«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 3 - 15 Giugno 1995

 

le lettere
 

Caro direttore,
avevo giurato a me stesso che non mi sarei più occupato di politica, che non mi sarei fatto più coinvolgere in questa «sporca cosa» nella quale tanto avevo sperato e che tanto mi aveva illuso. Continuavo a ricevere "Tabularasa" presso la casa dei miei genitori, ma ormai non la leggevo più, non mi interessava più tant'è che non contribuivo più.
Mi è capitato però di leggere, nell'ultima pagina del numero del 15 marzo 1995, la lettera del soldato tedesco da Stalingrado assediata. Ne sono rimasto colpito; nella consapevolezza della prossima fine questo combattente pensava al futuro di quelli che più in quel momento amava: la propria sposa ed i propri figli.
Nell'atto della fine, il pensiero era rivolto al sangue del proprio sangue, ai figli, al futuro.
Quella grandiosa forza anima il nostro essere appartenenti alla schiera dei perdenti che, consapevoli di esserlo, guardano avanti, guardano oltre. Abbiamo perso tante volte, nel 1945 ma anche nel 1991 dopo la guerra del Golfo.
Io personalmente avevo perso la mia fede, anche se intimamente essa era sempre presente nel mio cuore! Ha perso definitivamente a Fiuggi chi era rimasto ed ha assistito impotente alla trasformazione «tecnologica» dalla Fiamma al laser!
Poi una sera mi telefona un mio camerata: «Sai, abbiamo aperto la nuova Federazione, ci stiamo riorganizzando attorno a Rauti (sì, ancora lui!), stiamo cercando di presentare le liste con la Fiamma in tutta Italia; domenica parla Rauti al "Nuovo", vuoi venire?». Gli rispondo: «Non so, sono scettico; eppoi vedo troppe commistioni strane con personaggi troppo "folcloristici"!». Ed invece sono andato, ho applaudito, ho cantato, mi sono ancora una volta entusiasmato, ho firmato per le liste, ho votato. Probabilmente ancora una volta ho sbagliato.
Ma perché ho disatteso la promessa fatta a me stesso ?
Ormai mi ero «secolarizzato»: la mia famiglia, il mio lavoro, la mia nuova automobile, il mio impianto stereo, il mio computer, il mio essere borghese, il mio vivere da «italiano medio». Ecco, mi sono detto, ci sto ricascando! Possibile che non mi accorgo che questo ambiente mi ha a lungo illuso, mi ha usato, ha violentato il mio entusiasmo giovanile?
Sabato 29 aprile era il ventesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli; decido di andare al Presente. C'è poca gente, vedo volti conosciuti e volti mai visti, ma tra quelli conosciuti tanti che nella Federazione del MSI di via Mancini facevano i semplici militanti, senza ambizioni.
Mi chiedevo cosa, nonostante tutto, nonostante che sia una battaglia persa in partenza, faccia ancora muovere queste persone e cosa, nonostante tutto, ha fatto sì che ci fossi anch 'io. Una sorta di masochismo, un farsi male fine a sé stesso?
Un ritrovato vigore militante, confortato da un risultato elettorale a livello di prefisso telefonico?
Ho vissuto quattro anni da perfetto borghese, seguendo i più classici canoni della normale quotidianità. Ho vegetato!
Ero realizzato? Felice? Appagato? Sì; no; non lo so!
«Chi rinnega è un rinnegato!» recitavano i manifesti fuori dal "Teatro Nuovo" dove parlava Rauti, riferendosi alla abiura del Fascismo fatta da Fini. In fondo non sono più missino, non so se sarò «frammista tricolore», certo non sarò mai «alleato nazionale» di Berlusconi, però ero, sono e resterò fascista, questo sì.
Non rinnego il Fascismo né il suo Fondatore, non rinnego gli anni di militanza (anche se ripeterò sempre che non sono degno di tale titolo) ma questo mi basta?
«Guarda bene all'uomo che scegli, sta attenta ai suoi occhi e a come ti stringe la mano».
Ecco che cosa mi manca! Il guardare negli occhi e stringere la mano per capire se vale ancora la pena di impegnarsi in una causa sempre più perdente ma dalla quale non posso prescindere, che nell'intimo grida, reclama attenzione, pretende di porsi quale riferimento nel cammino terreno.
Rimettersi in gioco o raggiungere l'oblio più grigio di una vita scontata, codificata, istituzionalizzata? Essere o apparire, dare o avere?
Nel mio cervello regna ora la più ampia confusione, non ho certezze, non ho più obiettivi; a trentatre anni sono come un sessantenne, rievoco i tempi passati con struggente nostalgia, con rimpianti, faccio già i bilanci della mia vita, cosa potevo fare, cosa non ho fatto, come potevo far meglio!
Il milite tedesco a Stalingrado, pur non avendo più tempo a disposizione sapeva esattamente cosa fare, egli pensava in grande, al futuro, ai propri figli perché non dovranno mai essere dei vigliacchi; da perdente egli indicava la via: essere gente che può camminare a testa alta e guardare in faccia a tutti! Quale grandiosa seppure intima scelta di vittoria era questa!
E forse giunta l'ora di destarsi dalla morfina? Soffrire per sentirsi vivi? Accettare le sfide anche se sono impossibili?
Va bene! Ad una condizione, però: che possa vedere bene negli occhi e stringere la mano per provarne la stretta di chi assurge a guida.
Se c'è costui, si palesi.
Per il momento mi limiterò a riprendere la mia contribuzione a "Tabularasa".
Cordialmente suo,


Michele Zeffirino
Milano

 




Le carenze intellettive della sinistra



Caro direttore,
sono assai sorpreso del pezzo di Donnici sul numero di ottobre '94 di "Tabularasa", di cui apprezzo la linea politica, che ritengo, tuttavia, assolutamente impraticabile. Ho già scritto in merito ad "Aurora", ma sento la necessità di spiegarmi anche con te.
Sul fatto che il Fascismo fosse un movimento di sinistra non ci piove, come pure sul fatto che il nostro nemico principale era e resta il capitalismo internazionale.
Conseguentemente, è ovvio che, essendo la nostra collocazione «naturale» a sinistra, i nostri alleati «naturali» andrebbero trovati negli ambienti di sinistra.
C'è solo un problema: trovarli. Non conosco l'esperienza di Donnici in merito; per quanto mi riguarda conosco «compagni» che sono persone adorabili, simpatici e divertenti, anche di notevole intelligenza (?), colti (solo della «loro» cultura, però) e in buonafede, ma di un conformismo da vomitare, che ripetono come pappagalli tutti i luoghi comuni, triti e ritriti, inventati dalla «sinistra» dal '14 in poi, ormai superati e strasuperati da tutti gli storici minimamente seri (a parte, forse, il solo Denis Mack Smith...), anche da quelli «di sinistra». Non uno che avesse la minima umiltà o decenza intellettuale per sforzarsi di capire le «nostre» ragioni, a rivedere anche una sola delle sue idee. E sì che se c'è stato un cane da guardia del capitalismo, quello fu proprio Stalin, che, probabilmente per un perverso accordo con gli americani, del tipo «tu ci metti i soldi, io il sangue», fece massacrare molti milioni di russi per difendere le «democrazie plutocratiche dell'occidente».
Per capire quanto i comunisti amassero il popolo basterebbe la famosa risposta del maresciallo Zukov quando gli chiesero cosa avrebbe fatto se avesse dovuto attaccare una posizione che sapesse minata: «la attaccherei come se non lo fosse»!
Vorrei sapere da Donnici dove trovare alleati in ambienti che, vuoi per carenze intellettive, per forma mentis o fosse anche solo per mere ragioni di potere o per conformismo, tutti allineati e coperti ai dettami della propaganda giudaico-capitalista, ti mettono innanzi tutto la pregiudiziale assoluta dell'antifascismo, anziché dell'anticapitalismo?
Pensi davvero di poterli convincere che la pregiudiziale fascista era l'anticapitalismo, che tutta la legislatura fascista va in questo senso, che i fascisti non erano «i cani da guardia del capitalismo», biechi, feroci e via cretineggiando?
Ci sarebbe anche da chiedersi perché Mussolini non riuscì, nella sua avventura politica, a portarsi dietro i socialisti «ufficiali» e la risposta si troverebbe probabilmente nella differenza ontologica, «razziale» con quelli. E sembra che nulla ancora sia cambiato, in quelli. Bavosi erano e bavosi sono rimasti (non riesco a trovare un 'altra definizione più aderente ...), dediti all'intrigo e alla menzogna come metodo primo di lotta politica, proprio come i clericali di tutti i tempi, forti anche dell'esortazione (gesuita?) «calunniate, calunniate, qualcosa resta sempre!»
E illuminante, in merito, il libro di qualche anno fa di Alain De Benoist "Come si può essere pagani?" proprio per capire la assoluta irriducibilità della mentalità clericale, con tutte le sue estensioni, da quella religiosa (giudaico-cristi-na) a quella politica (social-comunista), alla forma mentis cosiddetta «pagana», implicita nel tipo umano che, nel XX secolo, dette origine al Fascismo. Evola stesso lo scrisse a chiarissime note su "Rivolta" e su "Sintesi di dottrina della razza": le due razze dello spirito sono «incomunicabili» e saranno sempre in guerra tra loro!
No, direttore, la vedo una battaglia senza speranza. I compagni, come i loro fratelli-compari clericali, si alleeranno anche col diavolo, ma mai con noi, semmai contro!
Ti saluto romanamente,


Furio Bassanelli
Morlupo - RM

 



 


L'anticomunismo è nei valori



L'inconciliabilità tra la concezione spiritualistica e quella materialistica della vita, si sintetizza nella accettazione aprioristica dei valori ideali che sono l'essenza delle origini dell'uomo. Il nostro rifiuto del materialismo storico su cui si ispira il comunismo è originato da amare e tragiche vicende vissute che molti, troppi di noi, hanno conosciuto e subito con tutte le conseguenze fisiche e morali.
Lo spartiacque che nettamente ci separa dai comunisti, anche da quelli mimetizzati, non può concedere spazio a tiepide contrapposizioni che sarebbero la strada tracciata dai marxisti, che ovunque sono stati hanno portato miseria ed illibertà, per annientare gli avversari. La nostra è una intransigente battaglia sui contenuti che non ammette deroghe e non accetta compromessi. La nostra identità non può e non deve essere messa in discussione da alcuno. I novelli pseudo-crociati che purtroppo, hanno assorbito i bugiardi insegnamenti scolastici e non, impartiti a profusione per mezzo secolo, qualora dovessero illusoriamente credere di poter battere chi, per ragioni di mimetismo si fa chiamare pidiessino, conforme di lotta curialesche, sono destinati ad essere travolti. L'invadenza spavalda e boriosa dei querciaioli si può arginare, soltanto, affrontandoli senza alcuna remora e scrupolo, pari alla loro impetuosità che spregiudicatamente usano per demonizzarci.
Occorre ricordare e mai dimenticare che il partito comunista, pur avendo partecipato con i democristiani, socialisti e compagnia, alla spartizione dei pani e dei companatici di tangentopoli, è stato il partito che meno di ogni altro ne ha pagate le conseguenze. Volendo, non dovrebbe risultare difficile capirne le motivazioni. Senza entrare nei dettagli si possono riassumere le ragioni dicendo che le perseveranti ostinazioni nel tacere o negare dei bene addestrati e manipolati funzionari forse agevolati e diabolicamente incoraggiati da compiacenti burocrati, preventivamente e previdentemente inseriti nei posti giusti dell'apparato dello Stato. D'altra parte questa operazione di alta strategia dimostratasi vincente e redditizia, non fu ostacolata da chi aveva interesse a farlo perché impegnati ad assicurarsi quel modus compromissorio che consentiva loro di poter continuare, indisturbati ed in tranquillità, a mungere le mammelle della mucca italica, a danno della collettività.
Se veramente si voleva fare chiarezza, coloro che istituzionalmente ne avevano il compito, con i mezzi di cui oggi si può disporre, non avrebbero dovuto trovare difficoltà a spiegare all'opinione pubblica, e confutare agli ostinati mentitori la grande differenza che passava tra le entrate e le uscite del PCI e dimostrava che non potevano essere sufficienti le mortadelle ed i fiaschi di vino venduti alle "Feste dell'Unità»", per colmare le enormi spese sostenute per mantenere il pachidermico apparato del partito e far fronte alle spese per la propaganda.
Questo, cari signori, è l'uovo di Colombo! La lotta «soft» poteva andare bene quando il novanta per cento dell'apparato burocratico dello Stato, quello che conta, guardava con benevolenza il biancofiore, non oggi che è stato consentito di sovvertire gli «equilibri». Oggi, se si vogliono avere buone probabilità di successo, occorre affrontare i falsi democratici comunisti, soprattutto quelli della quercia, e smascherare senza suggestione, infingimenti e consociativismi le loro innumerevoli soperchierie, perpetrate vilmente perché certi di avere le spalle coperte. Con «pressing» asfissiante dobbiamo costringerli a comportarsi correttamente nel rispetto delle leggi dello Stato. Per operare così, come detto, occorre avere uomini coraggiosi e «puliti», non ricattabili.
Chi pensa di poter percorrere delle scorciatoie, apparentemente meno rischiose, più convenienti, sbaglia ed è destinato a diventare un loro schiavo.


A. Federighi
Venturina - LI

 



 


 

Due lettere, quelle di Bassanelli e di Federighi, che hanno il sapore di un vecchio e ormai superato anticomunismo viscerale. E codesti amici non se ne dispiacciano, se sono costretto a giudicarle tali.
Bassanelli conferma che il fascismo fosse un movimento di sinistra, che il nemico principale fosse il capitalismo internazionale, dunque, gli «alleati» naturali andrebbero trovati negli ambienti di sinistra. Ma si pone il problema: trovarli. Ebbene, io, invece, non so più da che parte volgermi per trovare la destra o la sinistra. Fanno gli stessi discorsi, sia quelli che si dichiarano di destra, sia quelli che si dichiarano di sinistra. Stanno tutti nello stesso trogolo, in parlamento o nelle istituzioni. Non ho la fisima, quindi, di cercare alleati. Le alleanze, così come sono intese oggi, inducono ai compromessi, determinano vincoli e transazioni che noi, di "Tabularasa", non intendiamo accettare. Perché frequentiamo una libera palestra di idee, questo foglio, nella quale tutti possono cimentarsi. Un luogo dove si preferisce lo scontro al dialogo perché, il dialogo, costringe a cedere parte di sé stessi, a sottomettersi, e ciò che in ipotesi potesse essere costruito su queste basi, avrebbe la parvenza di un indefinibile miscuglio di contraddittorietà.
Noi siamo perché siamo. Presuntuosi se si vuole, ma pronti ad accogliere fra noi chi, con noi, vuole vivere esperienze che richiedono sì, sacrifici, ma che ci fanno trascorrere il tempo in maniera entusiasmante. Intorno a noi vediamo scannarsi la gente non per le idee, ma per il potere; vediamo le pecore italiche che si assoggettano alla conta nelle sempre più frequenti tornate elettorali; intellettuali pagati un tanto ad articolo; vermi striscianti nella melma che cambian pelle ad ogni fruscio di frasca.
Guardati intorno, amico Bassanelli. Guarda quanta volgarità, quanto tronfio becerume abbonda fra la gente cosiddetta «bene» e «saputa». Osserva il moderatismo incontinente che rutta in modo osceno le sue scempiaggini e sforna governi Berlusconi e professorini assunti ad ideologi da chi tutte le idee le ha gettate dietro le spalle (ma lui non ha faticato: non le ha mai avute) per specchiarsi in uno stagno maleodorante.
Alleati? E chi li cerca. Siamo matti e siano benvenuti i matti fra noi. Per vivere la nostra stagione come ci pare, sputando in faccia a tutti -irridendoli se sono troppo alti e perciò irraggiungibili-, fregandocene di tutti i modelli di vita imperante perché ne abbiamo uno nostro: quello non impostoci, ma insegnatoci con amore e pazienza dai nostri padri con lo stesso naturale impegno profuso dai loro padri.
Noi vogliamo che ogni giorno nato sia vissuto, per apprendere, per trasmettere ad altri le nostre esperienze. Con umiltà umana. I paradossi non ci interessano, tendiamo sempre ad esprimerci con semplicità per essere compresi dalla gente semplice. Proprio da quella più indifesa che ora si trova abbandonata da quelli che tu, amico Bassanelli, chiami bavosi. E che, dopo esser stati ricevuti nella City, ora accetteranno anche la proposta dell'«ideologo» di Fini: un governicchio di anini, italoforzuti e querciaiuoli. Agli italiani le ghiande. Per un popolo che vive nello stabbio saranno zuccherate leccornie.
 

A. C.

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