«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

l'ultima


Iniziano a sgusciare fuori dalle tane

 

Tomo tomo, cacchio cacchio, sta andando a finire a tavola conzata. Cioè, a tavola addobbata. Tante liti, tante discussioni, una grande rivoluzione elettorale, presidenzialismo, federalismo, vecchia e nuova repubblica e tanto altro chiasso, per andare a finire nell'unico risultato sconsolante: e cioè che i democristiani si stanno facendo gli affarucci loro dicendo buonanotte al secchio e a tutti quanti, ma dicendo soprattutto un'enorme buonanotte ai sogni di un'Italia che sperava di affrancarsi dalla Balena Bianca. Ma, soprattutto sui soprattutto, va detto chiaro che stanno ritornando. È vero: sono divisi, sparpagliati, mimetizzati. È proprio vero: non sguazzano più nel vasto ventre della casa comune (e forse sono -tra di loro- nemici). È verissimo: c'è stata una deflagrazione di scudi crociati, ma solo perché intanto si sono moltiplicati. Deve esserci una tana da cui escono tanti democristiani perché sguazzano felici e sono dappertutto. Più felici di qualsiasi prima: oggi, all'indomani dell'ultima corrida propedeutica alla disfida elettorale, nell'anno di grazia 1995 del dopo Tangentopoli, in piena estate, i democristiani di ogni obbedienza albergano larghi e sazi nel più vasto ventre della politica italiana. I superstiti del partito democristo sono diventati dote preziosa della geografia politica. La tavola è conzata, e non è più un paradosso: ogni formazione -sia di destra che di sinistra, sia di centrodestra che di centrosinistra- vanta un proprio «parco ex-democristiani». E non è neanche vero che forse sono nemici tra di loro. Lupo non mangia lupo: i neo democristiani del CDU e quelli di Gerardo Bianco si abbracciano, si baciano e si parlano ancora lungo le scale, a Piazza del Gesù. Ciriaco De Mita fa sempre pizzichino pizzicò sulle guanciotte di Leoluca Orlando. Pierferdinando Casini mugola, lusinga e vorrebbe raccattare alle ragioni del Polo perfino Mariotto Segni, il palpebrane delle mancate promesse, che essendo stato strattonato in un magnifico atto di soperchieria da D'Alema potrebbe essere sedotto, e portare nel mare grande della benevolenza berlusconiana i suoi numerini. E quindi: pecora non mangia pecora.

Tomo tomo, cacchio cacchio, pecore e lupi si erano già accomodati, sfoderando i precetti della nostalgia: la moderazione, l'elettorato cattolico, i valori, le parrocchie, ma tomo tomo cacchio cacchio hanno messo sul piatto della partita la loro virtù più indecente: la malizia della politica, la primogenitura sulle mediazioni e sulle trattative, quella mistificazione gesuita dell'amministrazione del bene comune che è il supremo addobbo per raffinatissimi banchetti. Ieri per esempio, Silvio Berlusconi ha parlato in nome e per conto dell'intero Polo tenendo a freno i suoi più cristianissimi cespugli. Una voce per tutti, questo il messaggio da ricavare in un sussulto di fortunoso decisionismo, ma nel frattempo, proprio ieri, i neodemocristiani, i post-democristiani, gli ex-democristiani regalavano allo spettatore più smaliziato lo spettacolo dell'arte sottile di chi la sa lunga. Il cavaliere bianco (la definizione è di Rocco Buttiglione) deve giocare, ma fintante che il gioco è gioco. I cespugli più cristiani di Berlusconi e anche quelli di D'Alema sanno guardarsi negli occhi, come legare i filamenti delle loro anime ammalate di arzigogoli e rimandi in quell'ennesima rappresentazione della fatica parlamentare dove le formule, i presidenzialismi, i federalismi, le vecchie e le nuove repubbliche dovevano inesorabilmente affondare nel lago della loro pazienza e tomo tomo, cacchio cacchio, adottare la stessa furfanteria di Satana: non far credere nella propria esistenza.

Pietrangelo Buttafuoco

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