Urto di idee e nessuna rinuncia
Malcontento e irritazione serpeggiano. Sensazioni palpabili, ruvide, a
fior di pelle. I visi esprimono voglia di ribellione. Ormai è una sorta di
febbre che, se non esplode, può portare alla completa consunzione determinando
la definitiva degenerazione di ogni energia vitale e intellettuale. Le poche
azioni che si sviluppano, ai giorni nostri, sono limitate e circoscritte ai
bisogni del ventre per la cui soddisfazione vengono svolte contese nel segno
della corruzione e del compromesso. Controllori, sempre gli stessi: i
professionisti della politica, gli speculatori, i grandi gruppi economici, i
banchieri, gli industriali, i giornalisti sedicenti intellettuali. Tutti
insieme, favorendo gli egoismi e i parassitismi, danno alle turbe l'illusione di
un fugace benessere.
Siamo diventati spettatori imbastarditi, inariditi, e assistiamo inerti al
formarsi delle nuove classi negli apparati che gravitano intorno allo stato e
nello stato stesso. Classi che, anziché investire la somma delle varie utilità
personali per la collettività, utilizzano il massimo delle utilità della
collettività per soddisfare gli egoismi delle grosse concentrazioni
economico-finanziarie. Non possiamo rimanere passivi. Ognuno di noi deve farsi
interprete della rabbia che cova, agitare gli animi, educare (sì, educare!) gli
interlocutori a credere in sé stessi; incitarli a dimostrare disprezzo,
apertamente, in ogni occasione, contro la classe politica -vecchia o nuova che
sia- che da troppi anni travalica i limiti di ogni sopportazione. Questo non è
qualunquismo. È qualcosa di più scopertamente serio e fattibile: vogliamo
indurre gli umili ad inverare nel loro pensiero e nel loro operare, il religioso
ardore della volontà di redenzione. Quando ci si lamenta della perdita dei
valori, dello smarrimento della morale, della disfatta di ogni volontà, vuoi
dire che c'è, latente, una forte esigenza di ribellione. Non possiamo continuare
a vivere come individui tenuti insieme dalla viltà, dalla rinuncia,
dall'obbedienza senza fede, dalla solidarietà senza altruismo, ondeggiando in un
mondo informe che frantuma ogni coerenza. Non è con il compromesso che si può
arrestare l'infermità spirituale che ci affligge, ma con una energica
riaffermazione dei motivi intellettuali della vita sui motivi vitali. Per
riacquistare la dignità della parola data e la dignità del pensiero quale esso
sia.
Anzi, è tempo che tornino a sventolare bandiere rosse e bandiere nere; le
bandiere dei sognatori, degli illusi, degli oppressi, dei doloranti abbandonati
a sé stessi dopo essere stati strumentalizzati per lunghi anni da una classe
politica e sindacale il cui scopo era raggiungere la pace borghese e l'abbraccio
affettuoso dei potentati industriali e finanziari.
Tornino a sventolare quelle bandiere. Con le stesse passioni e gli stessi
entusiasmi di ieri ma, questa volta, con la ferma volontà di dissodare il campo
delle conquiste sociali; per rovesciare le alte dighe dell'egoismo; per elevarsi
materialmente subordinandosi alla morale; per la socializzazione dei mezzi di
produzione, concepita come avviamento alla perfezione; per l'emancipazione dal
giogo capitalistico intesa come tappa verso la redenzione etica.
Non è un sogno impossibile. I reietti, soprattutto la nostra gente del
Meridione, dove le intelligenze vengono conculcate e oppresse dallo strapotere
politico-clientelare, conoscono il marchio della sofferenza, l'umiliazione della
schiavitù, l'avvilimento del ricatto, la genuflessione all'arroganza
dell'autorità. Ma conoscono anche il colore del sangue che hanno versato e, se
lo conoscono, sappiano che quello di coloro che li tengono in soggezione non è
diverso.
È questo il nostro tempo. Ed è tempo che gli umili trovino la forza di risalire
per fare dell'anima un piedistallo.
a.c.
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