«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 4 - 30 Luglio 1995

 

I valori innanzi tutto
 

Affermare che viviamo in un'epoca grigia è dire poco, anzi nulla.
Tutto si è tremendamente appiattito, fino alla noia, alla nausea. Si dice, ed i più ne fanno un vanto, che viviamo nell'era della fine delle ideologie. Quelle ideologie forti che avevano caratterizzato l'ultima parte dell'800 e larghissima parte del '900. Questo purtroppo è vero, ma ci sembra una autentica idiozia esaltarne la scomparsa. Basta guardarsi intorno per capire quale jattura tale fine abbia rappresentato. Soltanto chi è in malafede o interessato (alta finanza, lobbies, multinazionali ecc.) acche il mondo vada così può essere soddisfatto. Possono altresì essere soddisfatti gli imbecilli e gli ignoranti, e la mamma di tutti costoro è sempre incinta.
Non c'è bisogno di uscire dai confini del nostro Paese per rendersi conto dei tempi in cui siamo costretti a vivere, il tipo di società che si è via via andata consolidando. Si rinnega, si abiura, ci si pente con una facilità impressionante, come sputare in terra. Il sistema elettorale mafioso che è stato imposto, e non a caso, è strettamente funzionale al sistema politico mafioso vigente. Via il proporzionale che garantiva a tutti di essere in qualche modo presenti con la propria identità, avanti con il maggioritario che impone ammucchiate invereconde e alleanze a dir poco spudorate.
Si sta insieme per interesse o per dispetto. La politica, quella vera, è scomparsa. L'arrivo di Berlusconi, uomo d'affari e fortemente «interessato», ne è la riprova più lampante. E con lui o contro di lui, una schiera infinita di piccoli uomini, di omuncoli, di pezze da piedi. Basti pensare che gli italiani dovrebbero essere costretti a scegliere tra il Don Chisciotte di Arcore e «la mortadella dal volto umano», cioè quel Prodi, così magistralmente definito da Pietrangelo Buttafuoco. Dovrebbero schierarsi o con Fini o con D'Alema, due eminenze grigie, privi di idee e di sentimenti che si assomigliano sempre più in negativo, fino alla simbiosi.
È caratteristica dei tempi bui, altrimenti non sarebbero tali, far emergere figure e figuri assolutamente insignificanti. Come è caratteristica dei tempi bui la massa di persone amorfe, sonnolente e rassegnate che si muovono a stento nella palude stagnante. L'aria che si respira è mefitica e insopportabile. Come i cosiddetti uomini politici. Siamo alla guerra per bande. Basti guardare, ma è solo un esempio, a quanto avviene nella magistratura. L'uno contro l'altro armato.
Tutto questo perché? Perché si è rinunciato alle idee, ai valori. Perché non ci si divide più sui valori. Perché il nemico è diventato avversario. Sembra un paradosso ma è così. Perché ci si scanna per la banca o per una rete televisiva. Perché l'interesse ha preso il sopravvento sul sentimento. La vigliaccheria sul coraggio. Il tradimento sulla parola data. La pugnalata alle spalle sulla stretta di mano. «Homo homini lupus est» diceva Hobbes. Eccolo accontentato.
Non si parla più di giustizia sociale, di solidarietà, di partecipazione, sono stati smantellati quei residui di stato sociale sopravvissuti al fascismo. I giovani disoccupati, gli sfrattati, i senza casa, i capifamiglia con un unico stipendio che non ce la fanno più a tirare avanti, i pensionati, gli anziani non autosufficienti, gli emarginati di ogni tipo, non interessano più a nessuno. Ecco i valori che scompaiono! Ecco la società dell'egoismo e del menefreghismo che viene impetuosamente avanti.
Il qualunquismo dilaga. Tutti ambientalisti e l'ambiente che si degrada giorno dopo giorno. Tutti solidaristi e le nuove povertà che aumentano vertiginosamente e vanno ad aggiungersi a quelle vecchie creando un esercito enorme di esclusi e disperati. Spariscono i valori perché scompare la cultura. La scrittrice Ida Magli ha di recente fotografato così, in un suo libro dal significativo titolo: "La bandiera strappata, la realtà italiana di oggi": «La realtà italiana è ormai quella di una cultura esaurita, con un sistema di idee totalmente depauperato. Lo si potrebbe comprendere anche soltanto analizzando quanto povere di proposte siano le forze politiche, quanto povere di pensiero siano le discussioni culturali, quanto povere d'arte siano le creazioni artistiche».
Basta guardarli e sentirli alla televisione i cosiddetti uomini politici di oggi. Tutti uguali. Vuoti. Senza idee né slanci. Mai che affrontino seriamente un problema e ne indichino la soluzione. Mai che si facciano difensori di un qualche valore antico o paladini di un qualche valore nuovo.
«Abbiamo perso in ideologia senza guadagnare altro. Assisto ad uno svuotamento culturale, a un gran ballo Excelsior, alla nascita di un Emporio, un supermercato, dove ognuno presenta il suo articolo. Tutti i programmi si assomigliano, un po' federalisti, un po' unitari, un po' liberisti, un po' solidaristi, da Berlusconi a Prodi, da D'Alema a Fini». Così si esprimeva Marcello veneziani pochi giorni prima di essere cacciato dalla direzione de "L'Italia settimanale".
Oggi il campo è vuoto. Anche e proprio perché quasi tutti i partiti si sono arresi al liberalcapitalismo e al libero mercato. Che rappresentano, ed i fatti lo dimostrano, la negazione assoluta di quei valori sul rispetto dei quali, bene o male, si è andati avanti per lunghissimi anni. I partiti sono diventati dei megacontenitori pronti a ricevere tutto ed il contrario di tutto. Si è persino tentato di dare loro una dignità classificandoli di destra o di sinistra. Due etichette senza senso e che «van bene ormai per le canzoni di Gaber e per i demenziali giochini radical chic con i quali si diletta una società che sta ballando sull'orlo del baratro», come le ha definite un giornalista controcorrente qual è Massimo Fini.
Da questo deserto culturale e politico occorre ripartire per costruire antichi e nuovi valori. È un compito che spetta solo ed esclusivamente a chi ha idee e progetti, a chi soprattutto non ha reciso le proprie radici e la propria memoria storica. Perché laddove non c'è cultura, non c'è storia, non c'è memoria, nasce e vegeta l'uomo senza identità. E la società muore. Inesorabilmente.
«Oggi come ieri, come sempre, avviene che i migliori, i sinceri, i più forti e meglio disposti ad operare con probità ed intelligenza siano messi da parte, ridotti a chiudere in cuore le certezze orgogliose e le sante ambizioni. Finché la fatalità non chieda uomini nuovi, nuove energie. [...] Viene dopo il giorno che vi è da fare sul serio: avanti gli ultimi. Essi ebbero la fortuna di non fare carriera, anzi di non volerla fare, di non smarrire le proprie virtù, di assaporare amarezze sane, ire sane, conoscere sacrifici ostinati e senza lacrime, solitudini di pietra, amicizie non sottoposte all'utile e non imperniate sull'intrigo. Viene il momento che la storia, il destino, o chiamiamolo come vogliamo, ha bisogno di loro: li trova».
Così si esprimeva più di cinquanta anni orsono Berto Ricci su "l'Universale".
Quegli uomini, pochi invero, vi sono. Tocca a loro farsi avanti.

Gianni Benvenuti

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