l'antifascismo più non da rendite di posizione, ora che l'astuto (ma mica poi tanto) Fini Gianfranco già ha testimoniato che Lui e i suoi non sono fascisti, o meglio non lo sono più, anzi non lo sono mai stati - ecco che Voi, così a lungo impegnati a far da palo nel giuoco delle tre carte, Vi trovate spiazzati, col fiato corto, e senza saper più da che mazzo prendere. Buon prò Vi faccia e buon proseguimento. «Distinti saluti».

 

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Giunti alfine all'alba del 1995 c'è stato chi -come Paolo Franchi sul Corsera, 30 gennaio- s'è accorto di qualcosa che non andava nel repentino passaggio dal vetero nostalgismo missino al fresco liberismo anino. E che tale passaggio s'era rivelato -per tutti- troppo indolore. Sicché, a proposito del placido approdo di Fini alle sponde della democrazia di mercato, egli lamentava «la sostanziale afasìa che si è impadronita dei suoi avversari di sinistra e dei suoi interlocutori di centro, in tutto incapaci di contrastare, e prima ancora di comprendere, quanto andava capitando sulla destra». Ma se qua e là si avvertono barlumi di (tardiva) intelligenza, per il resto -sul fronte dell'establishment politico-culturale- ci si continua a muovere fra le tenebre dell'ottusità. Così Giorgio Bocca, che ha definito il fresco presidente di AN «politico serio e affidabile»; così Michele Santoro, che durante la puntata di "Tempo reale" con Fini ospite-protagonista, manifestava un evidente stato di soggezione; così "Cuore", che l'ha intervistato in punta di forchetta, senza mai un affondo; così Max D'Alema che dice di apprezzarne «lo stile»; e "L'Espresso" che -rapito da tanta abilità- lo pone sull'altare, definendo la trasformazione del MSI in AN «di quelle che colpiscono» ...
Ciò significa -a noi pare- che su quel versante a dominare è uno stato confusionale, e non già le democratiche tolleranza e maturità, giunte entrambe fuori tempo massimo. Ma è «uno stato», quello, che è soprattutto oscuramento di sé, perdita d'identità, oblio delle proprie ragioni d'essere, rimozione del passato. Il tutto in una dimensione «nuova» della politica, la politica del Mercato, dove si trovano ordinati e catalogati odi ed ideologie, passioni e sacrifici, contrapposizioni e convinzioni, altruismi e faziosità e speranze... tutto essendo già stato prezzato, omologato, venduto. Sicché, per dirne una, l'estrema preoccupazione di un Luciano Lama (vedi "Corsera", 21.1.1995, che alla domanda: «Fini è un liberale?») si soddisfa nella risposta: «Ah, se ne fossi proprio sicuro, sarei tranquillissimo...»!!!


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La suprema ragione del Mercato -che tutto unifica e pacifica- spiega, dunque (ma solo in parte), le ragioni per cui si sta operando per la beatificazione del Sullodato. Che, per conto suo, campa -e bene- sul bluff. Nel mentre nessuno, o quasi (: nessuno, intendo, in possesso di qualche carta buona da giuocare), è intenzionato ad andare a vedere. Tra i pochi curiosi annoveriamo Curzio Maltese, il quale ha saputo tratteggiarne un profilo quantomai incisivo, dove «Fini rappresenta, meglio di Berlusconi, il nulla televisivo al potere [...]. Micidiale l'abilità che mette ogni volta che va in TV nell'eliminare dal discorso ogni pur vago accenno ai problemi reali, che ignora. Da mesi il mondo intero ne scruta le giacche e ne setaccia le vuote interviste, per sapere se è ancora fascista. Mai che gli chiedano un parere sulle tasse, sulla disoccupazione. Le rare volte, Fini risponde con puri slogan televisivi copiati da Berlusconi, al quale sta come Guido Angeli ad Aiazzone». Sottoscriviamo e plaudiamo.


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D'altronde a volersi rileggere le espressioni di cui si serve l'on. Fini, altro non si avverte che un quieto allineamento di luoghi comuni. Come quando ascrive fra i padri nobili della sua Destra un certo Antonio Gramsci di Ales (CA), avendo orecchiato 15 anni dopo il discorso sul metodo della Nouvelle Droite; oppure, quando cita (in base alla lettura del titolo, è presumibile) «Il Manifesto dei Conservatori» quale libro fondamentale per la di lui formazione ideologico-politica - mentre si tratta, ahinoi, di un testo assolutamente minore, che segna anzi una fase di acuta stanchezza nella pur grande produzione prezzoliniana. A noi Tabulisti, insomma, il personaggio che le moltitudini di colti ed incolti vorrebbe assurgere al Settimo Cielo, risulta essere di levigata, sconsolante piattezza; vuoi per povertà lessicale e/o contenutistica, vuoi per evanescenza concettuale e vacuità politica.


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Esemplare in tal senso per «stupefacente banalità, buttata là non per stupire, ma per oneste convinzioni» (da: "Linea d'ombra") l'intervista (che varrebbe la pena poter riportare integralmente) resa ad Enzo Biagi per la rubrica "II fatto", ove il Nostro si esibisce in fantasmagorici giudizi: «Lo stanno gonfiando [Romano Prodi - n.d.r.], con larghissima adesione della stampa»; o da sfoggio di un'ironia più piccante degli omogeneizzati al plasmon: «Bossi era la negazione di una politica seria... [di lui -n.d.r.] ridono sicuramente tutti quegli italiani [...] che vogliono una politica seria». Un'intervista che si conclude scoppiettante con la domanda «È ancora dell'idea che Mussolini è stato un grande statista?» con la radente, sorridente risposta: «Non ci casco più nella trappola, direttore. Da questo punto di vista non avrà più risposte». Salvo poi ricredersi, e prontamente dichiarare tre giorni dopo, ospite dei banchieri della City, che: «Mussolin è già stato condannato dalla storia». Di simili indecenze (che dovrebbero dispiacere agli stessi antifascisti «veri») è fatto il Fini-pensiero. E così è nata, sviluppata e consacrata un leadership.
Alla cui investitura -se fossimo il un Paese serio- il telegenico leader alleato potrebbe legittimamente aspirare, con pari dignità e grado di un nano che mirasse al titolo di campione di pallacanestro. Tali, almeno, le nostre conclusioni da liberi pensatori della libera città della di Tabularasa. (A nome Vs.)
 

Alberto Ostidich

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