La destra malata
Come a voler praticare un
elettroshock ad una destra con l'elettroencefalogramma piatto, Stenìo Solinas ha
innescato un dibattito sulla povertà culturale di Alleanza Nazionale, chiamata a
reggere le sorti dell'azienda Italia (il frasario è preso in prestito dai
bottegai, altra e più alta è la concezione che noi abbiamo della nostra patria)
e finita in una bancarotta che per certi aspetti è anche fraudolenta. La
concione dialettica, finita nella dispersione accademica, non ha avuto il
coraggio di dire papale papale perché AN si ritrova, anche sul versante
culturale, in condizioni scheletriche. Vediamo di tentare un'analisi cercando
anche di compulsare quanto sostiene Pettinato ("Tabularasa", n° 4, 1995).
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: per quanto ci riguarda non è
scontento e inquietudine a muovere la nostra avversione nei confronti di AN. È,
invece, netta distanza da tutto ciò che sa di destra. Posizione invero mantenuta
da sempre e radicalizzatasi vieppiù nel 1976 quando il MSI stava scivolando
tutto (capi e gregari) verso Democrazia Nazionale. Non è nemmeno uno stare
ripiegati su sé stessi, incapaci di far germogliare il proprio originale
pensiero. Noi non abbiamo bisogno di ritrovi e circoli. Le idee sono semi che
vanno sparsi nel terreno del mondo. Per germogliare abbisognano di aria. Nel
chiuso vivono male, crescono scialbe, diafane e macilente. Da queste sponde
s'amano i mari aperti, i cieli infiniti e gli spazi senza limiti. La nostra è
natura di ricerca per sapere cosa c'è di là della linea d'orizzonte, oltre le
colonne d'Ercole della vita.
Non siamo custodi di fuochi sacri. Volete ancora turlupinarci col fideismo e la
mistica? Basta con la storiella di «vivere all'interno»: è vecchia pratica e la
conoscono bene gli schiavi. Noi non abbiamo colpe da farci perdonare. Ci sono
state delle battaglie e le si è combattute stando nel proprio schieramento il
quale, come tutte le partigianerie, ha avuto i suoi santi e i suoi diavoli, i
suoi generosi e i suoi avari, i suoi eroi e i suoi vigliacchi. È una storia
chiusa.
Hanno vinto i prudenti. Statevene con loro a gridare «vincere e vinceremo», così
resterete «fedeli alle origini». Per noi AN non è figlia d'un atto d'amore. È il
risultato biologico d'una inseminazione artificiale. Che avviene quando la
manipolazione genetica forza la natura delle cose. Un'operazione, si badi, che
facciamo risalire non a epoca recente bensì come risultante d'un processo
politico nazionale che non ha mai avuto soluzione di continuità. In Italia ogni
regime succede a sé stesso.
Cambia la forma, la sostanza mai. E diciamola tutta, una volta per tutte.
Tra il giolittismo e il fascismo non c'è stata, quella soluzione. La borghesia
che trescava con il «ministro della malavita» s'è fatta colonna portante del
fascismo. Col programma di San Sepolcro s'è fatto uno zerbino su cui pulire le
scarpe inzaccherate. Perché avviene il 3 gennaio? Quel giorno il fascismo perde
la sua credibilità. Aveva cantato l'inno alla vita, aveva tuonato contro la
dittatura. S'era fatto dittatura. E con essa i tribunali speciali e le leggi
razziali. Vinceva la destra del fascismo e la giustizia sociale, tanto agognata,
finiva sottoterra. Non s'ha voglia di ripercorrere le pagine scritte da
Francesco Grossi ma "Battaglie sindacali" va letto e capito. Sì, si troverà
descritta tutta la difficoltà incontrata dai sindacalisti per far applicare le
leggi sociali che il fascismo varava. Perché non basta fare le leggi, poi
bisogna applicarle e farle rispettare e durante il fascismo la legge era dura
solo con i poveracci.
Il fascismo si castrò nel momento in cui, anziché distruggerla, si appoggiò alla
borghesia. Il Mussolini di "Storia di un anno" è a volte patetico. Piagnucola
sui tradimenti del re, dei generali, dei gerarchi, degli industriali, dei
burocrati. Ma non era stato lui a metterli lì? Quanta ragione aveva il maggiore
Rizzati a definirlo una «maddalena pentita»... E dopo il fascismo e per quanto
riguarda la «nostra» storia? Lasciamo parlare ("L'Eco della Versilia",
31.8.1991) Francesco Grossi: «Ma il male oscuro [...] risale alla fondazione del
MSI. Consiste nella presunzione di fare i "novatori", i "revisionisti", i
"glossatori " del Fascismo di Mussolini e del Ventennio. Sono costoro i nemici
più radicati che il Fascismo tradizionale e originario abbia avuto nel sociale e
nel politico da parte di questi elementi di dubbia cultura, di azione apparente
e di presunzione in quanto si sono considerati eredi legittimi di un patrimonio
storico, distorcendolo dalle sue origini per conformarlo alle politiche
contingenti che durano, nei loro misfatti, da 45 anni di antifascismo. E inutile
ritornare a predicare le vecchie "solfe " di attaccamento alle origini che sono,
soprattutto, contro il sistema capitalistico, il socialismo reale o comunismo».
Data l'autorevolezza del sostenitore, il discorso pare esaustivo. Se vogliamo di
più, facciamo parlare il Niccolai della tribuna di Sorrento: «Siamo "oltre", si
afferma, siamo "l'unica opposizione", siamo "l'alternativa al sistema". Ma nei
comportamenti, nei fatti, nella simbologia, siamo "destra". Una destra, bisogna
dirlo, che per volontà di tutti (destra prudente e plaudente) ha avuto dentro la
più alta percentuale di massoni e di uomini dei Servizi; rischiando di
annoverare nelle sue file Michele Sindona. Abbiamo, nel momento più scuro del
nostro smarrimento culturale e della nostra emarginazione nella opinione
pubblica, in contemporanea al miglior successo nel Palazzo (il 1972 che piace
tanto agli amici di "Destra in Movimento") abbiamo, dicevo, allungato il nostro
nome: MSI, MSI-DN, MSI-DN-Costituente di Destra, perdendo via via di
significanza. Il che faceva dire ad Adriano Romualdi, alla domanda perché la
contestazione aveva finito per incanalarsi sui binari del marxismo, "perché
dall'altra parte non esiste più nulla, c'è una destra fossilizzata nelle trincee
di retroguardia del patriottismo borghese, incapace di agitare il grande mito di
domani, il mito dell'Europa; una destra seppellita sotto un cumulo di
qualunquismo borghese"».
Il resto è rimasticamento retorico d'un pensiero tutto reazionario. Noi siamo
diversi. Non condividiamo nemmeno che la (supposta) importanza economica
dell'Italia sia un fatto qualificante. Prima di tutto perché questa «importanza»
è solo fantasiosa e poi perché nel nostro impianto ideale abbiamo riservato
all'economia un ruolo secondario. Vedere poi «un fascismo abilmente realizzato»
nella Cina mao-denghiana fa venire le vertigini. Intravvedere nella «rinascita
argentina» un fatto positivo significa non aver capito nulla di quello che
avviene nel mondo latino-americano, vergognosamente soggetto alla «dottrina di
Monroe».
* * *
E veniamo alla «sindrome democristiana» di AN. Chi ha letto Pasolini, sa ch'egli
parlava di «fascismo democristiano». Non è un artificio verbale. È la
definizione d'un processo politico che in Italia si è realizzato. La mentalità
reazionaria del regime fascista cambia camicia, rinnega sé stessa e instaura il
regime democristiano. Perché avrebbero tollerato, se fossero stati diversi, la
nascita del MSI? Se il MSI fosse stato davvero pericoloso, non sarebbe sorto. Il
potere non è mai imbecille.
La verità è che alla DC serviva una «sputacchiera amica», per usare la
terminologia di Caradonna, in cui espettorare il muco che le flogosi di potere
immancabilmente producono. È di lì che inizia la «diaspora delle intelligenze».
Chi non voleva soggiacere a questo ruolo di subalternità, perché «capiva» quel
che avveniva, diventava pericoloso. E s'apriva la via del rogo. Le storie si
conoscono e prima di Solinas, Tarchi e Veneziani, Alberto Giovannini non aveva
avuto vita facile. Giorgio Pini se ne andò quasi subito e nessuno mosse un dito
per trattenerlo. Ernesto Massi, il primo a parlare di geopolitica, lo stesso. Il
MSI è stata la forca degli intellettuali e il regno dei «cretini ubbidienti» di
staraciana memoria. Molti dei cacciati, come scrive Salvatore Scarpino, si sono
chiusi nella solitudine e nella selvatichezza del loro esistere, felici d'essere
«cani sciolti, lucìferìni negli orgogli e nelle inimicizie». Qualcuno di quelli
guardava a Berto Ricci delle «solitudini di pietra» che voleva «affogare nel
ridicolo chi vede nella discussione il diavolo».
Chi conosce la storia di Tatarella Giuseppe può affermare senza tema di smentite
ch'egli è uno dei pochi coerenti dell'ambiente. Ha ragione Veneziani. Tatarella,
con la sua inconsistenza culturale ma la perfetta conoscenza dei meccanismi
della politica politicante, è il padre putativo di AN. Tutti si sbracciano a
voler riconoscere a Fini doti d'intelligenza. Poi tutti, gli stessi, riconoscono
che AN è senza progetti. E allora che cos'è questa riconosciuta intelligenza? Un
progetto politico serio non può prescindere dall'immaginare un destino, cioè una
mèta, da dare a un popolo, a una nazione, a uno stato, a una patria. S'usi il
termine più confacente alla propria cultura, anche l'incolore «paese», ma se una
classe dirigente non si prefigge questi scopi, quel che fa non è politica. E,
giova ricordarlo, nella democraticissima Atene di Pericle, l'«idiota» era colui
il quale non faceva politica.
C'è questo progetto? Non c'è. Per progettare occorre pensare. Servono idee,
necessarie soprattutto quando cadono (ed era ora!) le ideologie. Quando però il
pensiero è andato in esilio, rimangono solo le lotte di fazione, gli intrighi di
corrente, le gelosie personali e la corsa sfrenata al protagonismo.
Questa sterile confusione genera inevitabilmente la «cultura» del sospetto, il
mito dietrologico appagante. Anziché interrogarsi e «farsi male», è più facile
prendersela col destino cinico e baro che ordisce complotti tramite i poteri.
Usando pure il giornalismo, che potere è. Faciloneria, lardosa tronfiaggine,
stupida spocchiosità, inutile «machismo» come l'invocare (ancora!) la pena di
morte. Torna, torna sempre, a dispetto dei tanti gattopardismi, dello svestirsi
nei camerini della politica «novistica» il rigurgito d'una violenza capace solo
di bastonare le idee e purgarle con l'olio dei «fogli d'ordine». Se si vuole
fare un'analisi storica seria, bisogna chiedersi perché avviene la «diaspora
delle intelligenze». Puro capriccio? No, assolutamente. Fu la pena inferta a chi
non poteva tollerare, dall'alto dei suoi convincimenti storici e culturali, che
avvenisse il mercimonio delle coscienze. Mennitti enfatizza l'«onestà della
classe dirigente missina». Mentre ci chiediamo che fine ha fatto il pudore,
diciamo che è falso, fuorviante e deviante sostenere ancora queste assurde
amenità.
Quando nel remoto 1968 Beppe Niccolai, tutto solo, presentò il Progetto di Legge
n° 78 sulla creazione dell'anagrafe tributaria dei parlamentari, non ci fu
alcuno a dargli una mano. Mennitti ricorderà sedute di Comitato centrale e
Direzione nazionale del MSI, anche Congressi, che avevano all'ordine del giorno
la «questione morale» del partito.
È l'on. Pasetto di Verona a denunciare ad Almirante che Franco Franchi,
l'attuale Consigliere del CSM aveva seicento milioni (degli Anni Ottanta) di
debiti. È Angelo Cerbone, membro del Comitato centrale, uomo di cinque lauree
buttato fuori dal MSI, a denunciare in due libri ("Scacco al Re" e "Eutanasia di
un partito") le malefatte del vertice missino che con i comunisti napoletani
gozzoviglia a tangenti di centinaia di milioni (dell'epoca). Mennitti sa che il
finanziamento pubblico dei partiti, il suo liquame, ha riversato la sua untuosa
risacca sui vertici altissimi del MSI.
Ecco perché c'era la «diaspora delle intelligenze». Chi voleva capire e sapere,
chi s'infuriava nel prendere coscienza di questo marciume, veniva sbattuto
fuori. Anche Mirko Tremaglia... continua a fare la vittima. Lo sappiamo tutti
che c'è stato l'«arco costituzionale». L'abbiamo pagato sulla nostra pelle
mentre Tremaglia andava al Parlamento, pagato a milioni al mese. In quel
Parlamento il MSI è stato stampella del sistema democristiano.
La «sindrome democristiana» non nasce con Alleanza nazionale. Il virus è
congenito, era nel corpo dei padri. È la spirocheta della vecchia sifilide che
aveva messo in arcione Tambroni, Segni, Leone, il peggio (posto che possa
esserci un meglio) della DC, con i voti determinanti del MSI. È lo stafilococco
che continua a contaminare se Tatarella Giuseppe, appena insediatosi al
dicastero delle Poste, nomina suo consigliere giuridico il prof. Aldo Loiodice,
«consigliori» della classe dirigente DC di Puglia, fra cui si annovera un bel
nucleo di galeotti.
C'è un motivo perché Gasparri rifiuta (dice lui) il Ministero dell'Agricoltura e
s'insedia al Viminale. L'homo faber costruisce sempre il suo destino. Con Publio
Fiori al governo, AN riporta ai vertici dello Stato la famigerata P2, contro la
quale lo Stato stesso aveva nominato una Commissione d'inchiesta e il MSI aveva
destinato a rappresentarlo quell'Altero Matteoli, che mentre firma la relazione
di minoranza, poi non sente lo schifo ad assidersi allo stesso tavolo dei
piduisti. Chi gridava contro queste porcherie era condannato a subire il pogrom.
Chi non voleva saperne di accettare tre capi dei servizi segreti, vergogna della
nostra patria, artefici della strategia della tensione che è costata sangue del
nostro popolo, era condannato all'ostracismo mentre «lorsignori» diventavano
deputati. Chi chiedeva perché Almirante, oltre ad incontrare Sindona a New York,
si faceva amnistiare nel processo per la strage di Peteano, andava al rogo. Chi
credeva all'identità italiana e voleva per la nostra patria la libertà che
meritava, finiva all'indice. Perché il nazionalismo missino, già di per sé
deprecabile, doveva avere per bandiera quella americana.
Beppe Niccolai, che scoprì la sporca storia della lettera di solidarietà scritta
a nome del partito da Mirko Tremaglia e inviata a Oliver North, il colonnello
americano contrabbandiere di armi dell'affare Iran-Contras, finirà denunciato
dal bergamasco e interrogato all'UCIGOS di Pisa.
Nasce così la «sindrome democristiana». Il resto è pura accademia.
Vito Errico
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