«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Le Ausiliarie, volontarie di libertà
 

Come le donne in grigioverde affrontarono il martirio con i soldati della RSI

 Con la proiezione sugli schermi televisivi d'oltre Atlantico del «fungo» di morte provocato dalle bombe atomiche USA lanciate nell'estate 1945 sul Giappone, ad Hiroshima e Nagasaki quando il tempo di guerra era esaurito ma bruciando oltre centomila persone, e con il volo sopra Londra del vecchio quadrimotore Lancaster appositamente riattivato dai sudditi di S. M. britannica per esaltare i bombardamenti terroristici della Raf sulla Germania, che causarono il decesso ad innumerevoli innocenti con orrende sofferenze, gli statunitensi e gli inglesi hanno concluso le loro «celebrazioni» del primo cinquantenario dalla conclusione del 2° conflitto mondiale, mentre i reduci russi dell'Armata Rossa di Stalin sono sfilati dinanzi le tetre mura del Kremlino per condannare i massacri fatti compiere da Eltsin per conservare il suo controllo sui «cocci» in fiamme dell'ex Impero sovietico. Quale «pace» sono riusciti a concretizzare per i popoli della Terra i vincenti di allora, specie dopo le proclamazioni di «democrazia per tutti» nella conferenza di Yalta, di «collettiva intesa» per gli accordi di Potsdam e di «più fluidità diplomatica» con l'imbottigliamento dell'ONU nel Palazzo di Vetro a Nuova York, non sappiamo chi l'ha capito ma frattanto — da dieci lustri — le genti sono condannate a patire crescenti sacrifici, pagano l'irrazionalità di un progresso che nega l'equa distribuzione in ogni continente delle risorse naturali e

dell'energia, subiscono l'egemonia delle plutocrazie reazionarie insediate sulle sponde dell'Hudson e del Tamigi che impongono la vecchia maniera del tempo del bastone e della carota. Anche in Italia, le manifestazioni per questa ricorrenza sono finite e chi le ha seguite si è dovuto sopportare tramite la televisione, le riviste storiche, i servizi a puntate della stampa quotidiana non la ricostruzione obiettiva delle vicende politiche, militari e dei drammi verificatesi dappertutto, ma una loro rielaborazione come faceva comodo ai commentatori attuali che essi avvenissero.

 

I Clausewitz di oggi

Non sapevamo che il nostro Paese fosse popolato da tanti Clausewitz in miniatura, tutti così esperti di strategia e di tattiche militari da costringere i protagonisti di allora, se fossero vivi, a dimettersi: von Brauchitsch (conquistatore di mezza Europa), Rommel (la volpe del deserto), Kesselring (il difensore di Cassino) erravano quando operavano contro Montgomery (l'attaccante di El Alamein), Patton (il capo dei carristi sempre forniti di benzina), Zukov (il distruttore di Berlino) come fecero, in quanto dovevano disporre truppe e armi in maniera diversa, ed altrettanto gli altri, per motivi che non è il caso di stare ad ascoltare.

Infatti, per quanto concerne la campagna d'invasione della nostra Penisola nel triennio 1943-45, la fantasia dei neo-Clausewitz è tanto folgorante da non permettere di dedurre i motivi per cui le potenti (di mezzi) V Armata USA e VIII britannica -protette da formazioni di aerei sempre presenti nei cicli- dopo avere conquistato con celerità la Sicilia, si siano poi impantanate sui fili spinati nelle colline tra Vietri e la piana di Paestum, sulle mine nei sentieri che portano all'Abbazia di Montecassino, tra i cespugli della Pianura Pontina, dinanzi a qualche abitazione abbattuta in prossimità di Ponte Vecchio sull'Arno, nell'analisi delle poesie del Pascoli sulla sua tomba a Castelvecchio nella Garfagnana e per qualche bicchiere di Sangiovese in riva al Senio nella Romagna.

E probabile che Kesselring sapesse giocare a scacchi (con le buone pedine di soldati a disposizione) davvero meglio di Clark e di Alexander, impacciati nel salire verso il Po dal groviglio di divisioni e di reggimenti multicolori dai linguaggi tanto diversi che per l'esatta interpretazione degli ordini dovevano aspettare le traduzioni degli interpreti, i quali senza il chewing gum adatto o il whisky suggeritore non azzeccavano il momento giusto dell'ora X per l'attacco alle postazioni italo-germaniche. Alla parodia di queste evocazioni balorde porrà termine nel prossimo Terzo Millennio l'inesauribile revisione della Storia, anche per ogni avvenimento del XX Secolo, perché lo conferma -ad esempio- la disamina che dopo il Rinascimento e il Risorgimento condusse i corretti interpreti (giammai quelli corrotti, o di comodo!) per ogni nuovo criterio di governo nelle regulaejuris e nella res pubblica a rivalutare chi per l'affermazione della Civiltà ha saputo istituire nuovi ordinamenti civili di responsabilità, di progresso morale e sociale, di usufrutto equilibrato della libertà.

 

L'origine del S.A.F.

Atteniamoci ai fatti. Prima che il nemico giungesse prima a Cassino, poi ad Anzio e Roma, infine alla Linea Gotica, Benito Mussolini diede vita alla Repubblica Sociale per cancellare l'erroneità politica dei congiurati del colpo di Stato del 25 luglio 1943 e per redimere la Nazione dal tradimento del piccolo re e di Badoglio all'8 settembre successivo in ambito di patti ed alleanze internazionali, formò il governo per realizzare lo Stato Nazionale del Lavoro; Alessandro Pavolini con ardimento e saggezza promosse il «Manifesto di Verona» con i suoi «18 Punti» fondamentali per la politica rivoluzionaria del nuovo Partito Fascista Repubblicano; Fernando Mezzasoma sviluppò la Cultura Popolare per dare coscienza alle nostre genti del loro maggiore ruolo di emancipazione; Rodolfo Graziani intraprese il rinnovo delle Forze Armate per adeguarle alle esigenze belliche con maggiore efficienza; Angelo Tarchi introdusse la Legge sulla socializzazione delle imprese con l'innovazione rivoluzionaria nell'economia produttiva della collaborazione tra capitale e lavoro; Piero Pisenti ricondusse l'equilibrio alla Giustizia con l'osservanza rigorosa del Diritto di ogni cittadino e poi con l'estensione dell'epurazione dai soli fascisti a tutti i presunti approfittatori che potevano esistere nelle gestioni delle amministrazioni pubbliche. Poi, con gli altri ministeri, con tutte le strutture dei più disparati settori d'attività l'esistenza riprese a funzionare, risentendo -è vero!- del crescente coinvolgimento del territorio italiano nelle asprezze della guerra, ma protesa a vincere la negatività di esse. È in quella atmosfera di grandi decisioni che la donna italiana volle e riuscì ad inserire la propria collaborazione nella realtà sensazionale della Repubblica Sociale. E si deve avere l'onestà di dichiarare che in quei drammatici momenti, in cui la paura in molti regnava più sovrana dei Savoia rinnegati, lo spirito di sacrificio delle donne fasciste costrinse Pavolini a rivolgersi al Capo della RSI e al ministro della Difesa nazionale per costituire nel nuovo Esercito l'inquadramento militare delle volontarie. Lo Stato Maggiore designò il generale C. Fettarappa-Sandri a seguire questa realizzazione davvero nuova nell'Europa e il contributo di Piera Gatteschi Fondelli, già partecipante –giovanissima- alla Marcia su Roma e poi fiduciaria dei Fasci femminili dell'Urbe, spronò il Governo ad approvare con il Decreto legislativo del Duce in data 18 aprile 1944-XXII E.F. numero 447 l'istituzione del Servizio Ausiliario Femminile (SAF) delle Forze Armate e della Guardia Nazionale Repubblicana che impegnava le volontarie in quattro raggruppamenti con attività nei posti di ristoro, nei servizi ospedalieri, in quelli territoriali e nella difesa contraerea. La dislocazione delle Ausiliarie per lo svolgimento delle mansioni specificate era quella presso i Comandi provinciali con funzioni di Distretto militare, nelle grandi Unità divisionali (Italia, Littorio, Manierosa, San Marco) e dove la loro missione con la presenza delle donne-soldato in grigioverde si rendeva preziosa. La disciplina di ogni appartenente al SAF doveva comunque essere rigorosa, mai prestarsi a qualsiasi rilievo, mentre rimaneva ad esse proibito l'uso di cosmetici e di fumare. Al SAF ogni dipendente era soggetta alla giurisdizione penale militare.

 

Dagli studi alle trincee

Al SAF il comando d'azione venne dato a P. Gatteschi con il grado di generale di brigata, con il magg. Enrichetta Jori quale aiutante di campo, il vice-comando al col. Cesarla Pancheri, la guida dei Servizi sanitari al col. Wanda Crapis, di quelli Amministrativi al col. Italia Cobelli-Gigli, dei Logistici al col. Paola Viganò, mentre per Propaganda e Stampa dirigeva il magg. Lucrezia Pollio. Presentarono domanda di arruolamento nel SAF oltre seimila donne appartenenti ad ogni ceto sociale e provenienti da ogni parte dell'Italia, erano in tante ragazze quasi maggiorenni, molte spose, parecchie madri, ma tutte le 4.413 reclutate svolsero i Corsi di addestramento e come tutte le volontarie delle FF.AA. e della G.N.R. della RSI non vennero mai dotate di armi. La X Flottiglia Mas ebbe il SAF autonomo da quello per l'Esercito e per la GNR, fu inquadrato alle dipendenze del sottosegretario alla Marina da Guerra Repubblicana. Il comandante J. Valerio Borghese designò alla sua guida l'idonea Fede Arnaud che, in precedenza al luglio '43 si era distinta nel dirigere il settore sportivo del GUF e, dopo l'armistizio, divenne funzionario del ministero dell'Economia Corporativa, ma poco rassegnata a vivere tra le scartoffie d'ufficio la sua esperienza nella Repubblica Sociale.

Nella fucina di passione della Caserma S. Bartolomeo di La Spezia, il SAF della Decima anticipò di cinquanta giorni l'istituzione legislativa del Servizio ausiliario delle FF.AA. e durante il periodo della RSI arruolò 250 volontarie, non comprese tra quelle già indicate, che seguirono a loro volta i Corsi autonomi di addestramento denominati Nettuno, Anzio e Fiumicino che si svolsero a Sulzano (BS), Orandola (CO) e Col di Luna (vicino al Cansiglio) con perfezionamenti nell'educazione fisica, in contegno e morale, nelle norme igieniche, di regolamento e disciplina, sino alla severità di un codice d'impegno che non consentiva deroghe. A fianco di Arnaud in quel SAF X Decima si distinsero le marò Luciana Cera, Silvana Millefiorini e tutte le altre, quelle inquadrate nei Comandi e nei Centri di smistamento, nei Btgg. Barbarico, Lupo, Fulmine, N.P. e negli altri reparti, con cinque tipi di gradi dei quali il più alto corrispondeva a capo-gruppo, cioè Tenente di vascello.

I Corsi di addestramento organizzati dal Comando generale SAF di P. Gatteschi furono sei, ognuno frequentato da circa trecento reclute che, preordinate alla loro missione e prestato giuramento, venivano dislocate nei Centri militari e nei Reparti per esse scelti.

II 1° Corso Italia dell' 1 maggio 1944 (durata 48 giorni), il 2° Roma dell' 1 luglio (48 gg), il 3° Brigate Nere (65 gg) si svolsero a Lido di Venezia, con quest'ultimo interrotto a metà svolgimento e concluso a Como, dove si tennero poi il 4° Giovinezza del 5 novembre (43 gg), il 5° Fiamma dell' 1 gennaio 1945 (58 gg) e il 6° XVIII Aprile dell' 1 marzo (48 gg) diedero prova non soltanto dell'efficienza del SAF, ma specificarono per la Storia con quanto entusiasmo, con quale spirito di sacrificio e senso di responsabilità le donne italiane della Repubblica Sociale portarono su ogni fronte l'esempio di maggiore coscienza, per «servire la Patria» mentre troppi pseudo-cittadini vigliaccamente si imboscavano.

 

BB.NN. «Cossetto»: tutte ragazze

Allorché, nel luglio 1944 il territorio della Repubblica Sociale venne investito dall'offensiva USA e britannica verso Firenze e la Linea Gotica, mentre i ribelli nel Nord padano accentuarono le imboscate ai soldati delle FF.AA. di Graziani, della Wehrmacht e con diversi assassinii di personalità amministrative e di semplici civili resisi rei di simpatizzare per il nuovo Stato, Pavolini trasformò l'organizzazione del PFR in Corpo ausiliario delle Camicie Nere composto da squadre di azione chiamate Brigate Nere, con struttura di milizia ed osservanti del Codice militare di guerra. Anche le BB.NN. realizzarono il proprio SAF tanto che Pierà Gatteschi organizzò per loro -come abbiamo già segnalato- il 3° Corso Brigate Nere, iniziato a Lido di Venezia e concluso a Como, durato 65 giorni con oltre 200 volontarie, ma l'inasprimento del conflitto militare, l'aggravamento della situazione politica, l'accentuazione della lotta fratricida sottrassero dalla dipendenza del Comando generale del SAF tutte le appartenenti alla nuova forza combattente della RSI, le quali vissero una severa prova di massimo impegno, di continuo sacrificio e -alla fine- di martirio atroce.

Neppure tutto questo però, disarmò nelle BB.NN. la forza delle Ausiliarie in Camicia nera. L'episodio più indicativo è quello della Brigata Nera femminile «Norma Cossetto» di Trieste che sulla parte più contesa d'Italia, oltre a battersi per difendere l'italianità della città di San Giusto, rivendicava la potenza civile del «Manifesto di Verona» applaudendo le conclusioni in materia sociale annunciate da Pavolini il 4 aprile 1945 per la sua realizzazione politica e produttiva.

Quanto allora dichiarò Pavolini possiede oggi piena attività politica ed anticipa di mezzo secolo la condanna morale di quelle accozzaglie partitiche di circostanza -la cosiddetta alleanza nazionale, ad esempio- che, dopo aver ripudiato in modo ributtante i valori fondamentali dei princìpi per cui assunse sostanza rappresentativa il MSI, poi disciolto a Fiuggi, adesso si sono ridotte a lacchè delle plutocrazie di Londra e di Nuova York.

 

Per il Tremila nuova civiltà

Esaminiamo insieme quanto allora Pavolini indicò quale base di sviluppo di civiltà nuova per il Terzo Millennio, che le Ausiliarie in Camicia nera delle BB.NN. di Trieste e di altrove esaltarono, che gli «anini» di via della Scrofa hanno rinnegato confermandosi «badogliani».

Pavolini precisò: «È necessario che il programma sociale di Verona (quello approvato all'unanimità al I Congresso del PFR svoltosi il 14-16 novembre 1943 nel capoluogo scaligero - N.d.R.) sia sempre tenuto presente nella sua intierezza senza falsarlo con esagerazioni parziali o con parziali omissioni. I postulati del fascismo repubblicano pongono determinati limiti al diritto di proprietà, all'impiego del capitale. Tali limiti non costituiscono però, in alcun modo, un'abolizione o una sconfessione di queste necessarie realtà economiche e umane. Sono da avversare decisamente tanto gli sbandamenti verso il collettivismo bolscevico quanto i tentativi plutocratici di sopravvivenza attraverso il compromesso. Il sistema sociale fascista non rappresenta una via di mezzo tra la conservazione capitalista (alla quale si è sottomessa l'intera «alleanza nazionale» - N.d.R.) e il comunismo. È un sistema nuovo a sé stante, il quale non si ferma "al di qua" del comunismo, sibbene lo supera come supera la società capitalistica. Eventuali tendenze al collettivismo bolscevico non costituirebbero affatto un estremismo dinamico rispetto al programma sociale del fascismo repubblicano: costituirebbero invece un richiamo reazionario verso norme di supercapitalismo statale quali quelle bolsceviche, che la nostra rivoluzione considera altrettanto sorpassate quanto una società che si basi sulla conservazione borghese».

All'impeto rivoluzionario delle istanze sociali del PFR non si sottrassero mai le donne fasciste di ogni ceto e lo segnalarono gli ispettori regionali di Piemonte (Giuseppe Solari), Lombardia (Paolo Porta), Veneto (Giuseppe Pizzirani), Trieste e comprensorio (Bruno Sambo), Emilia (Franz Pagliani), Liguria (Luigi Sangermano), mentre le volontarie della Toscana fecero vibrare nella RSI la loro partecipazione accanto all'ardore politico di Pavolini, nonché dell'attività dei comandanti B. Leoni (AR), I. Utimpergher (LU), Catanzi (PI), G. Brugi (SI), Biagioni (Apuania), Polvani (FI) e dei camerati di ogni Unità operativa e della 38ª BB.NN. R. B. Biagi di Pistola. In particolare, l'intervento delle toscane fu così incisivo da ridare alla penna di Mussolini il vibrante stile romagnolo di quando dirigeva "Il Popolo d'Italia" della prima ora e con la "Corrispondenza repubblicana" del 15 agosto 1944 esaltò l'ardore combattivo di venticinque «franche tiratrici» fasciste di Firenze contro gli invasori, descrisse la sorpresa della "Reuter" e del giornale "Daily Mirror" per il coraggio dimostrato dalle ragazze in Camicia nera, concludendo così la sua nota: «È una sferzante lezione per quegli uomini che non vogliono sentirla o che di fronte all'azione mettono in campo tutti i sotterfugi che la viltà può insegnare. Come più d'una volta, se pure non mai in modo tanto clamoroso, agli sbandati, agli immemori e ai vili l'esempio viene dalle donne. Questa volta dalle gloriose donne di Firenze». L'impronta socializzatrice del PFR, l'azione delle BB.NN. per la difesa dei cittadini e il contributo sussidiario delle «donne fasciste» nel SAF autonomo di questi reparti sono realtà indissolubili dall'epopea della Repubblica Sociale e di ogni sua volontaria, specie nel martirio.

 

Due Medaglie d'oro al V. M.

Tracciare gli atti intrepidi delle Ausiliarie della RSI appartenenti a tutte le articolazioni del SAF nelle FF.AA. e nei Corpi franchi allora costituiti richiede tanto spazio quanto è grande il Cielo della gloria di queste volontarie. Vorremmo poterlo fare, ma in concreto indicheremo le Italiane che in quella epopea hanno conquistato le vette dell'Eroismo, più elette e più reali di quanto Omero e Virgilio cantarono per la Storia leggendaria di Grecia, di Troia e di Roma dall'Iliade all'Eneide, di quello che Torquato tasso prefigurò nella Gerusalemme liberata con Clorinda, di ciò che il Tintoretto plasmò con il dipinto in cui Pallade scaccia Marte. Dal mensile "Donne in grigioverde" (adesso introvabile!) diretto da C. Pancheri, redatto da L. Pollio -le Ausiliarie anche giornaliste del SAF in Como!- stampato nella tipografia Same di Milano fino alla seconda decade di aprile '45, viene «l'Attenti!» con squilli ideali di tromba per la Medaglia d'Oro che Mussolini conferì all'Ausiliaria Franca Barbier, di 20 anni, assassinata da un capobanda dei ribelli il 25 luglio 1944 a Champorcher (Valle d'Aosta), con la seguente motivazione: «Catturata dai partigiani, manteneva un contegno deciso, rifiutando di entrare a far parte della banda e riaffermando la sua intransigente fede nell'Idea. Condannata a morte dal tribunale dei fuorilegge, le fu promessa la vita se avesse rinunciato ai princìpi del Fascismo. Rimasta ferma nella sua fede e portata davanti al plotone di esecuzione, ebbe la forza di gridare "Viva l'Italia" e "Viva il Duce", ordinando due volte di far fuoco. Di fronte al suo coraggio i fuorilegge non ebbero la forza di eseguire l'ordine. Fu uccisa dal capo con un colpo alla nuca. Fulgido esempio di volontaria, la sua morte è fonte di luce». Un'altra Medaglia d'Oro al V. M. fu conferita all'Ausiliaria Angelina Milazzo, di 22 anni, nata ad Aidone (Enna), che durante un attacco aereo inglese ad un treno della FNM in prossimità di Garbagnate Milanese il 21 gennaio 1945 -per salvare una donna incinta e un ragazzo dalle raffiche delle mitragliatrici degli incursori nemici- si pose davanti a loro per proteggerli con il proprio corpo, rimanendo uccisa. Questo episodio venne rievocato su una copertina a colori de "la Domenica del Corriere" dell' 11 febbraio 1945. Segue la Medaglia d'Argento al V.M. per l'Ausiliaria Silvia Polettini, di Verona, universitaria a Ca' Foscari, caduta il 20 gennaio '45 a Rovigo nel corso di un mitragliamento mentre si prodigava a salvare persone civili rimaste sotto le macerie. Altre decorazioni al Valore militare vennero concesse alle Ausiliarie della RSI, ma ognuna di esse l'aveva già conquistata con il proprio volontariato nel prestare servizio per l'Onore d'Italia.

 

Per Trecento il supplizio

Le Ausiliarie cadute durante il servizio prestato in tutti i nuclei del SAF per attacchi nemici sulle fronti, per incursioni aeree e per agguati di ribelli sino a tutto il 25 aprile 1945 furono quasi un centinaio. Quelle assassinate dopo la cosiddetta «liberazione» per appartenenza al SAF di Piera Gatteschi furono 88, ma Bruno Spampanato con il suo "Contromemoriale" e altri studiosi in materia confermano che il loro numero cresce purtroppo a trecento Martiri tenendo conto che le Ausiliarie della X Flottiglia Mas, delle Brigate Nere, degli altri Corpi franchi della Repubblica Sociale vennero mandate al supplizio con più ferocia dal CLN, dalle brigate pluripartitiche del CVL, dai «robusti» gruppi di partigiani rossi del PcCI e anche da bande di autentici fuorilegge.

Per concludere, il martirio delle donne italiane del SAF appartenenti ad ogni Corpo militare della Repubblica Sociale ha consacrato nella Storia nazionale non solo la partecipazione di esse alla ribellione contro il 25 luglio, contro il tradimento del piccolo re e di ogni badogliano con la resa incondizionata alle plutocrazie di Londra e di Nuova York ed alla massoneria (come hanno fatto gli «anini» con l'aborto reazionario di Fiuggi nel gennaio '95) ma inserisce nella realtà italiana il fatto positivo della funzione sussidiaria del servizio femminile nel quadro operativo delle Forze Armate. Una conquista di equilibrio per il progresso civile!

Bruno De Padova

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