gli intellettuali e la destra
Il Dante analogico
Caro direttore,
scrissi l'articolo "Veneziani, torna a casa" ("Tabularasa", n° 2, 15 marzo 1995)
il pomeriggio del 18 febbraio c.a. Alla luce dei miei rapporti amichevoli con
Marcello Veneziani, credetti opportuno inviargli la copia del dattiloscritto per
informarlo di ciò che stavo facendo, nella convinzione di dover aggiungere alla
robusta coorte dei miei nemici un'altra unità. Ho commesso un errore che va
tutto a mio disdoro. Marcello Veneziani m'indirizzò la lettera di risposta che
t'invio e che ti prego di pubblicare, stante l'autorizzazione sua, d'uopo quando
si rende pubblico il contenuto di una corrispondenza privata. La lettera è
premonitrice nei contenuti di ciò che di lì a qualche giorno avverrà, con il
«siluramento» di Veneziani dalla direzione de "L'Italia settimanale". Per noi
tutti di "Tabularasa" deve essere una soddisfazione: continuiamo a veder giusto.
E seguiteremo per la nostra strada, che va sempre «in avanti» e dalla quale non
si può «tornar indietro».
Vito Errico
Caro Vito,
il tuo articolo è bello, corretto e appassionato.
Non parlerei a mio proposito di sdoppiamento ma di lacerazione sì, di tentazione
di sbattere la porta pure. Tentazione più che ricambiata perché quella specie di
«destra» mi farebbe la pelle subito, anzi non escludo affatto (puro eufemismo)
che (non) stiano lavorando per questo.
Il problema di fondo è uno solo: il realismo politico. Se si ritiene di dover
operare politicamente, bisogna tentare di incidere il più possibile nella
realtà, con i materiali che la realtà stessa offre, cercando il più possibile di
seminare cose che meritano di essere perseguite. Se viceversa si ritiene (come
spesso sarei tentato di fare insieme al «Pazzo») di dover «testimoniare»
culturalmente o idealmente, allora meglio fuggire da questo avvilente spettacolo
che è la politica.
Tutto qui.
In ogni caso grazie e amici più di prima.
Marcello Veneziani
Sul
«caso Buttafuoco»
II giornalista Alberto Gentili pensa di intervistare i colonnelli di Fini e
chiede: «La destra ha una sua classe intellettuale?» Francesco Storace-epurator
sorride, ci pensa su. Risponde: «Certo, ci siamo io, Malgieri, Gasparri...» ("Il
Messaggero", 11 maggio 1995).
Un nostro commento è d'obbligo. Va benissimo per Malgieri, passi pure con
qualche dubbio per Gasparri, ma Storace... l'ex-ragazzo di bottega, indi
garzone, poi deputato, oggi, anche... intellettuale? Oddio, tutto può essere.
Pure Berlusconi, da semplice «apprendista muratore», è riuscito a diventare
presidente del Consiglio. Questa è l'Italia «nuova».
Ad essa dedichiamo alcune strofe
de "La vestizione" di Giuseppe Giusti, Antonio Vallardi Editore, Milano, 1944:
E diceano: un mercatino,
Che il paese ha messo a rubba,
Un vilissimo facchino
Si nobilita la giubba
E dal banco salta fuori
A impancarsi co' signori?
Si vedrà dunque un figuro,
Nato al fango e al letamaio,
Intorbare il sangue puro
Col suo sangue bottegaio?
E farà questo plebeo
Tanto insulto al galateo?
Così, con l'animo
Sempre alterato,
Tutto Camaldoli,
Tutto Mercato
Vedea concorrere
In una lega,
Portando l'alito
Della bottega;
Sbracciati, in zoccoli,
E scalzi e sbrici,
E musi laidi
Di vecchi amici:
E Crezie e Càtere
E Bobi e Beco,
su per le bettole
Cresciuti seco.
Come discorrere
Potrai con gente,
Che saprà leggere
Sicuramente?
Ah, torna Bécero,
Torna droghiere,
Leva la maschera
Di Cavaliere.
A nome della «vecchia» Italia, dedichiamo, all'amico Pietrangelo Buttafuoco, il
«pezzo» di Berto Ricci, "Curiosi", pubblicato in un libriccino di 120 pagine dal
titolo: "Lo scrittore italiano", nella collana «Polemiche», per le Edizioni di
Critica Fascista dirette da Giuseppe Bottai, Roma, 1931.
«L'intelligenza è fantasia e ragione, e ad esercitarsi vuoi curiosità. Questa,
la curiosità, direi che fosse una caratteristica necessaria dell'artista e dello
scrittore: della mente pigra non ti fidare. Belli son que' cervelli sempre in
moto, che almanaccano, architettano, frugano; quell'anime esteriormente agitate,
che spandon vivacità in giro. Questa qualità si vede dagli occhi, specialmente
da come guardano. Da molti secoli le gatte di Masino e certe testine di pesce
morto son la peste d'Italia. Visi che mirano non sai dove, e pare che soffin
sempre sulla minestra: brutta roba, e bisogna che sian chiusi bene per non
essersi aperti a questo sole, tra questa gente con gli occhi che bucano, che non
gliene sfugge una. Maledetti impiombati. Questi non saranno che autori di
vesciche e di perditempi vergognosi. Eppure nelle loro gazzette s'arrogano il
diritto di rappresentare tutti noi, e si danno un con l'altro le investiture.
Non c'è letteratura sopportabile dove manca l'intelligenza mobile e viva, avida,
lesta a cogliere i fugaci atteggiamenti delle cose che si vedono, a tramutarli
secondo il suo gusto imperioso, imprimervi un movimento geniale. Vengano gli
apostoli delle buone regole e della salute, e ci diano con quei loro ingredienti
un altro Don Chisciotte, un altro "nipote di Rameau", un altro romanzo da stare
colle Tre Croci».
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