Nuovismo, buonismo... consociativismo
Un amico scalcinato e
rompicoglioni, contestando sia le tesi di Norberto Bobbio, quanto le eccezioni
sollevate da Veneziani, sta completando l'ennesimo pamphlet: della serie «destra
e sinistra», avendone individuato i caratteri distintivi più attuali: il
nuovismo ed il buonismo. La prima categoria (abbinata alla destra) ci rintrona
negli orecchi dal 27 marzo 1994, la seconda è conquista assai più recente della
sinistra, per imperdonabile refuso (bonismo) abbinata anche alla
lotteria-concorso «Miss Italia 1995». Per la prima volta nella sua vita quel mio
amico potrebbe averla azzeccata, ma non venderà una sola copia e sarà più
scalcinato di prima. Perché far mistero della propria amarezza e delusione per
quanto sta avvenendo sul teatrino della politica? Chi scrive, ad esempio, si
consola essendo tali stati d'animo ampiamente condivisi da tantissimi
«compagni», alcuni dei quali scoperti in flagranza di reato: stracciavano
tessere, calpestavano labari e bruciavano bandiere, come già fecero -a tempo
debito!- un pugno di «camerati». Traditi dai rispettivi stati maggiori, gli uni
e gli altri hanno inteso tener alto l'onore con un gesto di diserzione. A
pensare di metterli insieme già si avrebbe un esercito assai motivato, pronto a
marciare contro il medesimo obiettivo.
Del resto, l'hai visto mai un esercito di buoni? Neppure Cristo usò la bontà
quale criterio di arruolamento di apostoli e discepoli. Chi ci sta provando,
nonostante i precedenti poco incoraggianti, è il PDS, ribattezzato partito dei
santi che prosegue impenitente la marcia a tappe forzate verso un... paese
normale. (L'atteggiamento è simile a quello di un vecchio che, nell'intento di
commuovere una procace signora, poco propensa a concedergli le sue grazie, si
denudò e cominciò a martellarsi violentemente gli attributi. La donna non restò
insensibile. Le palle, sì).
La «bella politica» fatta di abbracci, baci, pacche sulle spalle, complicità ed
ammiccamenti tra ex-nemici ormai divenuti avversari «cortesi», approda a Reggio
Emilia per una storica e pacificatrice «Festa de l'Unità».
Dov'è lo scandalo? Che, dopo il crollo dei muri e la crisi delle ideologie, si
prenda finalmente l'abitudine di rispettare le altrui opinioni tenendo nel
dovuto conto la dignità della persona umana, qualunque sia il costo ed il colore
del suo vestito (ma anche quello della pelle), è ovviamente cosa buona e giusta,
una conquista di civiltà. Quante volte si è sostenuto, non solo su questa
rivista, che, nel mutato contesto politico interno ed internazionale,
aggregazioni, polarità, schieramenti si sarebbero formati non già sulla scorta
di incompatibilità ideologiche e dottrinarie, quanto in relazione alle diverse,
inconciliabili, sensibilità e risposte ai tanti problemi vecchi e nuovi delle
nostre società, di questo nostro tempo (il che, si badi, non dovrebbe affatto
ridurre le distanze tra quegli schieramenti che per comodità o convenzione
continuiamo a chiamare destra e sinistra, ma dovrebbe addirittura accentuarle
rendendo lo scontro magari civile, ma non per questo meno radicale).
Ci si può incontrare, altroché. Si può discutere, confrontarsi, pur avendo idee
diametralmente opposte, come dimostra l'esperienza e l'esistenza di
"Tabularasa". Ma bisogna che le idee ci siano: questo il punto. Che intorno alle
idee si definiscano o si ridefiniscano precise identità, rendendo chiare ed
esplicite le differenze -in termini prima culturali e poi programmatici- tra
avversari cortesi o scortesi che siano. Altrimenti la politica diventa una
finzione. Peggio, un imbroglio.
Né si tratta, affermando questo, di rimpiangere gli anni e le generazioni dello
scontro quasi sempre violento, a tratti sanguinario, tuttavia gravido di
tensioni morali, di passioni, di entusiasmo. Ce lo proibiscono gli esiti
politici, piuttosto che le sofferenze ed il sangue. Tutto scorre. Nella vita,
come nella storia, ci sono fasi in cui forte è l'ansia creatrice, l'esuberanza,
il dinamismo; altre in cui subentra la stanchezza, la pigrizia, si diventa
passivi, ci si lascia trascinare. Tutto scorre. A volte rapidamente,
tumultuosamente. Altre volte con una lentezza che uccide. Nessun rimpianto,
epperò... passino l'ovatta ed il cerone, il maquillage e il manicure imposti
dalla «civiltà» dell'immagine, passino le poltrone ed i velluti, i doppiopetti e
le cravatte, ma sotto e dentro bisogna aver qualcosa, almeno un po' di sostanza.
Ebbene, di cosa dibatteranno Previti e Salvi, D'Alema, Fini e tutti gli altri
notabili del Polo e dell'Ulivo tra gli stands e le bandiere rosa-fucsia di
questa festa ribattezzata della Bonta! Di programmi, delle grandi questioni
sociali, economiche ed esistenziali di questa epoca inquieta, a cavallo tra due
millenni? Cercheranno per esse risposte serie, concrete, convincenti? Forse
discuteranno delle croniche emergenze italiane, di lavoro, di debito pubblico,
di mafia, di Meridione? No! Puoi giurarci. Gli argomenti che più appassioneranno
i nuovisti del Polo e buonisti dell'Ulivo, reciprocamente e felicemente
normalizzati, saranno le elezioni, la par condicio, le regole. Fumo negli occhi.
Specchietti per le allodole.
È vero, qui rischiamo tutti di affogare nella mediocrità, nella banalità... nel
ridicolo. Si vuole un paese normale? Allora si faccia in modo, con le opere e
non con le chiacchiere, che in questo paese non si rubi più a man bassa restando
impuniti. Normale sarà infatti questo paese quando non esiterà a radere al suolo
le tante sue città costruite sull'abuso, l'intrallazzo, il crimine, ovvero le
varie tangentopoli, mafiopoli, parentopoli, affittopoli e via elencando.
Si vuole davvero un paese normale?
Si renda la legge uguale per tutti e tutti uguali davanti alla legge, senza più
privilegi, né privilegiati, potenti e potentati. Si faccia in modo che la
politica non sia soltanto gestione di potere, occasione di guadagno per schiere
di furbastri e mariuoli, imbecilli e buoni a nulla, portaborse e funzionali.
Si vuole un paese normale? Che non diventi abnorme l'accumulo di
ricchezza e dilagante la povertà!
La via della normalità non è certo il consociativismo di chi diventa buono e
cortese per poter continuare a fare il comodo suo. Né quella della bella
politica può essere la way americana costruita sui tanti bronx dove ci si
ammazza allegramente tra loro, o sui morti di fame o di droga lungo le
scintillanti vie di Manhattan dei quali ci si accorge qualche settimana dopo,
per il lezzo.
Personalmente, come quel mio amico scalcinato e rompicoglioni, con qualche chilo
di orgoglio e dignità infilato chissà come dentro una vecchia pellaccia, penso
anch'io che dovrà essere sempre possibile pronunciare, senza vergognarsi, parole
come giustizia sociale, solidarietà, libertà, comunità. Ché per esse furono
versati lacrime e sangue. L'isola, così poco normale, dove ci piacerebbe
approdare (seconda stella a destra, questo è il cammino) ospiterà pure il
cattivissimo capitan Uncino, ma non quel «terzo» di ripudiati dal luccicante dio
dell'occidente, dei quali non gliene fotte niente a nessuno.
In quell'isola, lungo la strada che vi conduce, c'è ancora spazio per princìpi
morali, valori, ideali e miti che rendono la vita degna di esser vissuta. E
difficilmente ci si uccide a vent'anni.
* * *
Povero PDS. Come il grande partito da cui ha tratto origine, sta perdendo -forse
ha già perso- la sua grande occasione. L'ultima.
Inseguendo la moderazione ed il centro -così come desiderano i poteri forti
assai più degli elettori- ha ucciso la sua vecchia identità non avendone
costruita una nuova. Ma soprattutto, si è negato al compito davvero storico e
fascinoso di diventare motore di una grande forza politica autenticamente
alternativa al liberismo, al mercantilismo, all'edonismo, al rampantismo, in una
parola alla nuova destra italiana. Quella forza probabilmente avrebbe perduto
ancora una volta le elezioni, ma sarebbe stata levatrice di cambiamenti veri, di
innovazioni, passioni, avrebbe rimesso in movimento energie, fantasie, capacità,
competenze...
Sarà per le troppe compromissioni consociative, forse per le polveri bagnate
dalla lunga permanenza nelle umide periferie del potere, forse la pigrizia del
suo apparato burocratico o l'arrivismo dei nuovi colonnelli; o, probabilmente,
per quell'ontologica incapacità che appartiene da sempre alla sinistra
italiana...
Povero PDS, costretto ad inseguire l'ex-nemico sul terreno di una normalità a
senso unico per la quale il liberismo diventa scelta ineluttabile e supinamente
ne accetta prescrizioni e comandamenti...
Tutto scorre. Anche questo periodo di decadenza e di noia passerà. Siedo davanti
ad un tramonto infuocato come quelli che solo a Capo Vaticano puoi catturare.
Magari domani ci sarà un sussulto... la ribellione degli ultimi.
Gli ultimi! Come quei bagliori, che s'infilano all'orizzonte tra Stromboli e
Saline, prima del buio. Intanto, l'onda leggera del Mediterraneo accarezzato dal
maestrale, rimanda ritmi e suoni lontani, che solo orecchi sensibili riescono a
captare.
Qualcuno si domanda ispirato: «È possibile pensare ad una rigenerazione?» Ed
urla la sua risposta: «Si risveglino le minoranze!»
Tutto scorre. Anche questo tramonto che vorresti non finisse mai. Che sia già
tempo di lavorare al grande partito degli incazzati, di quelli che non ci
stanno? Di quelli che non si rassegnano alla prospettiva di diventare numeri in
quel grande supermercato nel quale, dopo aver tutto comprato e venduto, si
deciderà di inscatolare anche le coscienze e l'anima degli uomini?
Tutto scorre. Seppur lentamente. E ci accarezza l'idea che la storia non sia
finita, che presto il gioco di farà duro.
Non è così, vecchia pellaccia? Sorridi, chi scrive sarà della partita.
Anzi, sta già giocando.
Beniamino Donnici
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