cinquanta anni dopo la
conclusione del II conflitto mondiale
La civiltà sociale rimane
per l'Europa simbolo di progresso
Affrontato l'olocausto dai
ministri e dagli uomini politici della RSI a tutela dei diritti conquistati
È avvenuto di recente, nel
brioso volteggiare di persone in festa per le maggiori ricorrenze dell'attuale
inverno che, quante di loro, oltre all'euforia nel fare brindisi per qualche
auspicio aggraziante, hanno rispettato anche l'uso di scorrere con lo sguardo il
nuovo calendario e avranno scoperto come l'Anno 1995 non solo approssima
l'avvento del Terzo Millennio, ma rammenta ai suoi consultori anche la
ricorrenza del primo cinquantenario dalla tragica conclusione del II conflitto
mondiale, al termine del quale allorché i vincitori materiali delle ostilità si
trovarono alla conferenza di Potsdam -nel luglio 1945- per tracciare la loro
«sistemazione territoriale ed economica» del mondo, dopo l'invasione dell'Europa
e in attesa che nell'Estremo Oriente anche il Giappone venisse occupato
successivamente al massacro di oltre 100mila nipponici nell'istante della
deflagrazione delle bombe atomiche USA su Hiroshima e Nagasaki, si dimenticarono
della necessità più importante per l'Umanità intera, quella di garantire ad essa
la pace effettiva.
Ciò si verificò perché F. D. Roosevelt, sino all'incontro a Casablanca nel
gennaio 1943 con W. L. Churchill, pretese l'assoggettamento politico di
britannici, russi, cinesi e francesi alla strategia militare di unconditional
surrender (resa incondizionata) da imporre con la potenza delle armi ai popoli
di Germania, Italia e Giappone e di ogni altro Stato europeo od asiatico che
aveva aderito alla realizzazione sulla Terra di un nuovo ordine di maggiore
equilibrio civile, economico e sociale per cui esplose la guerra nel 1939; ben
sapendo come la vicenda di Danzica fu un pretesto analogo all'altro di Sarajevo,
quando il 28 maggio 1914 lo studente serbo Gavrilo Princip assassinò l'arciduca
ereditario austriaco Francesco Ferdinando d'Absburgo e sua moglie Sofia, facendo
precipitare gli Imperi centrali nella catastrofe del I conflitto mondiale.
A Yalta, nel febbraio '45, mentre il Terzo Reich difendeva con tenacia -insieme
ai suoi alleati rimasti fedeli nonostante i tradimenti susseguitisi all'infamia
dei Savoia e di Badoglio del 25 luglio e dell'8 settembre '43- sulle fronti del
Reno, su quelle italiane delle Alpi occidentali e della linea Gotica, nei
Balcani e sull'Oder quanto gli eserciti di Eisenhower, Montgomery e Zukov non
erano riusciti a strappare all'Europa durante le offensive nell'autunno 1944,
prevaleva di nuovo la tetraggine di Roosevelt per il compimento del conflitto
soltanto attraverso la «resa incondizionata» anche di Germania e di Giappone,
temendo gli anglo-statunitensi una pace separata tra Germania e Sovietici prima
che iniziasse la battaglia di Berlino.
La tenacia dei Tedeschi e degli alleati del Terzo Reich nel difendere l'Europa
dagli invasori incalzanti sulla parte centrale del vecchio Continente, non era
stimolata soltanto dal timore della sottomissione ad inglesi, statunitensi,
sovietici ed alle eterogenee truppe che li seguivano, ma anche dalla fiducia che
Joseph Goebbels -l'abilissimo ministro germanico della Cultura popolare- aveva
saputo creare nel suo popolo e nei camerati degli altri Paesi rimasti fedeli
sull'imminente ritorno della Wehrmacht al successo militare con l'impiego a
breve scadenza delle «armi segrete» in approntamento a Peeneünde e negli altri
centri di ricerca scientifica, di perfezionamenti tecnici e sperimentali dove
oltre alla disciplina di approntamento per una nuova bomba atomica venivano
sperimentate quelle Neue Waffen (armi nuove) capaci di rivoluzionare con
tecnologie avanzate lo svolgimento strategico e tattico di combattimento.
Stimolo alla lotta le «armi nuove»
Infatti, ecco per la Luftwaffe
-dopo le bombe-missile tipo V1 e V2 che dall'estate '44 venivano proiettate su
Londra, sulle basi «alleate» oltre la Manica, di Francia e degli altri territori
invasi in seguito all'operazione Overlord (sbarco in Normandia)- l'approntamento
del caccia monoposto Bachem-Natter in funzione d'intercettatore dei bombardieri
nemici e munito di motore a razzo; segue, poi, l’Horten Ho-lX con due reattori
Jumo e con l'armamento di quattro cannoncini da 30 mm e si distingue, inoltre,
il super armato Focke-Wulf Triebflügel realizzato per il decollo verticale e per
questo battezzato «coleottero»; nascono per la Wehrmacht armi sofisticate per la
fanteria, quali i dispositivi per scoprire mediante raggi infrarossi nella
notte, i nemici in agguato, il «cannone a suono» di Wallenscheck, i proiettili a
coda stabilizzata, quelli a freccia, il tocco magico di granate a zoccolo
scartante, mentre i Panzer progredivano i perfezionamenti dei temutissimi
Jagdpanther (cacciacarro con cannone da 88 mm), per i Panzerkampfwagen V Ausf.
G. Panther (con cannone da 88 mm), dei Panzerkampfwagen VI Tiger Sdkfz 182
(Tigre Reale con cannone da 88 mm e con motore Maybach protetto da una corazza
spessa 10 cm), mentre erano prossimi ad uscire dalle fabbriche i carri E-100
(armati con un cannone da 150 mm) e quello Maus (corazzato con un «pezzo» di 150
mm ed un altro da 75 mm coassiali) ecc; pervengono nella Kriegsmarine le
applicazioni sugli U-Boot degli impianti Schnorkel per la ricarica senza
emersione anche a grandi profondità delle batterie di bordo e, quindi,
eliminanti il pericolo di individuazione dagli avversari mediante il radar; gli
U-Boot tascabili sul tipo Biber con due siluri da 553 mm, il siluro acustico di
genere V e altre innovazioni tecniche, preziose per i marinai.
Frattanto, dopo la battaglia delle Ardenne sulla fronte occidentale -intrapresa
dalla Wehrmacht per allentare la pressione nemica sulla linea Sigfrido- le
Armate di Montgomery, Bradley e Devers andavano addensando il peso della
quantità di mezzi a disposizione lungo il mitico Reno per colpire con la Ruhr
anche il principale caposaldo delle industrie tedesche. L'attacco contro Essen e
Düsseldorf degli inglesi accompagnava quello delle truppe USA nella conquista
del ponte di Remagen aprendo ad esse l'invasione di Coblenza, Mannheim e delle
altre città dove la violenza della guerra era stata fatta conoscere con i
massacranti bombardamenti dei quadrimotori della RAF e della USAF, che
raggruppavano la potenza aerea britannica e nord-americana.
Presente la RSI in ogni trincea
Sulla fronte italiana, la linea
delle Alpi occidentali e della Riviera ligure di Ponente impegnava con i fanti
germanici del generale Schlemmer (LXXV Korps) e quelli del generale Jahn
(Lombardia Korps) le divisioni Monterosa, Littorio e San Marco della Repubblica
Sociale con al comando, i generali Carloni (sostituito dal col. Milazzo nel
febbraio '45), Agosti e Farina, tutte forze componenti l'Armata Liguria agli
ordini del Maresciallo R. Graziani, della quale facevano parte anche le Brigate
Nere mobili Picot e Resega, il Raggr. Cacciatori degli Appennini e altri Reparti
di volontari. Per la capacità di questo schieramento le forze americane e
degaulliste provenienti dalla Provenza soltanto all'inizio di maggio '45 -quando
si concluderà il conflitto in Italia- riusciranno a penetrare nella Valle
d'Aosta, nel Piemonte e nel Sanremese.
Sulla linea Gotica, dopo la controffensiva degli Alpini della Monterosa e dei
Bersaglieri della divisione Italia rafforzata dai contingenti germanici di von
Vietinghoff che aveva costretto i soldati USA, brasiliani e indiani a ritirarsi
verso Lucca abbandonando parte della Garfagnana, la quantità di truppe americana
della V Armata (gen. Truscott) e di quelle inglesi dell'VIII Armata (gen. Mac
Creery) disponeva di 3.000 cannoni, 3.100 carri armati, ben 4.000 aerei contro
soltanto 100 cannoni, 200 Panzer e 60 aerei delle forze italo-tedesche. Alla
schiacciante superiorità di truppe e di mezzi in dotazione dell'VIII Armata
inglese anche nel territorio romagnolo della linea Gotica, prima sul Senio e poi
sul Santerno, il I Gruppo di Combattimento della X Flottiglia Mas contrappose
l'ardimento dei Btgg. Barbarigo, N.P., Freccia e Colleoni confermando -come
aveva già fatto il Btg. Lupo- con il valore dei Marò e dei Com.ti De Giacomo e
Sannucci la volontà dei soldati della RSI di riscattare l'Onore della Patria.
«O legionari, in alto i gagliardetti, serrati i ranghi, è l'ora di marciar»
cantavano i volontari del Rgt. Tagliamento di Zuliani sulla fronte orientale -in
Friuli e Venezia Giulia- quando i 15.495 combattenti della RSI insieme a 30.739
camerati tedeschi, 3.564 cetnici, 2.631 cosacchi e 1.127 domobranci sloveni
affrontarono il IX Korpus di J. Broz che con le divisioni Gorica e Triglav
tentava di travolgere le posizioni esistenti nell'Adriatisches Küstenland per
stabilire sulle rive del fiume di Spilimbergo e di Latisana, la nuova frontiera
jugoslava.
Già allora l'italianità di quelle terre ritornò ad essere indiscutibile ed a ciò
contribuì decisamente il sacrificio -specie nel Goriziano- del 4° Rgt. Milizia
Difesa Territoriale, delle Camicie Nere stanziate sulla Bainsizza, dello
Squadrone autoblindo Celere, dei genieri del CXLVII Btg. Tecnico al quale si
aggiunse, sulla Selva di Tarnova, l'azione dei Btgg. Fulmine, Sagittario, N.P. e
San Giorgio della X Mas che insieme diedero a Mussolini, ai Prefetti
repubblicani anche di Trieste, Pola, Fiume e Zara gli strumenti di fermezza per
condannare le manovre del gauleiter F. Rainer.
Su tutto gravava l'inconsolabile tormento per il sacrificio sofferto dopo l'8
settembre da un numero mai precisato di Italiani che le bande di Tito avevano
gettati vivi a morire con afflizione nelle foibe sulle doline del Carso e dei
rilievi istriani.
Sul Baltico, nel Nord Europa, il I Btg. Nebbiogeno guidato dal cap. R. Di Pietro
conseguiva dall'OKW (Comando superiore della Wehrmacht) una citazione di
capacità operativa nella difesa dalle incursioni del nemico sulle basi
missilistiche di Swinemünde e che confermava al col. C. Fedi il valore dei
soldati che comandava.
Non dimentichiamo che nel Dodecaneso il tricolore della RSI rappresentò la
sovranità italiana dal 17 ottobre '43 e, governatore di Rodi, rimase il
diplomatico I. F. Faralli, mentre la Federazione del PFR nell'Egeo ebbe come
dirigenti Renato Burrini e Antonio Cocchieri che soltanto nel maggio '45
deposero le armi. L'incalzare di questi avvenimenti non turbava Churchill che
già nell'ottobre '44 aveva concesso all'URSS, mediante un accordo con Stalin e
in compenso «politico» dei 13,6 milioni di soldati sovietici caduti in guerra,
la spartizione futura dei Balcani insieme al predominio russo su Polonia,
Finlandia, Stati baltici e Cecoslovacchia.
Churchill regala i Balcani all'URSS
Infatti, mentre Roosevelt era
impegnato negli USA per il rinnovo del suo mandato presidenziale, Churchill non
voleva perdere tempo ed ecco la spartizione nei dettagli: in Romania, preminenza
del 90% a vantaggio dell'URSS, il 10% agli altri; in Grecia, il 90% alla Gran
Bretagna (da spartire con gli USA), il 10% all'URSS; nella Bulgaria, 75%
all'URSS, 25% agli altri; in Ungheria, 80% all'URSS, 20% agli altri; in
Jugoslavia dominava Tito, allora «fedele alleato» di Mosca, pertanto piena
autonomia a Josip Broz.
In riflesso a questo baratto, l'azione offensiva dell'Armata Rossa nei Balcani
assunse una strategia anche politica. Nella Romania re Michele riuscì ad emulare
Vittorio Emanuele III di Savoia nel tradire l'Asse: fece arrestare il Conducator
I. Antonescu dal gen. Zanatescu, il quale lo fucilò e poi sottoscrisse la «resa
incondizionata» con l'URSS come Castellano a Cassibile. Nella Bulgaria, pur
essendo soltanto in guerra con USA e Inghilterra, re Borsi fu costretto dagli
inglesi a firmare la solita resa con l'URSS che gli impose di assegnare a
Muraiev la guida di un governo sovietizzato. Nella Grecia, sebbene gli inglesi
fossero convinti di rimanere almeno padroni della patria di Socrate, dopo
l'evacuazione tedesca del territorio ellenico il re Giorgio allargò ai comunisti
dell'ELAS la partecipazione al governo Papandreu, ma non si lasciarono disarmare
e scoppiò la guerra civile.
Frattanto, l'Armata Rossa della fronte ucraina, guidata dai generali Petrov,
Malinovsky e Tolbukhin, raggiungeva la Jugoslavia serba e l'Ungheria. A Budapest
l'ammiraglio M. Horty tentava con il gen. G. Lakatos un'operazione identica di
tradimento come Badoglio, Zanatescu e Muraiev, ma gli ungheresi non accettarono
il gioco del «badoglio magiaro» e tanto meno il governo fantoccio di D. Miklòs
installato dai sovietici a Debreczen, affidando a Ferenc Szàlasy, alle Croci
frecciate ed ai reduci dalle fronti russe la difesa della loro libertà.
Come nelle altre parti d'Europa, sulla fronte del bacino danubiano -oltre ai
danni immensi provocati dal conflitto militare- seguivano anche quelli delle
lotte politiche e degli scontri ideologici: i sovietici, alleati momentanei del
capitalismo reazionario, dopo aver soffocato i continuatori del movimento delle
Guardie di ferro generato da C. Z. Codreanu in Romania, ottenuta da Tito
l'eliminazione dei cetnici di D. Mihajlovic nella Serbia, prossimi a distruggere
lo schieramento degli ustascia di A. Pavelic nella Croazia, scontravano sulle
colline di Buda e nei quartieri di Pest la resistenza tenace dei magiari, che
già nel 1919 avevano travolto il regime comunista di Bela Kun, e puntavano a
punire con la fucilazione a Bratislava (come avverrà nel 1947) monsignor Jozef
Tiso, «reo» -a loro avviso- di avere guidato il popolo slovacco a conquistare la
civiltà del lavoro e la libertà che scaturisce dal progresso sociale.
A sviluppare questa persecuzione politica nei Paesi balcanici occupati in
quell'inizio del '45 era il gruppo di Armate sovietiche del maresciallo Konev
contro cui, prima dell'attacco russo a Berlino, la VI Armata Panzer delle Waffen
Schutzstajfen (le unità combattenti di volontari del partito nazionalsocialista,
incrementate negli ultimi anni del conflitto da notevoli aliquote di altri
volontari europei, musulmani, russi e ucraini) condotta dal gen. Sepp Dietrich e
il Gruppo Armate «E» del gen. Loehr sferrarono il contrattacco
Frühlingssehrwachen per liberare i camerati ungaro-germanici circondati
dall'assedio nemico in Budapest e per difendere i rifornimenti preziosi di
petrolio dal territorio del lago Balaton, consentendo altresì ai gruppi di
combattimento del gen. Schoerner di potenziare le proprie difese in Boemia e
nella Moravia.
Gli assi a caccia di fortezze volanti
Per riuscire ad accelerare la
conclusione del conflitto in Europa gli strateghi di USA e Regno britannico
(anche nel timore che le «armi nuove» dei Tedeschi fossero una bomba atomica su
New York) non solo forzarono la pressione degli eserciti «alleati» sulla fronte
del Reno, ma accentuarono lo sviluppo di bombardamenti massicci facendo
ascendere ad oltre il 50% la gravita delle perdite civili rispetto a quello
globale dei Caduti durante l'intera guerra 1938-45. Il gen. Spaatz perfezionò
gli attacchi dell'USAF sul territorio germanico, mentre il maresciallo Harris
provvedeva con la RAF alle imprese notturne, come quella di Dresda -ad esempio-
dove l'intera città venne rasa al suolo in poche ore durante le quali le bombe
d'ogni tipo di Sua Maestà britannica assassinarono un numero maggiore di persone
di quelle che verranno poi annientate con le bombe atomiche USA nel Giappone a
Hiroshima e Nagasaki.
Per provocare nel Reich germanico, nella RSI e negli altri Paesi non ancora
invasi la maggior quantità possibile di «terra bruciata», le fortezze volanti
statunitensi B25 J Liberator e B17 F Flying Fortress gareggiavano con quelle
inglesi Short Stirling III (bombardieri notturni), Avrò Lancaster e H.P. Halifax
III per annientare oltre ai movimenti di truppe la maggiore quantità possibile
di popolazione civile.
La Luftwaffe, oltre ai rinomati Messerschmidt Bf HOC ed ai Bf 109 E, con gli
Arado 440 ed i Focke Wulf 190, catapultò nella difesa dalle incursioni il primo
ed unico caccia con propulsione a razzo entrato in azione durante il conflitto,
cioè il Messerschmidt Me 163 B Komet che raggiungeva 10.000 metri di quota in
due minuti e trenta secondi, inoltre il Messerschmidt Me 262 A Sturmvogel, primo
caccia a reazione usato nel mondo e che portò lo scompiglio tra le squadriglie
nemiche, infine l’Heinkel HE 162 A Salamander più noto come Volksjàger che, per
le sue eccezionali qualità, veniva solo affidato ai veterani dello Jg 84. Non si
ignori che già a Casablanca era stato indicato da Roosevelt e Churchill come
l'obiettivo principale delle forze aeree «alleate» consiste nel distruggere e
nello scardinare il sistema militare, industriale ed economico tedesco a tal
punto da indebolirne ogni capacità di resistenza.
Con i nuovi aerei indicati (purtroppo pochi rispetto alle reali necessità!)
l’élite di assi della caccia nella Luftwaffe guidata dal col. Adolf Galland
-autore dell'abbattimento di 250 aerei nemici- raggiunse una quantità
eccezionale di vittorie non sufficiente però, a capovolgere la situazione
militare. Infatti, al momento della cessazione delle ostilità, la graduatoria
degli abbattimenti era la seguente: magg. E. Hartmann, autore di 346 vittorie
aeree, Barkhom (301), Rall (275), Kittel (267), Nowotny (258), Batz (242),
Rudorfer (222), Baer (220), Philipp (213), Graf (202) e l'elenco continuava con
altri 32 piloti autori di oltre cento abbattimenti di velivoli nemici a testa.
Anche l'Aviazione repubblicana della RSI non mancò all'appello in difesa
dell'Europa e dei cieli dell'Italia settentrionale: il magg. A. Visconti aveva
raggiunto 26 vittorie, compiuto 600 missioni ed affrontato 72 combattimenti nei
cieli prima di venire assassinato dai partigiani in Lombardia. Segue il serg.
magg. T. Martinoli con 22 vittorie, 60 scontri e poi l'abbattimento. Non
dimentichiamo il com.te Faggioni che con gli otto aerosiluranti del ten.
Bertuzzi affondò 30.000 tonn. di naviglio nemico dinanzi alla testa di ponte di
Anzio, mentre la notte del 9 aprile 1944 -dopo aver affondato altre due navi
nemiche- il SM 79 da lui pilotato precipitò durante una tempesta. Altri dodici
aerosiluranti della RSI vennero comandati dal cap. M. Marini in un'incursione su
Gibilterra che si concluse con l'affondamento di altre sei navi. Inoltre, 80.000
tonn. di unità nemiche vennero colate a picco dagli aerei della RSI in
Cirenaica, nella Grecia, a Bari ed Ancona. Il «gobbo maledetto» SM 79 ebbe nel
disegno di W. Molino sul n° 25, anno 46° della Domenica del Corriere del
18.6.1944-XXII l'esaltazione dell'impresa compiuta che confermò come i nostri
piloti gareggiavano in ardimento con quelli della Luftwaffe.
L'assalto a Berlino dell'armata rossa
Era il 12 aprile '45 allorché a
Warm Springs (USA, Georgia) l'uomo del New Deal che, con Churchill e con Stalin,
aveva elaborato i più antitetici compromessi politici per impedire la
realizzazione nel mondo di un nuovo ordine sociale che introducesse nello
sviluppo economico delle Nazioni innovazioni quale la socializzazione delle
imprese, venne stroncato da emorragia cerebrale e H. S. Truman (nel succedere a
Roosevelt) continuò la linea del suo predecessore anche in ambito internazionale
ed applaudì all'attacco sovietico contro Berlino.
Dalla confluenza nel Brandenburgo delle Armate sovietiche delle fronti
bielorusse ed ucraine il maresciallo Zukov trasse la forza militare per
l'assalto finale contro la capitale del Terzo Reich. Lo schieramento dell'Armata
rossa contava su 1.500.000 fanti appoggiati da 28.000 cannoni, 3.300 carri
armati e 10.000 aerei, mentre la fronte germanica era difesa da 596.000
combattenti (la metà circa di essi erano giovani della Hitlerjugend oppure
anziani intorno ai 60 anni di età reclutati nel Volksturm, l'armata popolare
organizzata da Goebbels) forniti di 8.230 cannoni, 700 carri armati e 1.300
velivoli.
Lo scontro fu immane, perché l'URSS imponeva la ponderazione agli «alleati» di
Washington e di Londra sulla demolizione militare del Terzo Reich con il
sacrificio dei soldati russi, mentre i Tedeschi -indifferenti a quale dei tre
vincitori sarebbe riuscito a prevalere sugli altri- volevano garantire con il
proprio sacrificio la continuità dell'Europa e della sua operatività costruttiva
nel futuro del mondo.
Quando l'intensità di esplosioni e di rovine spense a Berlino l'ultimo eco
dell’Horst Wessel Lied cantato dagli estremi difensori del Reichstag e
dell'Europa, incominciò la persecuzione degli sconfitti ed il vae victis imposto
da Brenno nel 390 a.C. sui Romani si rinnovò in maniera assai più empia
dell'epoca latina.
Con i processi politici prima di Norimberga e poi di Tokyo i vincitori del
conflitto militare 1939-45 mandarono a morte non solo i capi della parti
sconfitte, ma soprattutto i progetti economici di equilibrio sociale negli
sviluppi della finanza mondiale. Così in Francia, dopo la fucilazione di Lavai,
Brasillach e molti altri, H.P. Petain si salvò non in quanto vincitore di Verdun
nel 1916, ma per i suoi novanta anni. Nel Belgio, Leon Degrelle e ogni aderente
al movimento rexista non ebbero più pace. Nella Norvegia, il politico Vidkun
Quisling venne trucidato e non si ebbe pietà per il premio Nobel scrittore K.
Hansum. In Finlandia, fu il popolo finnico ad impedire che il gen. Mannerheim
-padre di quella Patria scandinava- venisse eliminato dagli invasori sovietici.
Il grande olocausto della Repubblica Sociale
In Italia, l'olocausto della
Repubblica Sociale ebbe il suo cardine drammatico in piazzale Loreto a Milano
dove -dopo il massacro a Dongo e dintorni degli uomini più rappresentativi del
nuovo Stato fascista- le salme di Mussolini e dei suoi ministri vennero appese
per i piedi ai tralicci di un distributore di benzina ed esposti all'offesa
oscena di plebe plaudente anche dinanzi a scene orribili.
Con l'assassinio del Capo della RSI, dei più validi esponenti del Fascismo
repubblicano, anche dell'ascetica personalità di don Tullio Calcagno
(l'intrepido sacerdote di “Crociata Italica”), di decine e decine di migliaia di
quanti allo Stato nazionale del lavoro -con la socializzazione- diedero la
maggiore impronta di civiltà sociale, la plutocrazia anglosassone ed il
comunismo sovietico -usando come boia i fanatici del CLN- hanno tentato di
cancellare dalla realtà politica quei fondamenti di equilibrio nell'economia e
nella produzione che Washington, Londra e Mosca non potevano riconoscere nel
loro valore etico, altrimenti avrebbero dovuto ammettere di essere la parte
sbagliata. Cinquanta anni dopo tali eventi, le «celebrazioni» in proposito si
moltiplicheranno in misura geometrica, mentre saranno orientate ad osannare
quanti allora con maggiore disponibilità di armi, di mezzi e di uomini
riuscirono a sopraffare l'Europa e la nuova Asia.
Noi preferiamo tratteggiare già adesso la realtà di quel tragico '45 per
rammentare anche a coloro che sono pronti a qualsiasi ripudio ideologico -come
quelli di Alleanza nazionale- pur di non perdere redditizie posizioni pubbliche,
quale maggiore valore etico assume oggi la tesi di Ezra Pound indicante che se
un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee
non valgono nulla, o non vale niente lui! È necessario puntualizzare ciò, in
quanto per quelle Idee milioni di cittadini, di soldati e di civili sono caduti
in difesa della civiltà, quindi Esse hanno un valore storico e di progresso
indiscutibile. Pertanto, sono i neo-addetti alle salmerie della
liberal-democrazia reazionaria che possono trarre le dovute conclusioni su
quanto E. Pound ha tanto bene specificato.
Bruno De Padova
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