In mezzo a tanta bontà, «organizziamo» l'odio
«Di qui la necessità, non
sentita da noi soli, ma da quanti in Italia sono uomini vivi,
di muover l'aria, di mettere del rosso nel bigio, spander vivacità e mobilità,
rompere la muraglia delle marmotte, degli impalati consenzienti,
dei musi duri, dei commedianti dell'ideale.
Di rosso sangue è fatta quest'Italia, per tutti i Cristi cattolici e luterani; e
non di rugiada»
Berto Ricci, "Avvisi", Anno II, n° 1, 3 gennaio 1932 - X
Ci è capitato di assistere, in questi ultimi tempi, alla metamorfosi di
rivoluzionari che dopo essersi fermati a mezza strada per l'incapacità di
proseguire, sono diventati i calunniatori più violenti contro quello stile
comportamentale che li attirava fintante che il sistema li teneva fuori dalla
mangiatoia. Altri, invece, pur godendo di privilegi insperati, sono tormentati
da rimpianti e ripensamenti. È il castigo per chi ha scelto di vivere nella
banalità, cosicché, persa la sensibilità del ribelle, abbandonata la sofferenza,
è divenuto semplice involucro sottoposto a funzioni di riempimento ed
evacuazione.
Quando nell'uomo, in eterna lotta con tutto ciò che lo circonda si acquieta lo
sdegno, è la fine di tutto. Capita così che gli italiani, accomunando ed
esponendo tutti i politici alla riprovazione -meritatamente- si mettano al
servizio delle nuove cosche che in comune hanno lo scopo di spingere all'oblio,
alla rassegnazione, alla rinuncia. Nessuno più parla delle lotte passate: ne
viene evitata la memoria, ne sono cancellati i segni e con essi le conquiste. E
i mestatori al potere, liberi di operare, usando le caratteristiche querimonie
dei mendicanti, continuano ad assegnare penitenze e ad imporre sacrifici. E
parlano di pace. Predicatori televisivi, telegenici in doppiopetto, ricercatori
delle regole. Tutti. Siano essi accovacciati all'ombra della quercia, al calcio
dell'ulivo o rifugiati nello stambugio «anino» stanno propalando, tra i creduli
beoti che un tempo, nell'insieme, si fregiavano dell'appellativo di popolo, una
pericolosa credenza, una nuova superstizione: ovvero che le amorose effusioni
praticate tra gli arbusti con l'invereconda assistenza di alcuni «alleati»,
possa sanare i mali di questa nostra sventurata Italia.
Le superstizioni, quando si impossessano degli individui, diventano più
fanatiche ed intolleranti di qualsiasi fede religiosa. Fanno tentennare fino al
punto che, ogni pur modesta azione se non preventivamente esorcizzata, può
simboleggiare il pericolo. Distruggono nell'uomo il gusto del rischio, la voglia
di tentare l'ignoto e di lanciare la sfida per far valere la propria volontà, la
propria forza.
«Anima sciocca, va su nel limbo fra gli altri bambini».
Non ci stiamo. Non siamo pargoletti in attesa di qualche magico avvenimento.
Vogliamo andare «de l'inferno alla bocca». Siamo vissuti contravvenendo, sempre,
la maggior parte delle regole imposte dagli uomini ed abbiamo avuto
considerazione solo per quelle della buona creanza e del rispetto verso chi lo
meritava. E queste, non per obbligo, bensì per istinto. Perciò, se le regole le
faranno gli uomini, anzi, gli ominidi, non solo impiegheremo tutta la nostra
diligenza nel disprezzarle, ma ci faremo promotori di un movimento di opinione
per vilipenderle.
Esorteremo all'odio. Odio verso coloro che hanno il marchio della superbia
intriso nell'ignoranza e che altro non possono fare se non produrre vergogna
rovina miseria. Insegneremo ad odiare e questa sarà l'arma che mieterà consensi
e risveglierà l'ira. E nessuno si scandalizzi. Se si vuole impedire la creazione
di una società omologata alla specie di individui che pur rappresentando la
mediocrità si arrogano l'arbitrio di imperare, l'odio diviene un sentimento
insostituibile. Esso ci aiuterà ad imprimere un'orma così pesante sul terreno
dell'omologazione che provocherà lo scontro; sì da indurre, anche i più proclivi
all'assuefazione, a ribellarsi. E se saremo veramente capaci di odiare, avremo
anche tutti i mezzi necessari per combattere ingiustizie e soprusi.
Per distruggere il male e
foggiare uomini determinati al raggiungimento dei fini; uomini predisposti alla
rinuncia perciò decisi ad attendere -pazienti- la vendetta.
a.c.
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