«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Per ricordare la figura di Beppe -il 31 ottobre ricorre il VI anniversario- abbiamo pensato di pubblicare due «pezzi» scritti «a caldo» su "L'Eco della Versilia" del 30 novembre J989. I più significativi fra quelli apparsi in quel numero a lui dedicato. Di un «vecchio», Giano Accame e di un giovane, Peppe Nanni, che egli abitualmente frequentava. E loro sono tra i pochi amici che, con Pietrangelo Buttafuoco, ancora «osano» tenerlo vivo nel cuore.
 

Vicino alla perfezione dei santi
 

Due riviste toscane, "Il Machiavelli" di Pisa, che era tutto suo, e "L'Eco della Versilia" portato a notorietà nazionale con la collaborazione di Carli, segnano l'alfa e l'omega nella vita intellettuale e politica di Beppe Niccolai: l'inizio e la fine di un lungo processo di maturazione, ma anche la gioia delle battaglie esterne e la sofferenza di quella interna. In mezzo c'è stata la lunga collaborazione al "Secolo d'Italia" con la sua popolarissima rubrica di "Rosso e Nero", ripresa dopo un periodo di sospensione con il nuovo titolo di "Duello al sole". Una rubrica spesso scomoda per il direttore: io la facevo passare in tipografia senza nemmeno vederla prima che fosse stampata, pur sapendo di andare incontro al giusto rimprovero di chi includeva nei miei doveri di direttore anche quello di filtrare eventuali eccessi dei collaboratori. Ma evitavo ogni filtro perché nulla mi sarebbe spiaciuto di più che dover litigare col Beppe sulle cose, anche amare, che riteneva di dover dire senza guardare in faccia a nessuno.

"Il Machiavelli" era una pubblicazione polemica tipicamente pisana, immersa nelle vicende umane della città, provinciale per una scelta deliberata al tempo stesso modesta e assai intelligente. A trattare i grandi temi sono quasi tutti buoni, mentre occorre una genialità particolare nel rendere personaggi gli avversari politici che si incontrano al bar od in consiglio comunale. Beppe Niccolai amava beffarsene per la gioia dei camerati, quasi sempre gente umile ed umiliata nella sua fedeltà, dallo spettacolo dei notabili voltagabbana per un bisogno di continuare a stare con le mani in pasta.

Ebbe periodi di notevole diffusione a Pisa e dintorni, dimostrando quanto quelle polemiche toccassero da vicino la gente e quanta umana partecipazione vi fosse alla lotta politica che sottintendevano. Fu una lezione civile importante, come importante fu la funzione critica che Beppe seppe assolvere per tanti anni in consiglio comunale, ben radicato nella vita e nelle passioni della sua città. Anch'io ho partecipato per una stagione alla battaglia de "Il Machiavelli", durante le elezioni politiche del 1958, e ne ho soprattutto un ricordo di grande, comune divertimento: una allegria del litigio che trasmettevamo ai lettori.

Più amara fu per Beppe Niccolai la battaglia ingaggiata con "L'Eco della Versilia", volta soprattutto a obiettivi di chiarificazione interna. Trovare motivi di dissenso con gli amici più cari, con i camerati e persino con i capi posti per tanto tempo al di sopra di ogni discussione, è una esperienza triste. Beppe ne sentì la necessità interiore negli ultimi anni della sua vita. Qualche volta ho cercato di influirvi in senso moderatore, ma lui non mi diede retta perché sentiva e sapeva che quei miei appelli non provenivano da una fede più grande della sua, ma erano piuttosto il derivato di una punta di scetticismo, del mio chiedere se ne valesse la pena. Lui si infliggeva quasi un obbligo dalla critica eretica e trasgressiva come un dovere di fede. Quanto più si crede, tanto più si soffre. Nel suo moralismo che non sopportava il freno del senso di opportunità, sapeva peraltro toccare nervi scoperti, difetti reali. Potè sbagliare qualche volta il momento, essere inopportuno, ma non confondersi nel cogliere aspetti negativi nel dramma dell'invecchiamento: degli uomini e delle organizzazioni.

Invecchiare non fa bene a nessuno: si appannano le illusioni, si inaridiscono i doni della giovinezza. Non per niente «Giovinezza» era il titolo del nostro inno. Quarant'anni di Repubblica partitocratica ci hanno sottratto la spontaneità e quasi la legittimità di quel canto. Ci siamo ingrassati, nonostante le difficoltà di una vita passata all'opposizione, ci siamo lasciati in qualche modo anche noi segnare dal tempo.

Beppe era tra quelli che rimanevano sempre giovani ed ho quasi il sospetto che, senza rendersene ben conto, abbia pagato con la vita questa sua ribellione a invecchiare. Non sopportava, nonostante l'impressione di forza che si sprigionava da lui, i tratti di meschinità che gli anni facevano apparire in qualcuno dei nostri comportamenti. Ci avrebbe voluto tutti ancora quasi trasfigurati dalle prove attraverso cui eravamo passati in quei tremendi anni Quaranta. Ci apostrofava con le parole di Berto Ricci, che sognava e voleva «... l'Italia dura, taciturna, sdegnosa, che porta la sua anima in salvo soffrendo delle contraffazioni, dei manifesti, dei ciarlatani, dei buffoni, dei letterati, dei commendatori. L'Italia che ci fa spesso bestemmiare perché la vorremmo più rigida, più attenta, più macra: vicino alla perfezione dei Santi».

Quante volte gli abbiamo sentito ripetere queste parole. Egli avrebbe voluto che se non tutta l'Italia, almeno tutta la nostra comunità di credenti e di combattenti fosse ancora capace di conformarvisi. Si disperava che non ci riuscissimo e ce lo rimproverava. Ci impegnava a raddrizzare le spalle incurvate dagli anni. Nel suo ricordo sapremo ancora innalzare lo sguardo dalle miserie del vivere quotidiano per fissarlo verso orizzonti lontani.

Giano Accame

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