«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Trasferte estere ed escursionismo diplomatico del leader dei fuggiaschi
Mister Gianfranco va a Washington

 

Mentre mister Gianfranco volava verso Washington per rendere omaggio agli alti dignitari dell'Impero d'Occidente e per rassicurarli circa i sentimenti di devozione ed i propositi di obbedienza incondizionata suoi e del suo partito -ossia l'Alleanza cosiddetta nazionale- su "l'Unità", «giornale» che, di tanto in tanto, confortevolmente si (e ci) ricorda di essere stato «fondato da Antonio Gramsci», appariva un bellissimo articolo di Mario Trenti recante il titolo "Cercano solo lo scontro".

Da esso espungiamo, fior da fiore, questo minuscolo ma succoso e significativo brano: «Non è solo Fini l'americano che si candida a leader di quello schieramento (delle destre unite - N.d.R.). A proposito: quando finirà questa storia che per legittimarsi come uomo di governo in Italia bisogna viaggiare in America? Domanda da rivolgere anche agli esponenti della sinistra».

Ed ecco scattare, puntuale, la seguente nostra digressione: già, anche agli esponenti della sinistra, taluni dei quali stentano ad adattarsi all'idea che non debba esserci più lo «stato-guida», di questo non riescano proprio a fare a meno, ragion per cui in mancanza di quello sovietico, della «patria del socialismo», non trovano nulla di meglio da fare che sostituirlo con quello americano, con la «patria del capitalismo». Una velocissima ramanzina, questa dell'ottimo senatore Trenti, che per il fatto di essere tutta giocata in chiave di domanda allusiva, di implicita, indiretta e magari, perché no?, richiesta di spiegazione non per ciò risulta meno adirata, efficace, incisiva. Tanto più che uno dei destinatari potrebbe perfino essere lo stesso direttore del quotidiano dalle colonne del quale Mario Tronfi lancia il suo messaggio e il suo monito.

Sia chiaro: non intendiamo assolutamente innescare una polemica con l'on. Veltroni, uomo politico e prima ancora di cultura per il quale professiamo profonda stima e che riteniamo il candidato giusto scelto dal Partito Democratico della Sinistra -che non è il nostro partito, sia detto con buona pace di taluni democratichini di Alleanza nazionale che ci qualificano agenti del PDS, mentre siamo militanti della Sinistra unitariamente intesa e di radice socialista- per combattere insieme a Romano Prodi la battaglia per evitare all'Italia la jattura di finire nelle grinfie dell'asse Arcore-Marino. Solo che gradiremmo da lui una maggiore e migliore connessione con la tradizione del movimento operaio e popolare, con il retaggio di valori tradizionali che reclamano l'autonomia piena dei modelli culturali e politici delle grandi potenze, con la sua storia personale oltre che con quella del suo partito e più in generale della intera Sinistra. In altri termini, ci piace immaginare l'esistenza, magari dietro le quinte della grande strategia progressista, di un Walter Veltroni più italiano ed europeo e meno americano; più attento al discorso nazionale-popolare -anche o, magari, soprattutto in versione gramsciana- che alle sirene ideologiche del Partito dell'Asinello, ossia il partito democratico statunitense di cui apertamente vagheggia l'importazione in Italia onde farne un abito su misura per le nostre organizzazioni democratiche di avanguardia.

Insomma: con tutto il rispetto possibile ed immaginabile per le grandi figure della democrazia del Nuovo Mondo, pensiamo che il simpaticissimo e validissimo direttore de "l'Unità" -di cui pare a noi giusto lodare l'impegno militante ed altamente etico per un modo di fare politica depurato dall'odio e dallo spirito di abrogazione di un avversario che mai deve diventare un nemico- prima di sostituire la triade De Sanctis-Labriola-Gramsci (ereditata dalla migliore tradizione comunista) con la trimurti Roosevelt-Kennedy (Bob)-Clinton dovrebbe pensarci su più di una volta.

Esaurita la digressione torniamo al leader di Alleanza nazionale e alla sua trasferta americana. E, anzitutto, chiediamoci: perché ha ritenuto di dover attraversare l'Atlantico? Sì, certo, per rendere omaggio agli alti papaveri dell'Impero e, in conclusione, all'Imperatore, lo abbiamo detto. Ma al di là di ciò? Ce ne dice qualcosa l'ex-ambasciatore a Mosca e attuale editorialista del quotidiano torinese "La Stampa", Sergio Romano:

«I leader italiani del passato andavano a Washington per ottenere una patente di affidabilità atlantica, indispensabile per governare un paese NATO durante gli anni della guerra fredda. Ma anche adesso che il Muro è caduto la patente USA è necessaria perché è quello il paese-simbolo della democrazia occidentale». E scusate tanto se è poco!

Secondo interrogativo, più o meno retorico: ma perché il Fini brama tanto la benevolenza, la protezione -e, forse, meglio sarebbe dire il protettorato-, dello Zio Sam, il feeling, quasi un rapporto preferenziale con lui? Ecco, fra tante altre, la risposta che da sul settimanale para-berlusconiano "Panorama" Stefano Brusadelli: «II capo di Alleanza Nazionale, che alla guida del governo invece si è messo in testa di arrivarci prima possibile, dedicherà l'autunno del 1995 ai grandi viaggi. Entro ottobre sarà negli Stati Uniti, per provare a stringere la mano a Bill Clinton (altissimo onore che gli è stato finalmente concesso - N.d.R.) [...]. Saranno le tappe (insieme ad altri viaggi di copertura in Cina, in Russia e altrove - N.d.R.) di una difficile, agognata legittimazione internazionale. Sì, perché Gianfranco Fini, oramai, sogna da premier. Dietro la ragnatela dei nuovi rapporti esteri, dietro a tutte le ultime mosse dello scenario italiano, si intravede l'obiettivo che i suoi uomini confessano, sia pure tra mille reticenze. Se Silvio Berlusconi farà il passo indietro rinunciando a essere il candidato del Polo di centrodestra alla guida del governo post-elettorale, allora dovrebbe toccare a lui. È così, almeno, che la vedono quelli di AN».

Va da sé che a questo punto non poteva non salire sul proscenio, glorioso e trionfante, il decano dei vetero-missini visceralmente filo-americani, quel Mirko Tremaglia che mandava in bestia il popolare-nazionale Beppe Niccolai, che lo fece diventare paonazzo dall'ira quando, in occasione della faccenda di Sigonella, si schierò con la Repubblica stellata contro il governo italiano che difendeva il prestigio e la sovranità dell'Italia nei confronti degli USA, senza subire la benché minima contestazione da certi intransigentissimi ortodossissimi fascistissimi di nostra conoscenza della cui corrente il Fini faceva parte.

Ma lasciamo perdere e vediamo come ha esternato il Mirko da Bergamo: «Negli USA è tempo che si conosca l'uomo che nel futuro potrà essere il capo del governo italiano». Ed ecco, di rincalzo, Ignazio La Russa: «Fini ha la statura, il peso e la capacità per guidare il governo, naturalmente in accordo con Forza Italia». Ancora più esplicito, se possibile, Adolfo Urso: «Sia chiaro che se Berlusconi fa il passo indietro noi di AN non digeriremo nessun altro nome che non sia quello di Fini».

Adesso comprendiamo: il formale atto di sottomissione all'Imperatore d'Occidente serve per sdoganare, non appena se ne verifichi la condizione minima, ossia la più o meno forzata rinuncia del Cavaliere Azzurro, il Giovin Signore di Via della Scrofa a Palazzo Chigi. Certo, il presidente Clinton non poteva ignorare un personaggio come il felsineo replicante di Dino Grandi Conte di Mordano mezzo secolo e più dopo il 25 luglio del '43 e gli ha concesso la fatidica, desiatissima stretta di mano lasciandola un po' cadere dall'alto. Naturalmente Gianfranco da San Petronio avrebbe preferito, da quel perfetto, simpaticissimo reazionario che è, che è sempre stato, che sempre sarà, stringere non la mano di un inquilino della Casa Bianca di estrazione democratica bensì quella di un Reagan o, meglio ancora, di un Bush. Ma tant'è: egli è un «pragmatico», ha il senso mistico del risultato e, pertanto, «questi o quelli per me pari sono» ovvero «a caval donato non si guarda in bocca». Va da sé che egli ha trovato modo di ovviare al pericolo di uno... sbandamento a sinistra facendo incetta di strette di mano di esponenti dell'ala più conservatrice dei repubblicani, quelli, per intenderci, che si battono contro le spese sociali, a cominciare da Bob Dole, presunto successore di Bill e di Hillary sul vertice dell'Impero.

Un pressing sulla potente comunità ebraica statunitense il capo dei fiuggiaschi e il suo piccolo corteggio di baroni già neri diventati azzurri per un miracolo di Santa Giovanna d'Arcore l'hanno ovviamente fatto, perché lì il dono dell'ascolto ai sudditi che vanno a fare atto di fedeltà e di obbedienza alla potenza con pretese ormai di economia planetaria passa anche attraverso le cosiddette lobbies israelitiche. Non sembra, però, che abbiano ottenuto grandi risultati, come, del resto aveva previsto, sempre nelle pagine di "Panorama", quell'eccellente giornalista che è il già mentovato Stefano Brusadelli, il quale si era così espresso: «Dall'estero, per Fini, sono sempre venute note amare. Nei suoi confronti gli americani sono rimasti sostanzialmente diffidenti; gli ambienti ebraici apertamente ostili. L'Europarlamento, nel maggio 1994, approvò una mozione antifascista fatta su misura per AN. E inoltre è fallito ingloriosamente il tentativo di far confluire gli europarlamentari finiani dentro il gruppo gollista, che invece ha accettato i rappresentanti di Forza Italia».

Nostra chiosa: hanno fatto bene i gollisti a sbattergli la porta in faccia, troppo indecorosa essendo una operazione diretta a immettere nelle loro file dei doppiogiochisti inveterati e inguaribili che dopo essere stati in combutta con il razzista Le Pen ora pretendevano di rifarsi una verginità a spese dei coerentissimi ed osservantissimi seguaci dell'Uomo dell'Appello del 18 giugno '40, che sempre aveva avuto in uggia e in dispetto gli Stati Uniti e la loro pretesa di comandare a bacchetta in Europa, anzi nel mondo, dall'alto di una Alleanza Atlantica intuita e vissuta come strumento della loro egemonia. E per quanto noi non si possa soffrire l'arcoreo Cavaliere e il suo partito Forza Silvio dobbiamo pur ammettere, per obbligo di onestà intellettuale, che nei confronti degli americani essi hanno sempre tenuto un atteggiamento ben più dignitoso di quello dei santoni e santini liberaldemocratichini di Via della Scrofa. Insomma, Berlusconi a Clinton e consorte li ha attesi in Italia insieme ad altri importanti capi di stato nella splendida cornice verdeazzurra del Golfo partenopeo. E se e quando è andato in America, c'è andato in qualità di vacanziere. Da avversar! leali siamo lieti di dargliene atto.

Forse piacerà al Lettore sapere che ci siamo fatti omeriche risate nel leggere entusiastiche cronache e dichiarazioni -un po' dappertutto ma soprattutto sul "Secolo d'Italia", quotidiano ufficiale del fascismo antifascista- di esponenti di AN relative all'escursionismo diplomatico finiano. Talune di esse risultavano filiate dalla labbra o dalla penna di personaggi che sempre si sono espressi sugli americani e sugli ebrei in termini tali da far rizzare i capelli sulla testa di un calvo. E che ci mettevano regolarmente a disagio temendo noi che nel rimbeccarli si potesse mettere a rischio l'amicizia che verso di essi professavamo e professiamo, anche se, talvolta, qualcuno di costoro pensa di poterci trattare con freddezza perché scopriamo i suoi altarini democratichini.

Ma andiamo oltre. E a proposito della conversione finiana all'americanismo ideologico ci pare congruo riferire, a ben quaranta anni di distanza, un pensierino di Pietro Nenni allora affidato alle colonne del quotidiano "Paese Sera" nel numero inaugurale del 1955. Vediamo: «Da noi la destra esprime solo istinti antisociali, di conservazione e di reazione. Tipico il caso dei fascisti che, per inserirsi nella politica reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro Capo ed a rinnegare l'unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a dire l'opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie dei paesi arrivati». Breve, succinto e compendioso, come recita un noto proverbio. E soprattutto veritiero, tenendo naturalmente presente che ci sono anche altri «elementi rispettabili nella tradizione [...] etc. etc.».

Per esempio: il prosciugamento delle paludi pontine, la battaglia del grano, la fondazione di nuove città ed altro. C'è da notare che la strategia di potere del callido ideatore di Alleanza Nazionale (cosiddetta) non si esaurisce nei suoi aspetti e momenti o elementi internazionali, ma si innerva anche su di un versante di politica interna. Con la consueta maestria ne accenna ancora su "Panorama" il Brusadelli con queste parole: «I rapporti con Berlusconi dovranno diventare ancora più stretti, quasi per configurare un partito unico in cui leadership espresse da Forza Italia e da AN siano interscambiabili. Sulla questione della giustizia, per esempio, Fini ha attenuato il suo sostegno al pool di Milano dopo avere ricevuto, sabato 30 settembre, una dura telefonata di Berlusconi che con il pool, si sa, ha un conto aperto. Non solo: il vertice del Polo di lunedì 2 ottobre, ha concesso a Berlusconi un altro punto importante come la copertura al ministro della Giustizia Filippo Mancuso, gran bastonatore dei magistrati milanesi. Sulla Legge finanziaria AN e Forza Italia presenteranno emendamenti comuni. In questo spirito AN premerà per la candidatura Fini, ma senza mai chiedere apertamente al proprietario della Fininvest di cedere il passo. "Il problema" prevede La Russa "si aprirà solo quando Berlusconi lo deciderà, magari per dedicarsi a un altro obiettivo, come la presidenza della Repubblica"».

Alla luce (si fa per dire) di quanto esposto in questo brano è possibile seguire quanto segue:

I) Questa Grande Rivelazione della Politica Italiana che sarebbe Gianfranco Fini permette al Cavalier Berlusconi di fargli per telefono dei solenni cazziatoni con intimidazioni cui egli prontamente si sottomette.

II) Con il cinismo che lo distingue getta in pasto al Gran Signore di Arcore i magistrati del Pool Mani Pulite, da lui sempre incoraggiati ed esaltati come le artiglierie giudiziarie che hanno raso al suolo l'ultracorrotta Prima Repubblica e reso possibile l'avvio della Seconda. Rapidissimo codicillo in forma interrogativa a quanto testé dichiarato: Cosa pensano di ciò gli on.li Tremaglia e La Russa, autorevolissimi corifei di Gianfranco il Felsineo, spesso fruitori di un consenso di massa (unitamente, ben ben ricordiamo, al sen. De Corato per il loro meritorio appoggio al Pool milanese? Stiano attenti perché qui, alighierianamente, si parrà la lor nobilitade.

III) Sempre al fine, anzi al Fini, di «credere obbedire combattere» -come diceva quel tal Benito Mussolini e sì poco elegantemente mollato dal novello Dino Grandi in quel di Fiuggi- il Nostro ha aggiunto la sua copertura a quella garantita da Forza Silvio al fortunatamente ex-ministro Mancuso, il persecutore dei giudici milanesi odiati da Sua Emittenza e ora traditi, tanto per fare una cosa nuova, da lui e dal suo codazzo di Fiuggiaschi.

IV) Gianfranco Fini, ormai definitivamente Gianfranco Fininvest, si accinge a liquidare il suo partito dopo averne ucciso l'identità, facendone un possedimento coloniale ad uso e consumo dei vari Previti, Ferrara, Di Muccio e compagnia bella. Dunque, si va verso il partito unico della destra, della destra del liberismo selvaggio, della destra della egemonia imprenditoriale, anzi del dominio e dello sfruttamento capitalistico, della destra apolide e anazionale militante sotto le bandiere del reaganismo e del tatcherismo. Con tanti distinti saluti a certi ex-rautiani ed ex-niccolaiani passati nel campo dell'Asse Arcore-Marino con armi (poche) e bagagli (molti).

Enrico Landolfi

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