«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Ex novo: solo questa è la sfida


 

La tagliente risposta di Vito Errico (la cui penna è un provvido impasto di sentimento, passione ed onestà intellettuale), non mi impedisce di aggiungere qualche ulteriore riflessione -ed una proposta- all'intervento del responsabile nazionale organizzativo del Movimento Sociale - Fiamma Tricolore (n° 5, anno IV di questa rivista). Parto, ovviamente, dalla premessa che l'ultima avventura di Pino Rauti non abbia alcunché di strumentale come, invece, da più parti si sussurra, fino ad adombrare la possibilità ch'essa muova da un accordo segreto con i vertici di via della Scrofa. Pur vantandone numerosissimi in ogni parte d'Italia, il partito dei dietrologi non mi ha mai avuto tra i suoi adepti.

Mi fermo, perciò, ad alcune considerazioni -rigorosamente politiche- circa gli esiti del progetto rifondativo dell'MSI per dimostrare ch'esso abbia sin qui giovato soltanto alle «armate» nemiche.

1) L'onorevole Fini -in questi giorni alle prese con un corso di istruzione rapida per aspiranti premier che si svolge, naturalmente, negli States- aveva (ed in minima parte ancora ha) la necessità di conquistare a sé stesso, ed al partito che presiede, la definitiva legittimazione democratica, il tesserino per il sempre meno esclusivo club liberal-liberista. Doveva cioè dimostrare all'opinione pubblica interna e, soprattutto, a quella internazionale che i fascisti fossero altrove, che non ve n'era traccia alcuna tra le bollicine ed i doppiopetti di Fiuggi. Né ve ne sarebbe stata, da quel momento in poi. Non c'è dubbio che la fuga di Rauti, l'allucinante scenografia dell'Ergife, i saluti romani, i canti del littorio, l'abbraccio con l'onnipresente Giorgio Pisano abbiano contribuito sia pure involontariamente allo scopo.

2) D'altra parte, costruire da una scissione di «quel» tipo (con tal vizio d'origine) un movimento popolare-nazionale, oltre la destra e la sinistra, con l'ambizioso compito di aggregare i delusi, gli scontenti, gli «incazzati» è impresa patetica quanto velleitaria. Pensare che un partito del genere possa avere prospettive politiche diverse dalla mera testimonianza è congettura che rasenta la stupidità.

Possibile che Rauti con l'esperienza, la cultura e l'intelligenza che non gli fan certo difetto e tu, Roberto, e Gianni e tutti gli altri preparatissimi dirigenti non ve ne rendiate conto? Ne siete consapevoli, eccome. Per questo muovete l'obiezione secondo la quale per un certo periodo, ovvero nella sua prima fase, un movimento politico nato da una scissione «conservatrice» debba necessariamente attraversare il tunnel della retorica e del nostalgismo.

Bene: ammesso e non concesso che sia così (penso, al contrario, che ab initlo la scissione rautiana avrebbe dovuto mostrare il suo carattere fortemente trasgressivo ed innovatore) quella fase si è comunque chiusa. È tempo di andare davvero oltre.

Dunque, vengo alla proposta che raccoglie e rilancia l'invito-sfida di Roberto Bigliardo. Si vuole davvero raggiungere l'obiettivo di raccordare tutte le energie e le potenzialità autenticamente antagoniste in questo nostro Paese? Si vuoi davvero continuare a perseguire il sogno di una via altra: in politica, in economia, nel modo di concepire la società alle soglie del nuovo millennio? Si vuole, semplicemente (che anche questo potrebbe bastare!), cominciare a mettere la prima pietra di una futura casa comune per tutti quelli che non si genuflettono davanti alla bandiera a stelle e strisce; che pensano che il pianeta non sia solo una parte della sua faccia nord-occidentale; che non amano i fast food, né i supermercati; che all'edonismo, al rampantismo, all'omologazione liberista non si arrenderanno mai perché sono nati, sono vissuti e desiderano morire da uomini in un mondo di uomini, non di «robot senz'anima»? Se è questo che si vuole, senza infingimenti ed ipocrisie, si tratta di passare alla fase successiva: azzerare l'attuale fiamma tricolore e, a partenza da essa, dar vita ad un Movimento ex-novo che si ponga fuori dalla palude neoconsociativa degli attuali schieramenti chiamando a raccolta tutti gli italiani che non ci stanno, rossi, neri e bianchi, alti e bassi, belli e brutti, nordisti e sudisti, europei e mediterranei.

A queste condizioni -che sono quelle minime per uscire dal campo eccitante ma sterile della masturbazione cerebrale- chi scrive passerebbe immediatamente all'azione e credo di poter dire che Antonio, Alberto, lo stesso Vito, i tanti estimatori di questa rivista non la pensino diversamente.

Mai come oggi il re è nudo. Il potere trema, i poli scricchiolano, le certezze vacillano. Crescono le schiere degli ex, dei senza tetto, dei profughi di partiti vecchi e nuovi. Bisogna trovare il modo e le occasioni per farli discutere, ragionare, magari marciare insieme verso gli stessi obiettivi.

Non è tempo di ghetti, né di gabbie. No, davvero. Bisogna, al contrario, liberare le energie, farle muovere in tutte le direzioni come schegge impazzite, mandarle a colonizzare gli ambienti pigri, ad infettare uomini e donne, vecchi e bambini, soprattutto i giovani perché torni il tempo delle... grandi epidemie. Dubito che Rauti abbia l'umiltà (ma quanto vorrei sbagliarmi!) di accettare una proposta così radicale ed... irriverente. Spero che abbiano la volontà d'incalzarlo in tale direzione Roberto Bigliardo che ci ha scritto e Gianni Benvenuti che fa parte del comitato di redazione di "Tabularasa". Altrimenti, a loro ed ai tanti che, per dirla con Bossi, hanno il nostro idem sentire potremmo offrire un diverso approdo.

Chi scrive, infatti, oltre a rilanciare sul territorio una forte iniziativa meridionalista, riprendendo ed ampliando l'esperienza di Calabria Libera, proporrà agli amici della rivista di trasformare il foglio che fu -ed è- di Beppe Niccolai nel motore itinerante di una miriade di iniziative propedeutiche alla costituzione di un movimento politico le cui direttrici strategiche sono state in qualche modo accennate anche in queste poche note. C'è oggi una grande spazio per un progetto di questo tipo. Forse, mai così grande. Bisogna riempirlo di idee, intelligenze, energie, fantasia. Non ostruirlo erigendo nuovi muri, altre inutili barricate. Gli anni passano e, piaccia o non piaccia, non si può continuare a giocare a nascondino. Solo quando avremo imparato a fare male (Errico docet) potremo sperare di farne ad un sistema di potere che, nel suo massimo sforzo di restaurazione, ha ricreato tanto i partiti abilitati alla gestione (il governo è cosa ben più seria e complessa delle bischerate di questi parvenus!), quanto le «riserve indiane» per gli irriducibili: il PRC di Bertinotti sull'estrema sinistra e, sul versante opposto, la rifondazione rautiana. Perché non proviamo a far saltare questo disegno perverso? Perché non proviamo a fargli male? Resto naturalmente in attesa di un... cortese, sollecito riscontro.
 

Beniamino Donnici
 

 

P. S. - Non m'ero affatto dimenticato della «provocazione» di Peppe Nanni ("Tabularasa", n° 4, 1995). Gli è che trovo ineccepibile la risposta di Alberto Ostidich. Non prendiamoci a giro, Peppe. E lasciamo stare le canzonette, sia pure di un grande come Lucio Battisti. Per quel che mi riguarda faccio volentieri autocritica (non ricordo chi dicesse che bisogna imparare ad inciampare sui propri errori per andare... avanti) avendo inutilmente scommesso sulla capacità di innovazione della sinistra italiana, viceversa, profondamente malata. Resto tuttavia persuaso che bisogna cercare in quei luoghi alleati e consensi per battere questa destra che è l'esatta negazione delle passioni (tante), delle idee e delle «verità» (poche) che hanno accompagnato la mia vita e lo faranno ancora per quel che ne rimane.

Dove dovremmo «ritrovarci più vicini», Peppe? Dalle parti di Wall Street o della City bazzico poco. Potrei incontrarci Veltroni e Prodi oltre al tuo presidente. Io preferisco le osterie.

No. Non ci vedo nobili e filosofiche motivazioni in quei tanti figlioli prodighi che, come quello biblico, tornano dal ricco papa, col capo cosparso di cenere, per poter vivere di gloria ed onori (speriamo effimeri). Davvero non potevi farne a meno, Peppe? Di cosa avevi bisogno? Non si può conservare un «aristocratico» distacco anche nella tua Milano-da-bere! Suvvia, ammettilo: ti eri stancato di dormir sull'erba, sotto il cielo e le stelle. Hai chiesto ed ottenuto riparo, «ri»dimensionandoti. Noi no. Stiamo cercando un cerino per bruciarvi i materassi sotto il culo.

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