l'ultima
Storie di
Vàgeri
Barba e
capelli
I gobbi, nostri clienti, eran
tutti incaloriti. II gobbo Varese, magro come un paravento, dal naso affilato
come un rasoio, con un forcone di gambe che ci sarebbe passato di sotto una
gobba con una secchia in capo, a cui ogni tanto si faceva la barba per
misericordia, un giorno capitò in bottega implorando:
— Fatemi la barba per amor di Dio!
Per il servizio che di notte tempo andette a fare, gli regalarono un paio di
scarpe usate Quando il dimani gli dissero che dalle scarpe poteva prendere le
abitudini che aveva il donatore, disse svelto svelto:
— Allora le metto in fusione nella creolina.
E vi capitavano i rivenduglioli di calìe degli spogli dei morti, i fondigli dei
magazzini. I legittimi discendenti dei Cohen. I «Chanzan», ministri della
religione, andavano, più su, alla barbitonseria di lusso, a noi toccava il
giudaismo trito, quello che rispetta la legge anche dormendo sotto il rasoio.
Quelli che hanno quel sito di pannina ribollita, del sudaticcio rappreso, del
pecorino, del cervino, del macubino.
Quelli che vendono le vestimenta e sembrano coprirsi di pelle abbiacchita, che
vendono le calze e portano quelle che gli fece Iddio nella sua indissolubile
unità, ricalcate dall'uso e consumo, che hanno le mani di cuoio conciato di
giallumi insidriti e sul viso una maschera di pelli di storzola su cui è
calciata la barba regnata, sulla voltata del cranio sotto cui ribolle la
insaziabile e rapace voluttà del guadagno, c'è la parrucca di cernecchi annodati
dall'lnchetto, tessuta dal perpetuo lavorio delle lendini.
Quelle chiome in cui era mestiere mettere la macchina senz'alzo, l'erpice fitto
fitto di denti d'acciaio, onde rimuovere la forfora squalosa, la loia veneranda
e annosa. Fughe di pidocchi, dalla radice del natio capello, dopo un ultimo
morso disperato al cospetto di quella spaventosa tremoggia cigolante riunta dal
capello reciso.
Le lendini davano più da fare che i pidocchi d'origine straniera s'eran talmente
grumite nella loro ferocia alla sottostante pelle che soltanto la soda poteva
castigarle. Dopo il taglio raso le ciuffate si condannavano alle fiamme e non
mai s'udì crepitio all'abbrustolir dei pinelli come ne usciva da quei roghi.
Poi il taglio delle barbe, intonse da settimane e da mesi, su cui si eran
annodati i baruffi dei bordatini, la lunaggine dei ciarpami, le volandole della
cotonina, che pannuciolano col sudaticcio di una belletta condensata sui bulbi.
I rivenduglioli si sbarbano molto raramente, nel lutto si fanno crescere la
barba, e sembrano aver sempre un morto in casa. Ma quando lo fanno, lo fanno con
tutti i sacramenti. I trafficatori della paccottiglia merciaiola acciabattata
nei mercati calze al telaretto, fazzoletti dai quali filtra la freddura, i
baruffi del refe, i pettini radi e fitti, le stringhe, tutto intignato e mencio.
L'atavico istinto di quando passavano a nuoto l'Eufrate, si ridestava nelle
barbitonserie, desideravano essere lavati e digrassati con acque acetate e
spigate. Vi si sciaguattavano come cani di padule, vi soffiavano come delfini,
vi si spollmavano come folaghe. Per quelle teste si adoperava, dopo la macchina
e le cesoie, il rullo -ordigno passato di moda- un cilindro di setole con due
manichi, il quale si rullava a tutta forza sul capo, a pelle e cotenna, senza
pietà e senza misericordia. II viso, dopo la depilazione, si frizzava con
l'aceto schietto drogato di mordenti.
Poi volevano essere unti e riunti con le cerette, volevano la depilazione dei
tubi del naso, delle trombe degli orecchi, le quali, intasate, non potevano dare
più l'allarme alle cervella, polpa di noce costretta negli involucri di
pellanche, di ciccia e d'ossi. Gli si riavviava le ciglia sotto cui balenavano
gli occhi della cupidigia insaziabile.
Lorenzo Viani
"Barba e Capelli",
Vallecchi Editore,
Firenze, 1939
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