i dibattiti
Per
costruire una alternativa alla società liberale
Raccolgo l'esortazione
pronunciata da Carli nel numero di gennaio di "Tabularasa". Siccome appartengo
alla schiera degli «altri», non voglio entrare nel solco di quanto possa
attraversare, anche psicologicamente, lo scenario intellettuale -spesso
polemico- che da vita a questa rivista. Uno scenario che non lesina contrasti a
volte sofferti. Tuttavia, credo che certi interrogativi pervadano la sensibilità
e che pongano nella condizione di fare i conti con il terreno della politica e
della storia. Il che porta anche ad imboccare strade dissonanti e distanti.
D'altra parte, discutere comporta sempre un rischio, un rischio che giochiamo
mettendo alla prova certezze ed equilibri; per chi si ritenga libero, la
riflessione vivace, a più voci, rimane un obbiettivo di prima grandezza.
Nel suo costo è compresa la messa a punto di umori, visioni politiche,
caratteri. Fattori importanti, essenziali che escono in questo modo dallo stato
di latenza. Del resto, in un certo mondo umano ed ideale certe emozionalità,
certe «vibrazioni» pesano tantissimo. In positivo, ed in negativo.
La parola «rivoluzione» è un significante, ad esempio, che dilata la sfera
sentimentale, facendo pagare pedaggio anche all'intelligenza, che, senza il
cuore, avvicina l'uomo, pericolosamente, al cinismo. «Rivoluzione» è parola che
impegna, che accelera: non solo gli eventi reali, ma anche i processi
relazionali, cioè le successioni dei pensieri. Un certo tipo di linguaggio
evoca, e ce n'è bisogno, una sorta di punto focale, interlocutorio, attraverso
il quale, coralmente, si individua una identità comune. Per tale ragione questa
«fisima», così come la definisce Vito Errico, sa essere un diluente
accattivante.
L'idea della rivoluzione non rimanda per forza, precisiamolo, al sogno di
un'avventura barricadiera o illegale. Ma anche intendendola nella sua valenza
meno colorita, meno spettacolare, riesce a conferire ai progetti un carattere di
perentorietà, caricato e non poche volte abnorme. Su ciò che è -ed è stato per
tanti- il «poi» si può parlare chiaramente: dai sogni, abbacinanti, si è cascati
in una quotidianità banale. Dopo anni di militanza si è sollevato lo sguardo, ed
il panorama sconsolante ha restituito ingegni e coscienze di tutto rispetto
all'omologazione. L'esistenza del «popolo che cammina ancora ignaro» è
punteggiata da una cronaca cloroformizzata, che svilisce. Ma è la cronaca del
vivere civile, delle vicende di questo Paese che delle epocalità sa essere,
contraddittoriamente, un interprete appassionato e nel contempo un grande
nemico.
Da queste considerazioni ben difficilmente si può prescindere. Il vortice
borghese e consumistico sa rappresentare i suoi nemici, sa ridurli all'immagine
di una meteora bizzarra, di una serie di «viandanti» in cammino lungo i margini
remoti della sfera economica e politica. «Stare fuori» non è un disvalore, ma
credo che ci piacerebbe che questo avvenisse per scelta consapevole e non per
uno stato di rassegnata pigrizia, o, appunto, di cattiva percezione di sé.
Si rischia con ciò di subire un atteggiamento indotto, un comportamento che fa
andare -schizofrenicamente- da un estremo all'altro. Dall'opposizione «fuori
dagli steccati» in caduta verticale «dentro il recinto». Scambiando il
disinteresse e la sordità dei più con i prodromi di un grande rivolgimento.
Confondendo il malessere sociale con un inconsistente afflato verso chissà che.
La risultante di questa pulsione verso l'irreale è una specie di analfabetismo
di ritorno che qualifica negativamente un certo modo di sentire la politica. In
relazione alla quale, in fondo, si elabora un certo «minimalismo», un elogio
sperticato della concretezza sempre più immemore delle idee originarie.
Costruire la critica e l'alternativa alla società liberale è un compito che
affascina almeno quanto la ricerca dei mezzi più equilibrati e fondanti di una
identità politica e civile di segno antagonista.
Nell'immaginario, individuale e collettivo, che anima l'alterità sono contenuti
i segni della realizzazione e della sterilità. I suoi frastagliati confini
lambiscono la fitta palude del disincanto lacerante.
Roberto Platania
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