«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Corso di Storia con arresti

 

Il titolo l'ho preso in prestito da un articolo comparso sul n° 13 del periodico "Giustizia Giusta" la cui lettura vorrei consigliare ai troppi catoni che si agitano sulla sponda sinistra o su quella destra della maleolente marana liberaldemocratica. La consiglierei -quindi- ai garantisti ed ai forcaioli, ai benpensanti ed ai pifferai, agli statolatri ed ai libertari, ai rincojoniti di ogni risma organicamente funzionali al «nuovismo» rincorso dagli omini dal volto di plastica che -nella prospettiva di un illusorio potere- dismesse la camicia nera e la casacca rossa e munitisi di bombette e di ombrelli si recano in pellegrinaggio nella City a sollecitare riconoscimenti ed investiture.

Mentre a Reggio -e non soltanto a Reggio- esangui procuratori lotta-continui ordinano «rastrellamenti di Popolo» in nome di «una sorta di risarcimento storico tributato alla verità». Alla verità della «parte» -io aggiungo- che continua ad usare la giurisdizione come strumento di falsificazione della Storia. Alle verità di quei giudici -che tanto piacciono ai D'Alema, ai Tremaglia ed agli Arlacchi- che hanno disinvoltamente «trasferito» il loro impegno politico nell'attività «giudiziaria» con l'intendimento di attribuire al nemico (individuato normalmente nel «fascista») la responsabilità dei crimini che hanno cadenzato per un cinquantennio le cronache miserabili di quella parte dell'Occidente chiamata Italia.

Certo, Beniamino. Nella calura estiva sono ricomparsi veleni e veline tra Brescia e Milano, Palermo e Roma, Reggio Calabria e Napoli. Ed io penso a Reggio dove il 16 luglio mi trovai a partecipare ad un convegno, voluto fortissimamente da me e da qualche altro amico eretico ed organizzato dal "Circolo culturale Reggio Futura", per andare provocatoriamente a denunciare i comportamenti del DIA e del ODA reggini divenuti, peraltro, i referenti «politici» locali del giudice pistarolo Guido Salvini da Milano. Avevo accanto, oltre a Mauro Mellini e a Peppino Lupis, Giovanni Alvaro e Francesco Catanzariti che ai tempi della Rivolta erano rispettivamente segretario provinciale per Reggio della FGCI e responsabile regionale per la Calabria della CGIL. Personaggi che –frequentandomi- si sono messi a percorrere «cattive strade» tanto da giungere a convenire con me -parlando dei fatti di Reggio- sull'autenticità popolare della Rivolta, sul tradimento dei partiti e dei sindacati, sulle strategie neocoloniali attuate ai danni del Sud e –quindi- sulle colpe di quelle lobbies e di quei potentati che vinsero prima -fottendo i Boia chi molla- e che tornano a vincere oggi grazie alla complicità di uno dei nuovi «poteri forti» italici costituito dal «partito dei giudici». E se costoro indossano «toghe scarlatte» (e le indossano) a me non può fregare più di tanto: non è l'aspetto cromatico ad essere importante ma l'atteggiamento teorematico e fazioso che ha rappresentato per decenni la costante dei giudici pistaroli. Quelli, per intenderci, che inventano trame -possibilmente «nere»- sono entrati a far parte delle strutture istituzionali e di apparato.

Mai sentito parlare di Violante, di Caselli, di Vigna, di Sica, di Imposimato, di Casson, di Libero Mancuso? Ed oggi di Salvini, di Vincenzo Macrì? E mai sentito parlare della fabbrica del pentitismo e dei «programmi di protezione» per gli infami? Chi ricorda il massacratore del Circeo, Angelo Izzo le cui ultime demenziali «confessioni» costituiscono la base per nuovi teoremi (tra cui quello riguardante la Rivolta di Reggio) politico-giudiziari? E chi conosce il pentitista -già necroforo, già picciotto di n'drangheta, già militante nella Egei- che inizia a recitare altre e nuove «suggerite» menzogne dopo che la Guardia di Finanza, operando autonomamente rispetto all'Antimafia, scopre che il collaboratore di giustizia dirigeva insieme al fratello un'agenzia di traffico di stupefacenti mentre godeva di un «programma di protezione» apprestategli dal DIA?

«Buonismo» e normalizzazione. Della serie tutti insieme appassionatamente. Sinistri e destri. O no? È inutile che ci s'illuda di «attraversare tutta la geografia politica» per fare «una rifusione degli elementi più validi». Gli «elementi» sono già seduti al Tavolo delle Regole. Un tavolo al quale noi -per nostra scelta- non siederemo mai. La nostra funzione di militanti della Trasgressione è quella di passare al «bosco» (jüngerianamente inteso come valenza propositiva che nulla ha a che vedere con certe pratiche usate storicamente dalla «partigianeria» o da quanti ritennero giusto scegliere la «via più corta») e di arruolare «ribelli»; questi sì acromatici, comunque non ascrivibili negli schemi. Se «cattive strade» debbono essere percorse esse siano quelle che conducono al «bosco» ed alla sana riscoperta del «nemico». Altro che destra e sinistra... E, poi, io non conosco luoghi, tra quelli «convenuti», in cui rinvenire «sinergie antagoniste» disposte a contrastare il «processo di americanizzazione». Ho conosciuto, invece, necrofili che vanno facendo la rianimazione bocca a bocca al cadavere della DC. Ma forse le mie frequentazioni e le mie conoscenze sono altre rispetto a quelle di vecchi compagni di lotta... Ed allora «riorganizziamo» l'odio, smettiamola di cianciare di pace, riscopriamo il gusto per il rischio, lanciamo ancora una volta la sfida. Jüngerianamente, s'intende...

Ricordo il refrain di Amici di una festa, un vecchio motivo di Leo Valeriano.

Odia il tuo nemico / non perdonare mai / brucia nei tuoi giorni questo folle tentativo / d'insegnare l'odio a chi non sa!

Bene, siamo al ritorno del Cattivo Maestro. Con buona pace degli omologatori e degli omologati, degli omogeneizzatori e degli omogeneizzati; di tutti i veri manipolatori di coscienze, degli sbirri, dei cialtroni -insomma- e degl'imbecilli che popolano la colonia Italia.

Paolo Signorelli

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