«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 4 - 30 Luglio 1995

 

Quella cattiva strada
 

Bentornati corvi, che il vostro gracchiar ci è chiaro.
Era passato tanto tempo (un anno, un secolo?) dal 27 marzo d'avvento della 2ª repubblica. Tutto era cambiato, persino la fauna. Colombe, falchi e qualche tordo la facevano da padroni, avendo scacciato il nero pennuto dentro qualche consunto libro di favola, al seguito della solita strega cattiva. Finché, in questa estate tropicale, riecco le solite veline ed i veleni, tra Brescia e Milano, Palermo e Roma, Reggio Calabria e Napoli. E, tra pentiti veri, presunti e fasulli, ermellini e toghe, alte uniformi e doppiopetti fumo di Londra rieccoli, i corvi, nunzi della grande restaurazione.
D'altra parte la g(g)ente non ne poteva più di giustizialismo e giustizieri. Craxi, in fondo, era esule ad Hammamet... Chi ha avuto, ha avuto. Chi ha dato ha dato. Scordammocce 'o passato simmu e Napule paisà. Mani pulite, con buona pace dei rubicondi residenti in quel di Montenero di Bisaccia, sarà presto un ricordo ben più lontano nella memoria della tribù dei piedi neri. È l'estate, ragazzi. Ozono, effetto serra, scorie radioattive. Ce n'è quanto basta per acculturate discussioni da ombrellone...
Vado avanti per la mia cattiva strada. Pensavo a quel pezzo memorabile di De Andrè ed invece ho disorientato mio figlio che mi interrogava sul mio futuro. E dura, altroché!
Segnata da contraddizioni, confusioni, disillusioni ed amarezze. Cattiva al punto che ad ogni passo essa frana dietro il precedente. Sicché non v'è possibilità di ritorno, né spazio per i rimpianti. Già, cosa pensi abbia risposto -vecchia pellaccia- a quel tale che con mal indirizzato e patetico cinismo, commentando la mia trombatura alle elezioni, ipotizzava: «Ah, se fossi rimasto col movimento a quest'ora comandavi la Calabria ...»? Non ci riproverà, stanne sicuro.
Movimento!? Forse la g(g)ente ha più memoria di quella pubblicità di Gino Bramieri che invitava a comprare maglieria intima, credo si chiamasse "movil", che non del tuo vecchio partito, ammesso che ne abbia mai avuto uno, vecchia pellaccia.
Nulla, non è rimasto nulla su quel versante. Solo bramosia di potere. Democristianeria. La tentazione di sedersi sulla riva del fiume è forte. Si apriranno gli armadi... qualcuno perderà il sorriso... Penso a Reggio Calabria, ma non certo alla vicenda giudiziaria che ha colpito autorevoli esponenti di Alleanza Nazionale. Quella la chiariranno nei prossimi giorni i magistrati inquirenti, peraltro già investiti dell'accusa di ordir complotti, di indossare toghe scarlatte (a proposito: è singolare come dietro ogni fiero giustizialista si nasconda un garantista pro domo sua).
Dei fatti di Reggio, quelli politici beninteso, con relative responsabilità, c'è una sola cosa che stupisce: lo stupore dei benpensanti. Fu rivolta di popolo. Di questo sono in pochi a dubitare. Così come sembra universalmente acquisito -salvo la malafede di certo antimeridionalismo dalle tinte razziali- che il popolo che osò ribellarsi fu anche il solo a prenderlo nel culo. Vinse allora come quasi sempre accade, il potere dominante, i cui centri nevralgici erano e sono ben lontani dalla Fata Morgana...
Vinsero i centri economico-fìnanziari, le lobbies ed i potentati che detenevano -ed in gran parte ancora detengono- le redini di questo nostro paese. E vinsero grazie al combinato disposto di complicità e connivenze di diversi settori della società ed apparati dello Stato, sui quali oggi si apre uno squarcio di luce prima che sia spenta per sempre. Perché stupirsi se il potere dominante ha serbato doverosa gratitudine a coloro i quali, in quei giorni, han fatto la propria parte trasformando -epperciò uccidendo- la sacrosanta ed acromatica rivolta di un popolo nel solito complotto eversivo ordito da mafiosi, servizi segreti e massonerie deviate, golpisti veri o presunti, capibastone e capipopolo? No. Non mi attrae la riva del fiume. A star seduti s'invecchia presto tra dolori artritici e ridondanze psicopatologiche.
Vado avanti per la mia cattiva strada. Né consentirò a D'Alema di inserirla nel futuristico piano regolatore generale «Italia, un paese normale», recentemente presentato alla Fiera di Roma.
Mi si rizzano i capelli se penso alla normalità, peraltro avendo diuturnamente contatto, per motivi professionali, con pazienti che normali non sono, e per motivi politici con amici che più pazzi (ed anche coglioni) non si può.
Leggo sul Devoto-Oli: "Normalizzazione": riduzione ad una disciplina che sia espressione di una generale convenienza.
Già in pieno attacco di panico, cerco un sinonimo e trovo «standardizzare», che nella forma estensiva e figurata significa ricondurre a un tipo o livello medio con conseguente annullamento delle caratteristiche distintive.
Dunque, è questo che si vuole? Un paese normale, come una grande palude, dove non ci sono più diversità, né differenze? Dove tutto è speculare al suo contrario, sul modello americano? Dove ci si siede tutti al tavolo delle regole perché in quel posto la prenda sempre l'ortolano? Hai ragione tu, vecchia pellaccia, bisogna che ci sia qualche cattivo in un mondo di rammolliti ed evirati.


* * *
Qualcuno, su "Tabularasa", continua a manifestare stupore per la mia scelta di «sinistra». Non capisco perché. La mia tesi è semplice, persino banale. Del resto, mi sembra di averla più volte esplicitata.
C'è un luogo -non un'ideologia, una dottrina, una concezione della vita e del mondo, ma semplicemente un luogo- nell'attuale panorama politico italiano dal quale bisogna ripartire per costruire un'alternativa alla destra liberista, mercantile, edonistica, omologatrice. Quel luogo frequentato da tanta gente perbene, ancora cocciuta ed ostinata, e da pochi spregiudicati furbastri è quello della sinistra storica e non. Piaccia o non piaccia, questo è difficilmente contestabile. È lì che si possono trovare -chi scrive almeno le ha trovate- convergenze, sinergie antagoniste, comunanza di valori, una non distante visione della vita, della società del futuro. E lì che bisogna cercare, prima che il processo di «americanizzazione» diventi inarrestabile. Prima che ogni fermento, ogni rabbia, ogni rivendicazione, ogni rancore si assopisca. Prima della palude, appunto.
Ecco la strada. La mia. Non ho costretto nessuno a camminarla. Vorrei soltanto che qualche amico di "Tabularasa" non vi apponesse il cartello di divieto di transito. Anche perché non vi ho incontrato ancora né D'Alema, né Veltroni, né Prodi, ma uomini e donne in carne ed ossa con i quali si può discutere ed andare avanti.
Strano che di questo siano stupiti coloro che, in una fase del loro impegno politico, da posizioni di cosiddetta destra radicale o nazional-popolare discutevano volentieri di sfondamento a sinistra.
Ma forse era un'altra cosa, ben più nobile e seria, della mia cattiva strada.

Beniamino Donnici

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