«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 4 - 30 Luglio 1995

 

l'ultima

Si scannano? Chi se ne frega ...

 


Su "l'Unità" del 14 febbraio 1980, pag. 12: «A Tito e al popolo jugoslavo il Premio "Città di Firenze" - La proposta dei partiti democratici al sindaco». Una cittadina di Zara esule a Viareggio, conosciuta la proposta, inviò a "L'Eco della Versilia" il «pezzo» qui riprodotto e che fu pubblicato sul n° 2 del 29 febbraio 1980. È ancora attuale.

Non tutti sanno che il nome maledetto di TITO è formato dalle iniziali di quattro parole e cioè Taina, Internationala, Terroristica, Orgamsatio. Vale a dire Organizzazione Segreta Terroristica Internazionale Questo nome, tragicamente conosciuto nei Balcani ed in special modo in Dalmazia, se lo diede lui stesso nel 1943 quando, solo per sete di sangue e non certo per amore di una patria mai esistita (non dimentichiamo che in Jugoslavia vivono, l'un contro l'altro armati, serbi, croati, sloveni, bosniaci, morlacchi, montenegrini, albanesi e macedoni), cominciò a far parlare di sé con i massacri degli stessi Jugoslavi monarchici e di quelli che non condividevano le sue idee.
E proprio nel 1943, prima ancora dell'armistizio, continuarono in grande scala i massacri delle popolazioni italiane in Dalmazia. Massacri compiuti in perfetta sintonia con i bombardamenti americani. Ho scritto «continuarono» perché già nell'aprile del 1941, quando le nostre truppe occuparono la Dalmazia, e Zara divenne sede del Governatorato con Giuseppe Bastianini governatore, le bande slave iniziarono i massacri dei nostri Carabinieri e delle Camicie Nere della frontiera. Venivano in ospedale, a Zara (se ci arrivavano vivi), uomini in condizioni spaventose a causa delle orrende mutilazioni subite al grido di «Jebem Tahamnsky» (maledetti italiani). Uomini che chiedevano ai medici di essere uccisi. Larve di uomini occhi bucati da spilli o addirittura enucleati, mezzi bruciati nelle carni, evirati. Zara era ancora italiana e cominciarono a venire anche donne torturate: maestrine italiane, come quella di Oltre (l'isola di fronte a Zara), con un gattino vivo cucito nel ventre. Sorte subita anche a Ulbo, a Kistanjie e a Benkovac, da altre giovani donne. Quando poi nel novembre del 1944 entrarono a Zara le accozzaglie slave, fu un vero massacro dei pochi italiani rimasti e di quasi tutto il villaggio di Borgo Erizzo, i cui abitanti, poveri contadini che non avevano pensato di partire per la Penisola, tennero per mesi un contegno così meraviglioso, così eroico, così italiano, da meritarsi la stima, il rispetto, la devozione di coloro che ancora si sentono italiani. Erano tutti contadini, giovani e anziani, e nessuna medaglia d'oro sarebbe sufficiente a premiare il loro comportamento. A Zara, ormai, di italiani ne erano rimasti pochi e fra questi i tre fratelli Luxardo: Nicolo (del Gran Consiglio), Piero e Giorgio. Pochi mesi dopo l'ingresso slavo a Zara, Nico, legato per la schiena alla moglie, fu buttato in mare, un'altra notte fu prelevato Piero e non se ne seppe più nulla, sopravvisse solo Giorgio, morto alcuni anni fa a Torreglia dove aveva tentato di riaprire la fabbrica del «Maraschino». Anche il barbiere Livio fu gettato (e quanti altri ancora) in mare, ma riuscì ad afferrare le gambe di un miliziano e lo fece affogare con sé.
Le Chiese, già semidistrutte dai bombardamenti americani, furono profanate e Zara divenne un porcile nel vero significato della parola. E chi si ribellava nel vedere morire gli uomini che subivano le torture più inaudite, andava incontro alla stessa sorte. Gli venivano legate le mani e ficcati in bocca, ancora caldi, i testicoli degli sventurati che avevano tentato di difendere. Quei pochi che hanno avuto la ventura di uscire dai campi di concentramento, o vivono nei manicomi o hanno finito malamente i propri giorni. Senza parlare delle «foibe».
Cara Zara! II simbolo di Venezia non adorna più il tuo Vecchio Arsenale, nè Porta Marina, nè Porta Terraferma. Oh, se avessero potuto mordere i nostri bei leoni di San Marco mitragliati dagli aguzzini slavi al loro arrivo! Avrebbero ben difeso i due scoiani che, assistendo all'«eroica impresa», ed avendo imprecato, furono subito buttati nella Fossa sotto S. Demetrio ed uccisi con i calci dei fucili quando cercarono di tornare a riva. E più tardi, quasi tutti gli scoiani, i borgoerizzani e gli zaratini, vennero gettati legati in mare. Non furono fucilati perchè, fu detto, erano munizioni sprecate.

Scoiani… semplici, cari pescatori delle isole… veri Italiani


una Dalmata


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