«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 4 - 30 Luglio 1995

 

memoria - archivio

Con la fronte alta nel futuro politico
 


L'alzabandiera scioltosi di recente con l'armonia della campana dell'oratorio San Rocco di Palleroso nel cielo e sui declivi della Garfagnana, elevando nell'alta valle del Serchio l'ode genuina di fedeltà ideale di ogni combattente -militare e civile- ai valori della Repubblica Sociale Italiana per cui si sono sacrificate le «penne mozze» della Divisione alpina Monterosa, recise soltanto dalla violenza di fuoco e dalla superiorità di mezzi operativi con le quali venne concluso dagli invasori anglo-statunitensi nella nostra penisola e nell'Europa il secondo conflitto mondiale, si è sintonizzato con quello elevato dai reduci della RSI con padre Santucci al Santuario degli Italiani in Predappio, agli altri delle Associazioni combattentistiche repubblicane e, in particolare, della X Flottiglia Mas alla «Piccola Caprera» di Ponti sul Mincio nonché a Genova, nel Cimitero monumentale di Staglieno, dove dinanzi al sacrario dei Caduti rimasti travolti nella terra di Silvio Parodi anche dalle molteplici efferatezze della lotta fratricida, i veterani delle FF.AA. del Maresciallo Graziani si sono ritrovati non dimentichi di quanto concretizzato nel 1943-45 da Luigi Sangermano, in veste di Commissario straordinario per la Liguria del Governo repubblicano di Mussolini, in continua difesa degli interessi delle genti.
Quest'anno, ogni alzabandiera eseguito in onore di tutti i Caduti civili e militari della RSI ha un più ampio significato non solo perché con essi si concludono le celebrazioni del 1° Cinquantenario di quell'epoca, ma perché dai suoi eventi si inserisce nella Storia italiana il solco realizzatore di civiltà aperta all'etica dell'Idea socializzatrice dell'economia e del lavoro. Quindi, questa ricorrenza non ha rappresentato la patetica rimembranza di vicende eroiche e di sacrifici sofferti per condannare soltanto i traditori del 25 luglio e dell'8 settembre di allora, ma anche i loro seguaci di adesso che l'altro ieri a Fiuggi gettando nelle ortiche il patrimonio di princìpi politici dell'originario Movimento Sociale, hanno osato ripudiare i Martiri della Fiamma tricolore che dal 1946 in poi si sono succeduti sull'altare dell'offerta maggiore e sono Virgilio Mattei e fratello (Roma), Ugo Venturini (Genova), Enrico Pedenovi (Milano), Giuseppe Mazzola (Padova), Carlo Falvella (Salerno, Giuseppe Santostefano (Reggio Calabria) e tanti, tanti altri.

La sfida innovatrice ai regimi conservatori

Nel volume "Dal cielo ci guardano" di Roberto Mieville si narra che «cori di guerra si intrecciano sommessi, poi si confondono si fondono, si perdono. Il chiarore rossastro diventa per un attimo più intenso, quasi fosse un bagliore di fiamma, poi svanisce. Altre stelle prendono evidenza. E un gran silenzio. E gli Eroi cominciano a raccontare ...» che gli sbandieratori di quell'Alleanza nazionale artificiosamente collocata insieme per consentire loro di travestirsi in chitarristi della più conservatrice liberal-democrazia che si possa smerciare, nulla hanno in comune con i valori morali e politici tracciati da De Marsanich ad Ezio M. Gray, da Spampanato a Beppe Niccolai che comunque volevano proiettare la loro azione lungo il tracciato ideale proteso dal fascismo nell'avvenire costruttivo.
L'inserimento nella Storia di quanto delineato dalla RSI per la realizzazione di uno Stato Nazionale del Lavoro con la più ampia estensione possibile vuole concretizzare che la base fondamentale di tale istituzione e suo soggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione, con il quale l'economia dei popoli esce dalla sua concentrazione edonistica (plutocrazia) dell'interesse del singolo per entrare in quello collettivo e rispettoso della proprietà privata, della valenza della personalità fisica e morale (socializzazione) rendendo attuabile nell'imminente Terzo Millennio il superamento del liberalismo accentratore (egemonia del capitalismo) delineatosi negli USA e altrove mediante le indicazioni da De Tocqueville sino alle teorie di Keynes e oltre, nonché del socialismo pianificatore (comunismo e camuffamenti successivi) applicato nella Russia partendo dal 1917 e poi nei vari Paesi satellizzati all'URSS ad iniziare dagli intendimenti propositivi di K. Marx ed Engels sino al naufragio provocato anche nelle amministrazioni decentrate, proposte dal polacco O. Lange, e di quelle con la dinamica del «banditore» successiva ai modelli suggeriti dal francese Walras. Infatti, la grande sfida del Fascismo repubblicano alle plutocrazie egemoniche del capitalismo conservatore (quelle che utilizzano gli «utili idioti» degli schieramenti autarchici di ipocrita liberal-democrazia quali menscevichi per nuove stagioni kerenskyane) ed al socialismo marxista in ogni suo travestimento (come il laburismo britannico, di cui il PDS si proclama agente mandatario nella nostra Penisola) diede già il 20 aprile 1945 a Palazzo Monforte la propria conferma di continuità nel futuro quando Mussolini tratteggiò a G. Cabella, valido direttore de "Il Popolo di Alessandria", la irrinunciabile necessità di un progetto effettivo per attuare la socializzazione mondiale con frontiere a carattere esclusivamente storico, di abolizione di ogni dogana, di libero commercio tra Paese e Paese regolato da una convenzione mondiale, moneta unica e conseguentemente l'oro di tutto il mondo in proprietà comune e così tutte le materie prime suddivise secondo i bisogni dei diversi Paesi, abolizione reale e radicale di ogni armamento. Riescono a capire i fragili avversari-amici politici di via delle Botteghe Oscure e di quella della Scrofa in Roma com'è impossibile per loro riuscire ad approdare -anche nell'immaginazione- all'impegno e allo sviluppo di una tanto ampia rivoluzione sociale che chiede alla stessa ONU di plasmare un ampliamento delle sue funzioni e di liberare il Consiglio di sicurezza da quel genere di gestione post-bellica che riconosceva a Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Cina e Francia il diritto-funzione di controllori e garanti sulla Terra di intoccabilità del regime imperialista approntato alle conferenze di Yalta e di Potsdam? Non possono farlo, perché loro sono in realtà i più ostinati continuatori della «prima repubblica», adattata alle nuove possibilità elettorali del sistema maggioritario.

Entra la socializzazione nelle fabbriche italiane

È nella considerazione di quanto specificato in precedenza che la celebrazione del 1° Cinquantenario della Repubblica Sociale, dalla rivolta di soldati e di cittadini contro l'ignominia del tradimento dei Savoia e di Badoglio alla programmazione della rinascita nazionale con l'applicazione dei Punti sulla socializzazione stabiliti dal Manifesto di Verona del PFR, dal perfezionamento delle attività industriali, cantieristiche e commerciali al rilancio delle iniziative nello sport, nei teatri e in cinematografia allo svolgimento del campionato di calcio 1943-44, assume equa valutazione storica e politica nell'attualità, perché nella diffusione della sua stampa (57 quotidiani, 264 periodici, moltissimi libri, tante pubblicazioni artistiche, ecc.) si comprende come la partecipazione dei produttori alla gestione di aziende quali la Pirelli, Snia Viscosa, Marzotto, Lanifici Rossi, ecc. con l'approvazione anche dei bilanci, delle ripartizioni degli utili e non ignorando la remunerazione del capitale significò per ogni impiegato e per ogni operaio lo scavalcamento automatico delle minacce sotterranee degli industriali (diventati sovvenzionatori della Resistenza dopo l'applicazione della legge socializzatrice) e di quelle delle organizzazioni clandestine del Partito comunista che dovevano respingere questa nuova conquista sociale del nuovo Stato.

«Temporale d'inverno» scuote la Garfagnana

Non è possibile affermare quanti soldati della RSI che nella primavera del 1945 sulle fronti delle Alpi e della Linea Gotica stavano conducendo l'ultima battaglia in difesa dell'Europa, fossero coscienti di combattere anche a tutela di rivoluzionari diritti nel lavoro, ma è certo che nell'intimo della loro responsabilità si era formata la maturazione di una maggiore coscienza popolare. D'altronde, questa sincronia si era avvertita tra i Soldati repubblicani nella parte tirrenica della Linea Gotica già a fine dicembre '44 allorché, dopo il discorso di Mussolini al teatro Lirico di Milano, radio-fante portò nelle buche e nelle trincee delle Alpi Apuane più che la speranza delle Neue Waffen (armi nuove) di Peenemünde, lo sprone a difendere con le unghie e con i denti la valle del Po e fu in quell'atmosfera di maggiore volontà che maturerà l'operazione offensiva «temporale d'inverno» (il Wintergewitter) che, approntato dai generali Mario Cartoni e Pretter Pico, consentì alle «penne nere» dei battaglioni Intra e Brescia, del Gruppo esploranti Cadelo e dei Gruppi d'artiglieria da montagna Mantova e Bergamo della Divisione Monterosa insieme ai marò del Battaglione Uccelli del 6° Reggimento della Divisione FM San Marco ed alle truppe scelte delle 148ª e 232ª Divisioni germaniche di travolgere lo schieramento nemico della 92ª Divisione USA Buffalo, dell'8ª Divisione indiana e dei Gruppi reggimentali dell'85ª Divisione USA che evacuarono subito il territorio lucchese del monte Palodina e la valle del Serchio con gli abitati di Trassilico, Verni, Gallicano, Barga, Castelvecchio, Fornaci e pronti a fare altrettanto a Bagni di Lucca.
Fu una bella vittoria, ma non era un successo momentaneo sulle Alpi Apuane che potesse capovolgere le sorti dell'intera fronte della Linea Gotica e quando nell'aprile '45 si scatenò l'operazione Aurora del nemico (cioè, l'assalto finale della V Armata USA e dell'VIII Armata britannica alla Pianura padana) la 12ª Forza aerea USAF -quella che durante l'azione italo-germanica di «Temporale d'inverno» impedì con il massiccio intervento di bombardieri e apparecchi da caccia ad alpini, bersaglieri e marò della RSI di puntare con più rinforzi alla liberazione di Lucca, Pisa e Livorno- entrò in azione per ostacolare con la sua forza devastante la strategia di comandanti delle Grandi Unità combattenti della RSI e di quelle della Wehrmacht per riuscire a disimpegnarsi dal rischio di accerchiamento.

Genova: la RSI salva il porto

In precedenza, su "Tabularasa" (Anno IV, n° 2, pag. 23) abbiamo tratteggiato parte dello sviluppo degli eventi militari successivi allo sfondamento della Linea Gotica, ma ritorniamo su quelli inerenti V Armata Liguria agli ordini del Maresciallo Graziani per evidenziare come, in virtù dell'alto senso di responsabilità dimostrato in quei drammatici frangenti dalle Autorità civili e militari della Repubblica Sociale, le principali strutture industriali, portuali e di primaria importanza per l'economia dell'Italia settentrionale e, in questo caso, della Liguria sono state salvate da totale distruzione, intrapresa da USA e Gran Bretagna con tanti bombardamenti terroristici sia navali quanto aerei, ma poi minacciata anche dai tedeschi in ritirata.
Già nel marzo '44, quando il conflitto in Italia era stato immobilizzato dal feldmaresciallo Kesselring su Montecassino e nella testa di ponte di Anzio e Nettuno, al generale Meinhold -comandante dei reparti germanici in Genova- l'OKW (V Oberkommando della Wermacht) aveva fornito il «Piano Z» che, nell'eventualità di evacuazione della metropoli ligure, disponeva la distruzione completa non solo delle centrali elettriche, di forniture d'acqua, di fabbriche, ponti e gallerie, ma principalmente del porto, insieme alla diga foranea, ai moli ed ai cantieri navali. Ognuna delle attrezzature indicate era stata minata dai genieri delle truppe di fanteria e da quelli della Kriegsmarine (guidata dall'Ammiraglio Loewisch) con quest'ultimi sempre più dubbiosi sulla capacità esecutiva da parte di Meinhold degli ordini impartiti dal Führer e dal Grand'Ammiraglio Doenitz. In data 3 ottobre '44, per scongiurare così grave minaccia agli scali portuali della Liguria, Luigi Sangermano -commissario governativo della RSI in questa regione- inoltrava a Mussolini questo telegramma cifrato:
«Al Capo del Governo - at seguito segnalazioni organi locali provinciali liguri rappresento che distruzioni iniziate da Forze Armate germaniche in Liguria non comprendono solo impianti solo interesse bellico ma abbracciano ogni campo vita industriale et civile popolazione punto at La Spezia sono state distrutte aut minate totalità industrie meccaniche et inoltre pastifici - tipografie - centrali elettriche - acquedotti - magazzini consorzio agrario punto distruzioni predisposte et in parte compiute porto Genova prevedono totalità moli et bacini dalle fondamenta oltre che sovrastrutture determinando inattività per decenni maggiore porto italiano punto at nome popolazione che subirà gravissime conseguenze invoco vostro diretto intervento per limitare distruzioni militari punto seguirà dettagliata relazione punto commissario straordinario Liguria Sangermano - precedenza assoluta su tutte le precedenze»
All'invio della dettagliata relazione, L. Sangermano preferì recarsi di persona a Gargnano e, a villa Feltrinelli, il commissario per la Liguria della RSI espose a viva voce a Benito Mussolini la gravita del pericolo incombente su Genova e il suo territorio.
Da quell'istante, ogni Autorità della RSI operò per evitare al porto e agli impianti industriali genovesi qualsiasi rischio di distruzione da parte della Wehrmacht o di altri Reparti germanici in caso di evacuazione della città, ma dominava il danno notevole già arrecato dalle incursioni aeronavali anglo-americane. In particolare, alla salvezza del porto di Genova si prodigò il capitano di corvetta Medaglia d'Oro M. Arillo non solo quale comandante operativo della Marina repubblicana nel Tirreno, ma in veste di Primo ufficiale delle Unità di mare della X Flottiglia Mas che, dagli scali marittimi di La Spezia, Genova, Varazze, Imperia e San Remo e altri minori, attaccavano le navi nemiche impegnate a cannoneggiare dal largo ogni possibile obiettivo individuabile sulla costa. Anche dopo la resa incondizionata sottoscritta dal gen. Meinhold la sera del 25 aprile al CLN ligure nella villa genovese Migone (dove il mattino seguente, per vergogna di tale capitolazione, il Feldwebel dott. Joseph Pohl -interprete di Meinhold- si suicidò) i marò della Decima rimasero a vigilare il porto con la Lanterna affinchè ogni struttura rimanesse salva e, soltanto dopo avere accertato che nulla le minacciava, si sentirono sciolti dall'impegno assunto l'indomani dell'8 settembre '43 nella caserma spezzina di San Bartolomeo in difesa dell'Onore d'Italia. A riconoscimento di quanto compiuto da questi marò e dalla Marina della RSI, per impedire la totale distruzione dello scalo indicato, nel gennaio 1983 il Cardinale di Genova S. E. Mons. Giuseppe Siri volle consegnare al Com.te Arillo l'attestato comprovante l'opera svolta da lui e dai marinai della Repubblica Sociale.

Nessuna bandiera bianca a Chiavari e dintorni

In seguito al tradimento di Meinhold a Genova, e per cui Kesselring e von Vietinghoff volevano punire quel generale che già sulla fronte russa aveva palesato parecchia incapacità di operatività e mentre la Geheime Staats Polizei (Gestapo) con il magg. Werner avanzava ulteriori sospetti di sua infedeltà al dovere militare, collimanti a quelli del magg. Engel delle Schutzstaffeln (SS) operanti in Liguria, fatti tra l'altro particolareggiati da C. Brizzolati nel libro "Genova Piano Z" dell'Erga, 1971, la ritirata di parte dell'Armata Liguria dalla Garfagnana e dall'Alta Versilia incontrò la difficoltà dell'attraversamento della metropoli nel golfo Paradiso, dopo Recco, costringendo le colonne a deviare nella val Fontanabuona -verso il passo della Scoffera- per congiungersi nel basso Piemonte alle altre Unità delle FF.AA. repubblicane. Dietro, le prudenti avanguardie della V Armata USA seguivano con le truppe della 92ª Divisione di fanteria e con i 473° e 442° Reggimenti nippo-americani che erano entrati a Massa e poi a Carrara nei giorni 10 e 11 aprile. A Chiavari, a metà percorso tra La Spezia e Genova, il 22 aprile era uscito il n° 44 di "Fiamma Repubblicana" (settimanale fondato e diffuso dopo il '43 nel Levante ligure dall'ispettore del PFR tigulo Vito Spiotta) con l'articolo di fondo "È questa l'ora dei giovani!" del ministro Fernando Mezzasoma, mentre nel capoluogo regionale -soltanto pochi giorni prima della resa di Meinhold- al Teatro comunale dell'Opera continuava a venire presentata la Bohème di Puccini con cantanti lirici quali la Mafalda Favero, Dora Di Stefano e Antonio Annoloro.
Nel contempo, il bollettino di guerra germanico informava che un cacciatorpediniere inglese era stato colpito dal siluri dei mezzi d'assalto della X Flottiglia Mas, nel golfo di Genova, ove continuava anche sul mare la sua eroica battaglia.
Il giorno 24 partiva da Chiavari il 3° Btg. della XXXI Brigata Nera S. Parodi che si univa al 1° e 2° Btg. della stessa Unità comandata da Livio Faloppa e che puntava al ridotto della Valtellina per affrontare lassù insieme al Duce e Pavolini l'ultima lotta.
Dal bacino del fiume Entella anche i reparti di alpini dei Btg. Ivrea e Aosta, il comando del 1° Rgt. Alpini con il col. A. Pasquali, la Compagnia anticarro e la «colonna leggera» della Divisione Monterosa, insieme ai marò del Btg. Uccelli della Divisione San Marco si inoltrarono nella Fontanabuona e nel corso di tale manovra il Grp. Esploratori Cadelo, incaricato di retroguardia, rispose ovunque con energia alle manovre di disturbo delle Unità partigiane della loro VI zona operativa, sulle cime della quale osservavano il passaggio dei soldati in grigioverde (Cornia, "Monterosa", 1971) attendendo però... il successivo arrivo dei «liberatori».
A Uscio, questa colonna concluse la ritirata ricevendo l'onore delle armi dalla V Armata USA che rimase stupita nel vedere i Reparti monterosini adunarsi nei ranghi per lanciare l'ultimo, proprio grido di combattimento dell'Esercito repubblicano mediante «Italia, a noi!» e concludere così, con orgogliosa dignità, la propria esistenza bellica.

Le nuove Termopili nella valle del Po

Sulla fronte delle Alpi occidentali frattanto, dalla testa del ghiacciaio Rutor (m 3486 slm) difesa dal 4° Rgt. Alpini della Divisione Littorio del gen. T. Agosti sino agli avamposti sul mare di Ventimiglia, attraverso l'intero schieramento del LXXV Korps del gen. H. Schlemmer in cui si distinguevano i soldati italiani dei Rgt. Folgore e Moschettieri delle Alpi, il Btg. IX Settembre, di quello del Lombardia Korps del gen. K. Jahn che inquadrava nel Ponente ligure la Divisione FM San Marco del gen. A. Farina, nel Cuneese i Btg. alpini Tirano, Morbegno, Brescia, Aosta ecc. della Divisione Monterosa comandati dal col. G. Milazzo, il Rgt. Cacciatori degli Appennini e altre Unità militari della GNR e delle BB.NN., si sviluppava agli ordini del Maresciallo Graziani l'operazione «Nebbie artificiali» per realizzare nella valle del Po il concentramento maggiore di Soldati repubblicani e garantire ad essi il rispetto con l'onore delle armi da parte del nemico anglo-americano. Non si dimentichi che, in prossimità degli avamposti di Ventimiglia dove la 34ª Divisione Tedesca, i presidi della Guardia Nazionale Repubblicana, dei Volontan delle BB.NN. di San Remo e Imperia iniziavano a spostarsi verso il basso Piemonte, i marò della X Flottiglia Mas con i mezzi d'assalto MAS 561, 553 e 556 la notte del giorno 23 uscivano dalla base di Imperia per la missione «Onore» e concludere la guerra attaccando i porti nemici di Nizza, Antibes, Saint Tropez e Cannes, le navi alla fonda oppure in movimento. Nell'alto savonese, prima che l'operazione Aurora del nemico contro la Linea Gotica avesse inizio, due Leonida della causa per l'onore d'Italia -uno politico e l'altro militare- tentarono di evitare al nuovo Stato repubblicano promulgatore della socializzazione il dramma della «risoluzione finale» progettato dai traditori di allora, quella che doveva condurre al massacro di Dongo, al ludibrio di piazzale Loreto in Milano e al martino di un'elevatissima quantità di fascisti.
Alessandro Pavolini, segretario del PFR, propugnatore della continuità dell'Idea socializzatrice mediante l'evoluzione dello Stato corporativo per la Civiltà del Lavoro nel Terzo Millennio, auspicava la conclusione italiana del 2° conflitto mondiale nel Ridotto alpino repubblicano della Valtellina, mentre il generale A. Farina sincronizzava nel piano Area Difesa sulle posizioni strategiche tenute dalla Divisione FM San Marco nell'area appenninica di Altare, Dego e Pontinvrea la zona di sicurezza per le personalità della RSI in attesa di una «pace concordata» con le Autorità politiche di USA, URSS e Gran Bretagna. La prima (quella di Pavolini) era la finalità politica nella conclusione degli eventi storici della RSI, la seconda (quella di Farina) indicava il termine militare del conflitto nel rispetto dei contendenti. Conoscendo adesso quale era la reale volontà di pace di Churchill, di Truman (appena succeduto al defunto Roosevelt) e di Stalin si può asserire che, nella tragicità del dramma incombente, Pavolini previde l'ineluttabilità di una Norimberga italiana se fosse stata evitata l'incancellabile vergogna di piazzale Loreto, quasi invocando quindi un'emulazione del sacrificio del temerario figlio di Anassandrida nelle gole della nuova Tessaglia, per determinare in Valtellina la moderna realtà delle Termopili contemporanee e facendo erigere poi una colonna all'inizio della grande arteria del futuro con il detto: «O lettore degli insegnamenti della Storia, va a dire ai giovani che siamo morti in obbedienza della civiltà sociale nello sviluppo delle Nazioni e dei loro popoli».
Orbene, chi diserta -anche oggi- questo dovere morale, può liberalizzare nel conservatorismo più ottuso della destra reazionaria la propria involuzione politica ai vecchi principi di Mirabeau oppure di Giolitti ma ignorando l'etica sociale indispensabile allo sviluppo europeo del progresso non entrerà nella Storia della civiltà.

Bruno De Padova

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