«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Guardiamoci in faccia
 

Lo scambio di opinioni, a cuore aperto e a muso duro, apparso sull'ultimo numero di "Tabularasa", tra Roberto Bigliardo, Vito Errico e Antonio Carli, è, a dir poco, stimolante. Degno delle migliori tradizioni de "L'Eco della Versilia" prima e di "Tabularasa" poi. Dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto questo nostro foglio sia necessario e insostituibile. Proprio perché scritto, vissuto e sofferto da uomini liberi che, questo va detto, hanno percorso tanta strada assieme. Hanno accumulato, giovani e meno giovani, tanta militanza. Disinteressata e al tempo stesso feconda. Hanno condiviso tante battaglie, in alcune si sono trovati in disaccordo. Proprio perché insofferenti di portare il cervello all'ammasso ed incapaci a dire sempre «signorsì».

Mi ricordo, ed anche Antonio lo ricorderà, i tempi in cui, tutti noi militanti e dirigenti nel MSI, si raccoglievano le firme per la pena di morte. Era l'epoca dei duri scontri correntizi all'interno del Movimento. Ebbene, Antonio con Beppe Niccolai si schierò a favore, il sottoscritto con Rauti contro. Fu polemica aspra, ma tutto finì lì. Ricordo anche, come fa Vito Errico, la posizione presa dalla segreteria Rauti in occasione della Guerra del Golfo. Mi dimisi, per protesta, da segretario provinciale di Pisa. E mi trovai al fianco di Antonio. Qualche mese dopo, con il ritorno di Fini alla segreteria del partito, come rammenta Bigliardo, uscimmo dal MSI. Era il 1991. Semplici ricordi di un tempo che fu? Nostalgie senili? Certamente no. Frammenti di una ormai lunga vita politica trascorsa insieme. In disaccordo ed in accordo, proprio perché ciascuno ha sempre ragionato con il proprio cervello.

Oggi dopo tanti anni e tante vicissitudini mi trovo ancora insieme ad Antonio, ma al tempo stesso con Bigliardo e con Rauti. Non mi sento affatto a disagio, perché al di là e al di sopra di fattori contingenti c'è evidentemente qualche cosa di più solido e indistruttibile che ci lega. Si potrebbe azzardare l'amicizia. È importante, ma non basta. Si è amici anche di feroci nemici politici. Ed allora che cosa c'è? Vi è un particolare stile di vita, un particolare modo di intendere la medesima, vi sono particolari comportamenti, vi è una globale visione del mondo e dell'uomo, vi è un lunghissimo viaggio percorso insieme tra difficoltà, sofferenze, incomprensioni che nessuno potrà mai cancellare. Vi sono certi valori, ecco proprio loro, che ci hanno tenuto e ci tengono uniti. E questo accade, per quanto mi riguarda, anche nei confronti di Roberto Bigliardo, di Vito Errico, di Beniamino Donnici, di Alberto Ostidich, di Pino Rauti ed altri ancora.

Ha ragione Bigliardo. A Rauti un po' tutti dobbiamo moltissimo, come lui deve molto a noi. Soprattutto sul piano culturale e della elaborazione politica. Non si tratta di volere o di avere per forza un capo. Rauti è stato ed è un punto di riferimento. Solido ed affidabile. Su questo occorre essere chiari e guardarci in faccia. Non accadeva forse anche per Beppe Niccolai? Quante volte, chi più e chi meno, lo ricorda ancora oggi e porta i suoi pensieri e i comportamenti ad esempio? È giusto che sia così. Qualcuno dice: «Rauti ha commesso degli errori». E chi non li ha commessi? Per carità, nessuno salga sul piedistallo! Non si confa alla nostra struttura mentale. Ognuno faccia pure le proprie scelte politiche, in piena libertà di pensiero. Ma non addebiti agli eventuali errori di percorso di altri la nuova strada che intende intraprendere. Gli uomini passano, le idee ed i valori restano. Così come restano i comportamenti, gli esempi.

Abbiamo sempre sognato e combattuto per costruire qualcosa di diverso sia dal cosiddetto fascismo-regime che da tutto il marciume venuto dietro i carri armati americani. Ci siamo fatti, per anni ed anni, portatori cocciuti e faziosi delle idee rivoluzionarie che il cosiddetto fascismo-movimento aveva in sé. Abbiamo predicato, il più delle volte inascoltati (ma chi se ne frega!), la lotta al capitalismo, al collettivismo, al mondialismo, all'americanismo. Sono punti fermi del nostro modo di pensare e di essere. In essi, anche se buttati lì genericamente, si sostanzia tutto il nostro iter culturale e politico.

Oggi, queste nostre «storiche» posizioni risultano essere più valide che mai in un mondo che è soffocato dal capitalismo più bieco e più selvaggio, dal consumismo più sfrenato, da un'ingiustizia che non conosce limiti, da un liberismo che non ha freni, da differenze sociali abissali. Il comunismo ha perso inesorabilmente e ignominiosamente. Tutti si sono arresi. Tutti corrono a rendere omaggio a quello che noi abbiamo sempre definito il «male americano». Chi ha vinto la guerra cinquanta anni orsono sta perdendo la pace, se non l'ha già persa. Noi gli sconfitti di ieri, gli esuli in patria che per anni abbiamo tenacemente e miracolosamente custodite e tenute alte le bandiere della socialità e della partecipazione, dovremmo stare da parte proprio ora? Per quanto mi riguarda rifiuto categoricamente questa ipotesi. Rauti ci offre ancora una volta lo strumento per continuare la nostra battaglia.

Come tutti gli strumenti, in politica, non è sicuramente perfetto. Ritengo sia nostro compito assecondarlo per renderlo più robusto e più credibile. Stare alla finestra, o peggio ancora tentare altre strade con gli inconsistenti alibi del «il fine giustifica i mezzi» o magari «aspetto poi si vedrà», non ha alcun senso e non si confa al nostro carattere e al nostro stile di vita.

Errico ci ricorda che «le idee camminano con le gambe degli uomini». È vero. Ed allora se siamo convinti di avere le idee e le gambe buone, e le abbiamo, perché attardarsi nel fare tanti distinguo o dilungarsi in tanti personalismi o sollevare tante perplessità? La lunga militanza, disinteressata e assolutamente cristallina dal punto di vista morale ed intellettuale, ci ha forgiati e reso duri come rocce. Coloro che hanno sofferto e nella sofferenza si sono temprati. Berto Ricci li definisce i migliori. Non voglio arrivare, per quanto mi riguarda, a tanto. Ma qualcosa di importante abbiamo sicuramente da dire e da fare. Tutti insieme. Non ci si addice delegare ad altri. Non ci si addice mettersi le pantofole e far finta che niente accada o, peggio ancora, violentare le nostre coscienze per approdare a lidi più sicuri e più remunerativi.

Guardiamoci in faccia, come sappiamo fare. Diciamoci, come stiamo facendo, quanto c'è da dire. Se necessario fino a farci male come ammoniva l'ultimo Niccolai. Abbiamo un arduo compito da svolgere: preservare e difendere la nostra memoria storica, i nostri valori, e la nostra cultura storica. Ma al tempo stesso, come uomini di questo tempo, gettarci nella mischia. Fare politica. Gli spazi che si sono aperti sono enormi. L'attuale perfido e anomalo e innaturale -per il nostro Paese- sistema elettorale ha ucciso la politica partorendo due schieramenti (centrodestra e centrosinistra) perfettamente uguali fra loro e divisi soltanto dagli interessi e dalle poltrone. Entrambi, i cosiddetti due poli, legati all'alta finanza e alle lobbies internazionali. Sudditi del libero mercato. Tesi a costruire un tipo di società che è l'esatto contrario di quella alla quale noi, e non soltanto noi, abbiamo sempre aspirato e per la quale abbiamo sempre combattuto.

Ha ragione Bigliardo, occorre ricucire lo strappo del 1914.

Collocarsi in netta antitesi ai due poli, oltre la destra e la sinistra. Era il sogno, l'«eresia» di Berto Ricci, Bombacci e Niccolai. Questa «eresia» da impossibile potrebbe diventare possibile. Perché non provare? Ci viene offerto uno strumento. Perché non adoperarlo? Passa un treno, perché non salirvi sopra? A noi poi il compito di mantenere quel treno sui binari giusti. Io credo alla buona fede di chi quello strumento ci ha generosamente offerto, di chi quel treno ha messo in moto. Non andiamo a cercare soltanto quel poco che non ci trova in accordo, ma sforziamoci di recuperare quel tanto che non solo da oggi ci unisce. C'è qualcosa di importante per cui vale la pena di combattere. Tutti insieme.

Gianni Benvenuti

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