«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 2 - 15 Marzo 1995

 

cinquanta anni dopo la conclusione del II conflitto mondiale

La civiltà sociale rimane per l'Europa simbolo di progresso


 

Affrontato l'olocausto dai ministri e dagli uomini politici della RSI a tutela dei diritti conquistati
 

È avvenuto di recente, nel brioso volteggiare di persone in festa per le maggiori ricorrenze dell'attuale inverno che, quante di loro, oltre all'euforia nel fare brindisi per qualche auspicio aggraziante, hanno rispettato anche l'uso di scorrere con lo sguardo il nuovo calendario e avranno scoperto come l'Anno 1995 non solo approssima l'avvento del Terzo Millennio, ma rammenta ai suoi consultori anche la ricorrenza del primo cinquantenario dalla tragica conclusione del II conflitto mondiale, al termine del quale allorché i vincitori materiali delle ostilità si trovarono alla conferenza di Potsdam -nel luglio 1945- per tracciare la loro «sistemazione territoriale ed economica» del mondo, dopo l'invasione dell'Europa e in attesa che nell'Estremo Oriente anche il Giappone venisse occupato successivamente al massacro di oltre 100mila nipponici nell'istante della deflagrazione delle bombe atomiche USA su Hiroshima e Nagasaki, si dimenticarono della necessità più importante per l'Umanità intera, quella di garantire ad essa la pace effettiva.
Ciò si verificò perché F. D. Roosevelt, sino all'incontro a Casablanca nel gennaio 1943 con W. L. Churchill, pretese l'assoggettamento politico di britannici, russi, cinesi e francesi alla strategia militare di unconditional surrender (resa incondizionata) da imporre con la potenza delle armi ai popoli di Germania, Italia e Giappone e di ogni altro Stato europeo od asiatico che aveva aderito alla realizzazione sulla Terra di un nuovo ordine di maggiore equilibrio civile, economico e sociale per cui esplose la guerra nel 1939; ben sapendo come la vicenda di Danzica fu un pretesto analogo all'altro di Sarajevo, quando il 28 maggio 1914 lo studente serbo Gavrilo Princip assassinò l'arciduca ereditario austriaco Francesco Ferdinando d'Absburgo e sua moglie Sofia, facendo precipitare gli Imperi centrali nella catastrofe del I conflitto mondiale.
A Yalta, nel febbraio '45, mentre il Terzo Reich difendeva con tenacia -insieme ai suoi alleati rimasti fedeli nonostante i tradimenti susseguitisi all'infamia dei Savoia e di Badoglio del 25 luglio e dell'8 settembre '43- sulle fronti del Reno, su quelle italiane delle Alpi occidentali e della linea Gotica, nei Balcani e sull'Oder quanto gli eserciti di Eisenhower, Montgomery e Zukov non erano riusciti a strappare all'Europa durante le offensive nell'autunno 1944, prevaleva di nuovo la tetraggine di Roosevelt per il compimento del conflitto soltanto attraverso la «resa incondizionata» anche di Germania e di Giappone, temendo gli anglo-statunitensi una pace separata tra Germania e Sovietici prima che iniziasse la battaglia di Berlino.
La tenacia dei Tedeschi e degli alleati del Terzo Reich nel difendere l'Europa dagli invasori incalzanti sulla parte centrale del vecchio Continente, non era stimolata soltanto dal timore della sottomissione ad inglesi, statunitensi, sovietici ed alle eterogenee truppe che li seguivano, ma anche dalla fiducia che Joseph Goebbels -l'abilissimo ministro germanico della Cultura popolare- aveva saputo creare nel suo popolo e nei camerati degli altri Paesi rimasti fedeli sull'imminente ritorno della Wehrmacht al successo militare con l'impiego a breve scadenza delle «armi segrete» in approntamento a Peeneünde e negli altri centri di ricerca scientifica, di perfezionamenti tecnici e sperimentali dove oltre alla disciplina di approntamento per una nuova bomba atomica venivano sperimentate quelle Neue Waffen (armi nuove) capaci di rivoluzionare con tecnologie avanzate lo svolgimento strategico e tattico di combattimento.

Stimolo alla lotta le «armi nuove»
 

Infatti, ecco per la Luftwaffe -dopo le bombe-missile tipo V1 e V2 che dall'estate '44 venivano proiettate su Londra, sulle basi «alleate» oltre la Manica, di Francia e degli altri territori invasi in seguito all'operazione Overlord (sbarco in Normandia)- l'approntamento del caccia monoposto Bachem-Natter in funzione d'intercettatore dei bombardieri nemici e munito di motore a razzo; segue, poi, l’Horten Ho-lX con due reattori Jumo e con l'armamento di quattro cannoncini da 30 mm e si distingue, inoltre, il super armato Focke-Wulf Triebflügel realizzato per il decollo verticale e per questo battezzato «coleottero»; nascono per la Wehrmacht armi sofisticate per la fanteria, quali i dispositivi per scoprire mediante raggi infrarossi nella notte, i nemici in agguato, il «cannone a suono» di Wallenscheck, i proiettili a coda stabilizzata, quelli a freccia, il tocco magico di granate a zoccolo scartante, mentre i Panzer progredivano i perfezionamenti dei temutissimi Jagdpanther (cacciacarro con cannone da 88 mm), per i Panzerkampfwagen V Ausf. G. Panther (con cannone da 88 mm), dei Panzerkampfwagen VI Tiger Sdkfz 182 (Tigre Reale con cannone da 88 mm e con motore Maybach protetto da una corazza spessa 10 cm), mentre erano prossimi ad uscire dalle fabbriche i carri E-100 (armati con un cannone da 150 mm) e quello Maus (corazzato con un «pezzo» di 150 mm ed un altro da 75 mm coassiali) ecc; pervengono nella Kriegsmarine le applicazioni sugli U-Boot degli impianti Schnorkel per la ricarica senza emersione anche a grandi profondità delle batterie di bordo e, quindi, eliminanti il pericolo di individuazione dagli avversari mediante il radar; gli U-Boot tascabili sul tipo Biber con due siluri da 553 mm, il siluro acustico di genere V e altre innovazioni tecniche, preziose per i marinai.
Frattanto, dopo la battaglia delle Ardenne sulla fronte occidentale -intrapresa dalla Wehrmacht per allentare la pressione nemica sulla linea Sigfrido- le Armate di Montgomery, Bradley e Devers andavano addensando il peso della quantità di mezzi a disposizione lungo il mitico Reno per colpire con la Ruhr anche il principale caposaldo delle industrie tedesche. L'attacco contro Essen e Düsseldorf degli inglesi accompagnava quello delle truppe USA nella conquista del ponte di Remagen aprendo ad esse l'invasione di Coblenza, Mannheim e delle altre città dove la violenza della guerra era stata fatta conoscere con i massacranti bombardamenti dei quadrimotori della RAF e della USAF, che raggruppavano la potenza aerea britannica e nord-americana.

Presente la RSI in ogni trincea
 

Sulla fronte italiana, la linea delle Alpi occidentali e della Riviera ligure di Ponente impegnava con i fanti germanici del generale Schlemmer (LXXV Korps) e quelli del generale Jahn (Lombardia Korps) le divisioni Monterosa, Littorio e San Marco della Repubblica Sociale con al comando, i generali Carloni (sostituito dal col. Milazzo nel febbraio '45), Agosti e Farina, tutte forze componenti l'Armata Liguria agli ordini del Maresciallo R. Graziani, della quale facevano parte anche le Brigate Nere mobili Picot e Resega, il Raggr. Cacciatori degli Appennini e altri Reparti di volontari. Per la capacità di questo schieramento le forze americane e degaulliste provenienti dalla Provenza soltanto all'inizio di maggio '45 -quando si concluderà il conflitto in Italia- riusciranno a penetrare nella Valle d'Aosta, nel Piemonte e nel Sanremese.
Sulla linea Gotica, dopo la controffensiva degli Alpini della Monterosa e dei Bersaglieri della divisione Italia rafforzata dai contingenti germanici di von Vietinghoff che aveva costretto i soldati USA, brasiliani e indiani a ritirarsi verso Lucca abbandonando parte della Garfagnana, la quantità di truppe americana della V Armata (gen. Truscott) e di quelle inglesi dell'VIII Armata (gen. Mac Creery) disponeva di 3.000 cannoni, 3.100 carri armati, ben 4.000 aerei contro soltanto 100 cannoni, 200 Panzer e 60 aerei delle forze italo-tedesche. Alla schiacciante superiorità di truppe e di mezzi in dotazione dell'VIII Armata inglese anche nel territorio romagnolo della linea Gotica, prima sul Senio e poi sul Santerno, il I Gruppo di Combattimento della X Flottiglia Mas contrappose l'ardimento dei Btgg. Barbarigo, N.P., Freccia e Colleoni confermando -come aveva già fatto il Btg. Lupo- con il valore dei Marò e dei Com.ti De Giacomo e Sannucci la volontà dei soldati della RSI di riscattare l'Onore della Patria.
«O legionari, in alto i gagliardetti, serrati i ranghi, è l'ora di marciar» cantavano i volontari del Rgt. Tagliamento di Zuliani sulla fronte orientale -in Friuli e Venezia Giulia- quando i 15.495 combattenti della RSI insieme a 30.739 camerati tedeschi, 3.564 cetnici, 2.631 cosacchi e 1.127 domobranci sloveni affrontarono il IX Korpus di J. Broz che con le divisioni Gorica e Triglav tentava di travolgere le posizioni esistenti nell'Adriatisches Küstenland per stabilire sulle rive del fiume di Spilimbergo e di Latisana, la nuova frontiera jugoslava.
Già allora l'italianità di quelle terre ritornò ad essere indiscutibile ed a ciò contribuì decisamente il sacrificio -specie nel Goriziano- del 4° Rgt. Milizia Difesa Territoriale, delle Camicie Nere stanziate sulla Bainsizza, dello Squadrone autoblindo Celere, dei genieri del CXLVII Btg. Tecnico al quale si aggiunse, sulla Selva di Tarnova, l'azione dei Btgg. Fulmine, Sagittario, N.P. e San Giorgio della X Mas che insieme diedero a Mussolini, ai Prefetti repubblicani anche di Trieste, Pola, Fiume e Zara gli strumenti di fermezza per condannare le manovre del gauleiter F. Rainer.
Su tutto gravava l'inconsolabile tormento per il sacrificio sofferto dopo l'8 settembre da un numero mai precisato di Italiani che le bande di Tito avevano gettati vivi a morire con afflizione nelle foibe sulle doline del Carso e dei rilievi istriani.
Sul Baltico, nel Nord Europa, il I Btg. Nebbiogeno guidato dal cap. R. Di Pietro conseguiva dall'OKW (Comando superiore della Wehrmacht) una citazione di capacità operativa nella difesa dalle incursioni del nemico sulle basi missilistiche di Swinemünde e che confermava al col. C. Fedi il valore dei soldati che comandava.
Non dimentichiamo che nel Dodecaneso il tricolore della RSI rappresentò la sovranità italiana dal 17 ottobre '43 e, governatore di Rodi, rimase il diplomatico I. F. Faralli, mentre la Federazione del PFR nell'Egeo ebbe come dirigenti Renato Burrini e Antonio Cocchieri che soltanto nel maggio '45 deposero le armi. L'incalzare di questi avvenimenti non turbava Churchill che già nell'ottobre '44 aveva concesso all'URSS, mediante un accordo con Stalin e in compenso «politico» dei 13,6 milioni di soldati sovietici caduti in guerra, la spartizione futura dei Balcani insieme al predominio russo su Polonia, Finlandia, Stati baltici e Cecoslovacchia.

Churchill regala i Balcani all'URSS
 

Infatti, mentre Roosevelt era impegnato negli USA per il rinnovo del suo mandato presidenziale, Churchill non voleva perdere tempo ed ecco la spartizione nei dettagli: in Romania, preminenza del 90% a vantaggio dell'URSS, il 10% agli altri; in Grecia, il 90% alla Gran Bretagna (da spartire con gli USA), il 10% all'URSS; nella Bulgaria, 75% all'URSS, 25% agli altri; in Ungheria, 80% all'URSS, 20% agli altri; in Jugoslavia dominava Tito, allora «fedele alleato» di Mosca, pertanto piena autonomia a Josip Broz.
In riflesso a questo baratto, l'azione offensiva dell'Armata Rossa nei Balcani assunse una strategia anche politica. Nella Romania re Michele riuscì ad emulare Vittorio Emanuele III di Savoia nel tradire l'Asse: fece arrestare il Conducator I. Antonescu dal gen. Zanatescu, il quale lo fucilò e poi sottoscrisse la «resa incondizionata» con l'URSS come Castellano a Cassibile. Nella Bulgaria, pur essendo soltanto in guerra con USA e Inghilterra, re Borsi fu costretto dagli inglesi a firmare la solita resa con l'URSS che gli impose di assegnare a Muraiev la guida di un governo sovietizzato. Nella Grecia, sebbene gli inglesi fossero convinti di rimanere almeno padroni della patria di Socrate, dopo l'evacuazione tedesca del territorio ellenico il re Giorgio allargò ai comunisti dell'ELAS la partecipazione al governo Papandreu, ma non si lasciarono disarmare e scoppiò la guerra civile.
Frattanto, l'Armata Rossa della fronte ucraina, guidata dai generali Petrov, Malinovsky e Tolbukhin, raggiungeva la Jugoslavia serba e l'Ungheria. A Budapest l'ammiraglio M. Horty tentava con il gen. G. Lakatos un'operazione identica di tradimento come Badoglio, Zanatescu e Muraiev, ma gli ungheresi non accettarono il gioco del «badoglio magiaro» e tanto meno il governo fantoccio di D. Miklòs installato dai sovietici a Debreczen, affidando a Ferenc Szàlasy, alle Croci frecciate ed ai reduci dalle fronti russe la difesa della loro libertà.
Come nelle altre parti d'Europa, sulla fronte del bacino danubiano -oltre ai danni immensi provocati dal conflitto militare- seguivano anche quelli delle lotte politiche e degli scontri ideologici: i sovietici, alleati momentanei del capitalismo reazionario, dopo aver soffocato i continuatori del movimento delle Guardie di ferro generato da C. Z. Codreanu in Romania, ottenuta da Tito l'eliminazione dei cetnici di D. Mihajlovic nella Serbia, prossimi a distruggere lo schieramento degli ustascia di A. Pavelic nella Croazia, scontravano sulle colline di Buda e nei quartieri di Pest la resistenza tenace dei magiari, che già nel 1919 avevano travolto il regime comunista di Bela Kun, e puntavano a punire con la fucilazione a Bratislava (come avverrà nel 1947) monsignor Jozef Tiso, «reo» -a loro avviso- di avere guidato il popolo slovacco a conquistare la civiltà del lavoro e la libertà che scaturisce dal progresso sociale.
A sviluppare questa persecuzione politica nei Paesi balcanici occupati in quell'inizio del '45 era il gruppo di Armate sovietiche del maresciallo Konev contro cui, prima dell'attacco russo a Berlino, la VI Armata Panzer delle Waffen Schutzstajfen (le unità combattenti di volontari del partito nazionalsocialista, incrementate negli ultimi anni del conflitto da notevoli aliquote di altri volontari europei, musulmani, russi e ucraini) condotta dal gen. Sepp Dietrich e il Gruppo Armate «E» del gen. Loehr sferrarono il contrattacco Frühlingssehrwachen per liberare i camerati ungaro-germanici circondati dall'assedio nemico in Budapest e per difendere i rifornimenti preziosi di petrolio dal territorio del lago Balaton, consentendo altresì ai gruppi di combattimento del gen. Schoerner di potenziare le proprie difese in Boemia e nella Moravia.

Gli assi a caccia di fortezze volanti
 

Per riuscire ad accelerare la conclusione del conflitto in Europa gli strateghi di USA e Regno britannico (anche nel timore che le «armi nuove» dei Tedeschi fossero una bomba atomica su New York) non solo forzarono la pressione degli eserciti «alleati» sulla fronte del Reno, ma accentuarono lo sviluppo di bombardamenti massicci facendo ascendere ad oltre il 50% la gravita delle perdite civili rispetto a quello globale dei Caduti durante l'intera guerra 1938-45. Il gen. Spaatz perfezionò gli attacchi dell'USAF sul territorio germanico, mentre il maresciallo Harris provvedeva con la RAF alle imprese notturne, come quella di Dresda -ad esempio- dove l'intera città venne rasa al suolo in poche ore durante le quali le bombe d'ogni tipo di Sua Maestà britannica assassinarono un numero maggiore di persone di quelle che verranno poi annientate con le bombe atomiche USA nel Giappone a Hiroshima e Nagasaki.
Per provocare nel Reich germanico, nella RSI e negli altri Paesi non ancora invasi la maggior quantità possibile di «terra bruciata», le fortezze volanti statunitensi B25 J Liberator e B17 F Flying Fortress gareggiavano con quelle inglesi Short Stirling III (bombardieri notturni), Avrò Lancaster e H.P. Halifax III per annientare oltre ai movimenti di truppe la maggiore quantità possibile di popolazione civile.
La Luftwaffe, oltre ai rinomati Messerschmidt Bf HOC ed ai Bf 109 E, con gli Arado 440 ed i Focke Wulf 190, catapultò nella difesa dalle incursioni il primo ed unico caccia con propulsione a razzo entrato in azione durante il conflitto, cioè il Messerschmidt Me 163 B Komet che raggiungeva 10.000 metri di quota in due minuti e trenta secondi, inoltre il Messerschmidt Me 262 A Sturmvogel, primo caccia a reazione usato nel mondo e che portò lo scompiglio tra le squadriglie nemiche, infine l’Heinkel HE 162 A Salamander più noto come Volksjàger che, per le sue eccezionali qualità, veniva solo affidato ai veterani dello Jg 84. Non si ignori che già a Casablanca era stato indicato da Roosevelt e Churchill come l'obiettivo principale delle forze aeree «alleate» consiste nel distruggere e nello scardinare il sistema militare, industriale ed economico tedesco a tal punto da indebolirne ogni capacità di resistenza.
Con i nuovi aerei indicati (purtroppo pochi rispetto alle reali necessità!) l’élite di assi della caccia nella Luftwaffe guidata dal col. Adolf Galland -autore dell'abbattimento di 250 aerei nemici- raggiunse una quantità eccezionale di vittorie non sufficiente però, a capovolgere la situazione militare. Infatti, al momento della cessazione delle ostilità, la graduatoria degli abbattimenti era la seguente: magg. E. Hartmann, autore di 346 vittorie aeree, Barkhom (301), Rall (275), Kittel (267), Nowotny (258), Batz (242), Rudorfer (222), Baer (220), Philipp (213), Graf (202) e l'elenco continuava con altri 32 piloti autori di oltre cento abbattimenti di velivoli nemici a testa.
Anche l'Aviazione repubblicana della RSI non mancò all'appello in difesa dell'Europa e dei cieli dell'Italia settentrionale: il magg. A. Visconti aveva raggiunto 26 vittorie, compiuto 600 missioni ed affrontato 72 combattimenti nei cieli prima di venire assassinato dai partigiani in Lombardia. Segue il serg. magg. T. Martinoli con 22 vittorie, 60 scontri e poi l'abbattimento. Non dimentichiamo il com.te Faggioni che con gli otto aerosiluranti del ten. Bertuzzi affondò 30.000 tonn. di naviglio nemico dinanzi alla testa di ponte di Anzio, mentre la notte del 9 aprile 1944 -dopo aver affondato altre due navi nemiche- il SM 79 da lui pilotato precipitò durante una tempesta. Altri dodici aerosiluranti della RSI vennero comandati dal cap. M. Marini in un'incursione su Gibilterra che si concluse con l'affondamento di altre sei navi. Inoltre, 80.000 tonn. di unità nemiche vennero colate a picco dagli aerei della RSI in Cirenaica, nella Grecia, a Bari ed Ancona. Il «gobbo maledetto» SM 79 ebbe nel disegno di W. Molino sul n° 25, anno 46° della Domenica del Corriere del 18.6.1944-XXII l'esaltazione dell'impresa compiuta che confermò come i nostri piloti gareggiavano in ardimento con quelli della Luftwaffe.

L'assalto a Berlino dell'armata rossa
 

Era il 12 aprile '45 allorché a Warm Springs (USA, Georgia) l'uomo del New Deal che, con Churchill e con Stalin, aveva elaborato i più antitetici compromessi politici per impedire la realizzazione nel mondo di un nuovo ordine sociale che introducesse nello sviluppo economico delle Nazioni innovazioni quale la socializzazione delle imprese, venne stroncato da emorragia cerebrale e H. S. Truman (nel succedere a Roosevelt) continuò la linea del suo predecessore anche in ambito internazionale ed applaudì all'attacco sovietico contro Berlino.
Dalla confluenza nel Brandenburgo delle Armate sovietiche delle fronti bielorusse ed ucraine il maresciallo Zukov trasse la forza militare per l'assalto finale contro la capitale del Terzo Reich. Lo schieramento dell'Armata rossa contava su 1.500.000 fanti appoggiati da 28.000 cannoni, 3.300 carri armati e 10.000 aerei, mentre la fronte germanica era difesa da 596.000 combattenti (la metà circa di essi erano giovani della Hitlerjugend oppure anziani intorno ai 60 anni di età reclutati nel Volksturm, l'armata popolare organizzata da Goebbels) forniti di 8.230 cannoni, 700 carri armati e 1.300 velivoli.
Lo scontro fu immane, perché l'URSS imponeva la ponderazione agli «alleati» di Washington e di Londra sulla demolizione militare del Terzo Reich con il sacrificio dei soldati russi, mentre i Tedeschi -indifferenti a quale dei tre vincitori sarebbe riuscito a prevalere sugli altri- volevano garantire con il proprio sacrificio la continuità dell'Europa e della sua operatività costruttiva nel futuro del mondo.
Quando l'intensità di esplosioni e di rovine spense a Berlino l'ultimo eco dell’Horst Wessel Lied cantato dagli estremi difensori del Reichstag e dell'Europa, incominciò la persecuzione degli sconfitti ed il vae victis imposto da Brenno nel 390 a.C. sui Romani si rinnovò in maniera assai più empia dell'epoca latina.
Con i processi politici prima di Norimberga e poi di Tokyo i vincitori del conflitto militare 1939-45 mandarono a morte non solo i capi della parti sconfitte, ma soprattutto i progetti economici di equilibrio sociale negli sviluppi della finanza mondiale. Così in Francia, dopo la fucilazione di Lavai, Brasillach e molti altri, H.P. Petain si salvò non in quanto vincitore di Verdun nel 1916, ma per i suoi novanta anni. Nel Belgio, Leon Degrelle e ogni aderente al movimento rexista non ebbero più pace. Nella Norvegia, il politico Vidkun Quisling venne trucidato e non si ebbe pietà per il premio Nobel scrittore K. Hansum. In Finlandia, fu il popolo finnico ad impedire che il gen. Mannerheim -padre di quella Patria scandinava- venisse eliminato dagli invasori sovietici.

Il grande olocausto della Repubblica Sociale

 

In Italia, l'olocausto della Repubblica Sociale ebbe il suo cardine drammatico in piazzale Loreto a Milano dove -dopo il massacro a Dongo e dintorni degli uomini più rappresentativi del nuovo Stato fascista- le salme di Mussolini e dei suoi ministri vennero appese per i piedi ai tralicci di un distributore di benzina ed esposti all'offesa oscena di plebe plaudente anche dinanzi a scene orribili.
Con l'assassinio del Capo della RSI, dei più validi esponenti del Fascismo repubblicano, anche dell'ascetica personalità di don Tullio Calcagno (l'intrepido sacerdote di “Crociata Italica”), di decine e decine di migliaia di quanti allo Stato nazionale del lavoro -con la socializzazione- diedero la maggiore impronta di civiltà sociale, la plutocrazia anglosassone ed il comunismo sovietico -usando come boia i fanatici del CLN- hanno tentato di cancellare dalla realtà politica quei fondamenti di equilibrio nell'economia e nella produzione che Washington, Londra e Mosca non potevano riconoscere nel loro valore etico, altrimenti avrebbero dovuto ammettere di essere la parte sbagliata. Cinquanta anni dopo tali eventi, le «celebrazioni» in proposito si moltiplicheranno in misura geometrica, mentre saranno orientate ad osannare quanti allora con maggiore disponibilità di armi, di mezzi e di uomini riuscirono a sopraffare l'Europa e la nuova Asia.
Noi preferiamo tratteggiare già adesso la realtà di quel tragico '45 per rammentare anche a coloro che sono pronti a qualsiasi ripudio ideologico -come quelli di Alleanza nazionale- pur di non perdere redditizie posizioni pubbliche, quale maggiore valore etico assume oggi la tesi di Ezra Pound indicante che se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale niente lui! È necessario puntualizzare ciò, in quanto per quelle Idee milioni di cittadini, di soldati e di civili sono caduti in difesa della civiltà, quindi Esse hanno un valore storico e di progresso indiscutibile. Pertanto, sono i neo-addetti alle salmerie della liberal-democrazia reazionaria che possono trarre le dovute conclusioni su quanto E. Pound ha tanto bene specificato.
 

 

Bruno De Padova

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