«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 3 - 15 Giugno 1995

 

gli intellettuali e la destra

Il Dante analogico
 

Caro direttore,
scrissi l'articolo "Veneziani, torna a casa" ("Tabularasa", n° 2, 15 marzo 1995) il pomeriggio del 18 febbraio c.a. Alla luce dei miei rapporti amichevoli con Marcello Veneziani, credetti opportuno inviargli la copia del dattiloscritto per informarlo di ciò che stavo facendo, nella convinzione di dover aggiungere alla robusta coorte dei miei nemici un'altra unità. Ho commesso un errore che va tutto a mio disdoro. Marcello Veneziani m'indirizzò la lettera di risposta che t'invio e che ti prego di pubblicare, stante l'autorizzazione sua, d'uopo quando si rende pubblico il contenuto di una corrispondenza privata. La lettera è premonitrice nei contenuti di ciò che di lì a qualche giorno avverrà, con il «siluramento» di Veneziani dalla direzione de "L'Italia settimanale". Per noi tutti di "Tabularasa" deve essere una soddisfazione: continuiamo a veder giusto. E seguiteremo per la nostra strada, che va sempre «in avanti» e dalla quale non si può «tornar indietro».

Vito Errico

 

Caro Vito,
il tuo articolo è bello, corretto e appassionato.
Non parlerei a mio proposito di sdoppiamento ma di lacerazione sì, di tentazione di sbattere la porta pure. Tentazione più che ricambiata perché quella specie di «destra» mi farebbe la pelle subito, anzi non escludo affatto (puro eufemismo) che (non) stiano lavorando per questo.
Il problema di fondo è uno solo: il realismo politico. Se si ritiene di dover operare politicamente, bisogna tentare di incidere il più possibile nella realtà, con i materiali che la realtà stessa offre, cercando il più possibile di seminare cose che meritano di essere perseguite. Se viceversa si ritiene (come spesso sarei tentato di fare insieme al «Pazzo») di dover «testimoniare» culturalmente o idealmente, allora meglio fuggire da questo avvilente spettacolo che è la politica.
Tutto qui.
In ogni caso grazie e amici più di prima.


Marcello Veneziani

 

 



 

Sul «caso Buttafuoco»


II giornalista Alberto Gentili pensa di intervistare i colonnelli di Fini e chiede: «La destra ha una sua classe intellettuale?» Francesco Storace-epurator sorride, ci pensa su. Risponde: «Certo, ci siamo io, Malgieri, Gasparri...» ("Il Messaggero", 11 maggio 1995).
Un nostro commento è d'obbligo. Va benissimo per Malgieri, passi pure con qualche dubbio per Gasparri, ma Storace... l'ex-ragazzo di bottega, indi garzone, poi deputato, oggi, anche... intellettuale? Oddio, tutto può essere.
Pure Berlusconi, da semplice «apprendista muratore», è riuscito a diventare presidente del Consiglio. Questa è l'Italia «nuova».

Ad essa dedichiamo alcune strofe de "La vestizione" di Giuseppe Giusti, Antonio Vallardi Editore, Milano, 1944:

E diceano: un mercatino,
Che il paese ha messo a rubba,
Un vilissimo facchino
Si nobilita la giubba
E dal banco salta fuori
A impancarsi co' signori?

Si vedrà dunque un figuro,
Nato al fango e al letamaio,
Intorbare il sangue puro
Col suo sangue bottegaio?
E farà questo plebeo
Tanto insulto al galateo?

Così, con l'animo
Sempre alterato,
Tutto Camaldoli,
Tutto Mercato

Vedea concorrere
In una lega,
Portando l'alito
Della bottega;

Sbracciati, in zoccoli,
E scalzi e sbrici,
E musi laidi
Di vecchi amici:

E Crezie e Càtere
E Bobi e Beco,
su per le bettole
Cresciuti seco.

Come discorrere
Potrai con gente,
Che saprà leggere
Sicuramente?

Ah, torna Bécero,
Torna droghiere,
Leva la maschera
Di Cavaliere.

A nome della «vecchia» Italia, dedichiamo, all'amico Pietrangelo Buttafuoco, il «pezzo» di Berto Ricci, "Curiosi", pubblicato in un libriccino di 120 pagine dal titolo: "Lo scrittore italiano", nella collana «Polemiche», per le Edizioni di Critica Fascista dirette da Giuseppe Bottai, Roma, 1931.

«L'intelligenza è fantasia e ragione, e ad esercitarsi vuoi curiosità. Questa, la curiosità, direi che fosse una caratteristica necessaria dell'artista e dello scrittore: della mente pigra non ti fidare. Belli son que' cervelli sempre in moto, che almanaccano, architettano, frugano; quell'anime esteriormente agitate, che spandon vivacità in giro. Questa qualità si vede dagli occhi, specialmente da come guardano. Da molti secoli le gatte di Masino e certe testine di pesce morto son la peste d'Italia. Visi che mirano non sai dove, e pare che soffin sempre sulla minestra: brutta roba, e bisogna che sian chiusi bene per non essersi aperti a questo sole, tra questa gente con gli occhi che bucano, che non gliene sfugge una. Maledetti impiombati. Questi non saranno che autori di vesciche e di perditempi vergognosi. Eppure nelle loro gazzette s'arrogano il diritto di rappresentare tutti noi, e si danno un con l'altro le investiture. Non c'è letteratura sopportabile dove manca l'intelligenza mobile e viva, avida, lesta a cogliere i fugaci atteggiamenti delle cose che si vedono, a tramutarli secondo il suo gusto imperioso, imprimervi un movimento geniale. Vengano gli apostoli delle buone regole e della salute, e ci diano con quei loro ingredienti un altro Don Chisciotte, un altro "nipote di Rameau", un altro romanzo da stare colle Tre Croci».

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