«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

La destra malata
 

Come a voler praticare un elettroshock ad una destra con l'elettroencefalogramma piatto, Stenìo Solinas ha innescato un dibattito sulla povertà culturale di Alleanza Nazionale, chiamata a reggere le sorti dell'azienda Italia (il frasario è preso in prestito dai bottegai, altra e più alta è la concezione che noi abbiamo della nostra patria) e finita in una bancarotta che per certi aspetti è anche fraudolenta. La concione dialettica, finita nella dispersione accademica, non ha avuto il coraggio di dire papale papale perché AN si ritrova, anche sul versante culturale, in condizioni scheletriche. Vediamo di tentare un'analisi cercando anche di compulsare quanto sostiene Pettinato ("Tabularasa", n° 4, 1995).
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: per quanto ci riguarda non è scontento e inquietudine a muovere la nostra avversione nei confronti di AN. È, invece, netta distanza da tutto ciò che sa di destra. Posizione invero mantenuta da sempre e radicalizzatasi vieppiù nel 1976 quando il MSI stava scivolando tutto (capi e gregari) verso Democrazia Nazionale. Non è nemmeno uno stare ripiegati su sé stessi, incapaci di far germogliare il proprio originale pensiero. Noi non abbiamo bisogno di ritrovi e circoli. Le idee sono semi che vanno sparsi nel terreno del mondo. Per germogliare abbisognano di aria. Nel chiuso vivono male, crescono scialbe, diafane e macilente. Da queste sponde s'amano i mari aperti, i cieli infiniti e gli spazi senza limiti. La nostra è natura di ricerca per sapere cosa c'è di là della linea d'orizzonte, oltre le colonne d'Ercole della vita.
Non siamo custodi di fuochi sacri. Volete ancora turlupinarci col fideismo e la mistica? Basta con la storiella di «vivere all'interno»: è vecchia pratica e la conoscono bene gli schiavi. Noi non abbiamo colpe da farci perdonare. Ci sono state delle battaglie e le si è combattute stando nel proprio schieramento il quale, come tutte le partigianerie, ha avuto i suoi santi e i suoi diavoli, i suoi generosi e i suoi avari, i suoi eroi e i suoi vigliacchi. È una storia chiusa.
Hanno vinto i prudenti. Statevene con loro a gridare «vincere e vinceremo», così resterete «fedeli alle origini». Per noi AN non è figlia d'un atto d'amore. È il risultato biologico d'una inseminazione artificiale. Che avviene quando la manipolazione genetica forza la natura delle cose. Un'operazione, si badi, che facciamo risalire non a epoca recente bensì come risultante d'un processo politico nazionale che non ha mai avuto soluzione di continuità. In Italia ogni regime succede a sé stesso.
Cambia la forma, la sostanza mai. E diciamola tutta, una volta per tutte.
Tra il giolittismo e il fascismo non c'è stata, quella soluzione. La borghesia che trescava con il «ministro della malavita» s'è fatta colonna portante del fascismo. Col programma di San Sepolcro s'è fatto uno zerbino su cui pulire le scarpe inzaccherate. Perché avviene il 3 gennaio? Quel giorno il fascismo perde la sua credibilità. Aveva cantato l'inno alla vita, aveva tuonato contro la dittatura. S'era fatto dittatura. E con essa i tribunali speciali e le leggi razziali. Vinceva la destra del fascismo e la giustizia sociale, tanto agognata, finiva sottoterra. Non s'ha voglia di ripercorrere le pagine scritte da Francesco Grossi ma "Battaglie sindacali" va letto e capito. Sì, si troverà descritta tutta la difficoltà incontrata dai sindacalisti per far applicare le leggi sociali che il fascismo varava. Perché non basta fare le leggi, poi bisogna applicarle e farle rispettare e durante il fascismo la legge era dura solo con i poveracci.
Il fascismo si castrò nel momento in cui, anziché distruggerla, si appoggiò alla borghesia. Il Mussolini di "Storia di un anno" è a volte patetico. Piagnucola sui tradimenti del re, dei generali, dei gerarchi, degli industriali, dei burocrati. Ma non era stato lui a metterli lì? Quanta ragione aveva il maggiore Rizzati a definirlo una «maddalena pentita»... E dopo il fascismo e per quanto riguarda la «nostra» storia? Lasciamo parlare ("L'Eco della Versilia", 31.8.1991) Francesco Grossi: «Ma il male oscuro [...] risale alla fondazione del MSI. Consiste nella presunzione di fare i "novatori", i "revisionisti", i "glossatori " del Fascismo di Mussolini e del Ventennio. Sono costoro i nemici più radicati che il Fascismo tradizionale e originario abbia avuto nel sociale e nel politico da parte di questi elementi di dubbia cultura, di azione apparente e di presunzione in quanto si sono considerati eredi legittimi di un patrimonio storico, distorcendolo dalle sue origini per conformarlo alle politiche contingenti che durano, nei loro misfatti, da 45 anni di antifascismo. E inutile ritornare a predicare le vecchie "solfe " di attaccamento alle origini che sono, soprattutto, contro il sistema capitalistico, il socialismo reale o comunismo».
Data l'autorevolezza del sostenitore, il discorso pare esaustivo. Se vogliamo di più, facciamo parlare il Niccolai della tribuna di Sorrento: «Siamo "oltre", si afferma, siamo "l'unica opposizione", siamo "l'alternativa al sistema". Ma nei comportamenti, nei fatti, nella simbologia, siamo "destra". Una destra, bisogna dirlo, che per volontà di tutti (destra prudente e plaudente) ha avuto dentro la più alta percentuale di massoni e di uomini dei Servizi; rischiando di annoverare nelle sue file Michele Sindona. Abbiamo, nel momento più scuro del nostro smarrimento culturale e della nostra emarginazione nella opinione pubblica, in contemporanea al miglior successo nel Palazzo (il 1972 che piace tanto agli amici di "Destra in Movimento") abbiamo, dicevo, allungato il nostro nome: MSI, MSI-DN, MSI-DN-Costituente di Destra, perdendo via via di significanza. Il che faceva dire ad Adriano Romualdi, alla domanda perché la contestazione aveva finito per incanalarsi sui binari del marxismo, "perché dall'altra parte non esiste più nulla, c'è una destra fossilizzata nelle trincee di retroguardia del patriottismo borghese, incapace di agitare il grande mito di domani, il mito dell'Europa; una destra seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese"».
Il resto è rimasticamento retorico d'un pensiero tutto reazionario. Noi siamo diversi. Non condividiamo nemmeno che la (supposta) importanza economica dell'Italia sia un fatto qualificante. Prima di tutto perché questa «importanza» è solo fantasiosa e poi perché nel nostro impianto ideale abbiamo riservato all'economia un ruolo secondario. Vedere poi «un fascismo abilmente realizzato» nella Cina mao-denghiana fa venire le vertigini. Intravvedere nella «rinascita argentina» un fatto positivo significa non aver capito nulla di quello che avviene nel mondo latino-americano, vergognosamente soggetto alla «dottrina di Monroe».
* * *
E veniamo alla «sindrome democristiana» di AN. Chi ha letto Pasolini, sa ch'egli parlava di «fascismo democristiano». Non è un artificio verbale. È la definizione d'un processo politico che in Italia si è realizzato. La mentalità reazionaria del regime fascista cambia camicia, rinnega sé stessa e instaura il regime democristiano. Perché avrebbero tollerato, se fossero stati diversi, la nascita del MSI? Se il MSI fosse stato davvero pericoloso, non sarebbe sorto. Il potere non è mai imbecille.
La verità è che alla DC serviva una «sputacchiera amica», per usare la terminologia di Caradonna, in cui espettorare il muco che le flogosi di potere immancabilmente producono. È di lì che inizia la «diaspora delle intelligenze». Chi non voleva soggiacere a questo ruolo di subalternità, perché «capiva» quel che avveniva, diventava pericoloso. E s'apriva la via del rogo. Le storie si conoscono e prima di Solinas, Tarchi e Veneziani, Alberto Giovannini non aveva avuto vita facile. Giorgio Pini se ne andò quasi subito e nessuno mosse un dito per trattenerlo. Ernesto Massi, il primo a parlare di geopolitica, lo stesso. Il MSI è stata la forca degli intellettuali e il regno dei «cretini ubbidienti» di staraciana memoria. Molti dei cacciati, come scrive Salvatore Scarpino, si sono chiusi nella solitudine e nella selvatichezza del loro esistere, felici d'essere «cani sciolti, lucìferìni negli orgogli e nelle inimicizie». Qualcuno di quelli guardava a Berto Ricci delle «solitudini di pietra» che voleva «affogare nel ridicolo chi vede nella discussione il diavolo».
Chi conosce la storia di Tatarella Giuseppe può affermare senza tema di smentite ch'egli è uno dei pochi coerenti dell'ambiente. Ha ragione Veneziani. Tatarella, con la sua inconsistenza culturale ma la perfetta conoscenza dei meccanismi della politica politicante, è il padre putativo di AN. Tutti si sbracciano a voler riconoscere a Fini doti d'intelligenza. Poi tutti, gli stessi, riconoscono che AN è senza progetti. E allora che cos'è questa riconosciuta intelligenza? Un progetto politico serio non può prescindere dall'immaginare un destino, cioè una mèta, da dare a un popolo, a una nazione, a uno stato, a una patria. S'usi il termine più confacente alla propria cultura, anche l'incolore «paese», ma se una classe dirigente non si prefigge questi scopi, quel che fa non è politica. E, giova ricordarlo, nella democraticissima Atene di Pericle, l'«idiota» era colui il quale non faceva politica.
C'è questo progetto? Non c'è. Per progettare occorre pensare. Servono idee, necessarie soprattutto quando cadono (ed era ora!) le ideologie. Quando però il pensiero è andato in esilio, rimangono solo le lotte di fazione, gli intrighi di corrente, le gelosie personali e la corsa sfrenata al protagonismo.
Questa sterile confusione genera inevitabilmente la «cultura» del sospetto, il mito dietrologico appagante. Anziché interrogarsi e «farsi male», è più facile prendersela col destino cinico e baro che ordisce complotti tramite i poteri. Usando pure il giornalismo, che potere è. Faciloneria, lardosa tronfiaggine, stupida spocchiosità, inutile «machismo» come l'invocare (ancora!) la pena di morte. Torna, torna sempre, a dispetto dei tanti gattopardismi, dello svestirsi nei camerini della politica «novistica» il rigurgito d'una violenza capace solo di bastonare le idee e purgarle con l'olio dei «fogli d'ordine». Se si vuole fare un'analisi storica seria, bisogna chiedersi perché avviene la «diaspora delle intelligenze». Puro capriccio? No, assolutamente. Fu la pena inferta a chi non poteva tollerare, dall'alto dei suoi convincimenti storici e culturali, che avvenisse il mercimonio delle coscienze. Mennitti enfatizza l'«onestà della classe dirigente missina». Mentre ci chiediamo che fine ha fatto il pudore, diciamo che è falso, fuorviante e deviante sostenere ancora queste assurde amenità.
Quando nel remoto 1968 Beppe Niccolai, tutto solo, presentò il Progetto di Legge n° 78 sulla creazione dell'anagrafe tributaria dei parlamentari, non ci fu alcuno a dargli una mano. Mennitti ricorderà sedute di Comitato centrale e Direzione nazionale del MSI, anche Congressi, che avevano all'ordine del giorno la «questione morale» del partito.
È l'on. Pasetto di Verona a denunciare ad Almirante che Franco Franchi, l'attuale Consigliere del CSM aveva seicento milioni (degli Anni Ottanta) di debiti. È Angelo Cerbone, membro del Comitato centrale, uomo di cinque lauree buttato fuori dal MSI, a denunciare in due libri ("Scacco al Re" e "Eutanasia di un partito") le malefatte del vertice missino che con i comunisti napoletani gozzoviglia a tangenti di centinaia di milioni (dell'epoca). Mennitti sa che il finanziamento pubblico dei partiti, il suo liquame, ha riversato la sua untuosa risacca sui vertici altissimi del MSI.
Ecco perché c'era la «diaspora delle intelligenze». Chi voleva capire e sapere, chi s'infuriava nel prendere coscienza di questo marciume, veniva sbattuto fuori. Anche Mirko Tremaglia... continua a fare la vittima. Lo sappiamo tutti che c'è stato l'«arco costituzionale». L'abbiamo pagato sulla nostra pelle mentre Tremaglia andava al Parlamento, pagato a milioni al mese. In quel Parlamento il MSI è stato stampella del sistema democristiano.
La «sindrome democristiana» non nasce con Alleanza nazionale. Il virus è congenito, era nel corpo dei padri. È la spirocheta della vecchia sifilide che aveva messo in arcione Tambroni, Segni, Leone, il peggio (posto che possa esserci un meglio) della DC, con i voti determinanti del MSI. È lo stafilococco che continua a contaminare se Tatarella Giuseppe, appena insediatosi al dicastero delle Poste, nomina suo consigliere giuridico il prof. Aldo Loiodice, «consigliori» della classe dirigente DC di Puglia, fra cui si annovera un bel nucleo di galeotti.
C'è un motivo perché Gasparri rifiuta (dice lui) il Ministero dell'Agricoltura e s'insedia al Viminale. L'homo faber costruisce sempre il suo destino. Con Publio Fiori al governo, AN riporta ai vertici dello Stato la famigerata P2, contro la quale lo Stato stesso aveva nominato una Commissione d'inchiesta e il MSI aveva destinato a rappresentarlo quell'Altero Matteoli, che mentre firma la relazione di minoranza, poi non sente lo schifo ad assidersi allo stesso tavolo dei piduisti. Chi gridava contro queste porcherie era condannato a subire il pogrom. Chi non voleva saperne di accettare tre capi dei servizi segreti, vergogna della nostra patria, artefici della strategia della tensione che è costata sangue del nostro popolo, era condannato all'ostracismo mentre «lorsignori» diventavano deputati. Chi chiedeva perché Almirante, oltre ad incontrare Sindona a New York, si faceva amnistiare nel processo per la strage di Peteano, andava al rogo. Chi credeva all'identità italiana e voleva per la nostra patria la libertà che meritava, finiva all'indice. Perché il nazionalismo missino, già di per sé deprecabile, doveva avere per bandiera quella americana.
Beppe Niccolai, che scoprì la sporca storia della lettera di solidarietà scritta a nome del partito da Mirko Tremaglia e inviata a Oliver North, il colonnello americano contrabbandiere di armi dell'affare Iran-Contras, finirà denunciato dal bergamasco e interrogato all'UCIGOS di Pisa.
Nasce così la «sindrome democristiana». Il resto è pura accademia.
 

Vito Errico

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