«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

«Figli di stronza»
 

 

«Pregate Iddio di trovarvi dove si vince, perché vi sarà data lode di cose di cui non avete parte alcuna. Mentre, al contrario, chi si trova dove si perde è accusato di infinite cose delle quali non ha colpe»

Guicciardini
 

 

«Figli di stronza». Così Elio Vittorini, fascista tra i più convinti ed autorevoli nel corso del Ventennio, definisce in un suo racconto apparso nel gennaio del 1944 i ragazzi che andarono a Salò a combattere nella RSI. Sempre in quel racconto lui, che per anni ed anni aveva cantato ed osannato il fascismo e Mussolini, esalta l'impresa di alcuni partigiani che avevano teso una imboscata ed ucciso a tradimento quattro ragazzi «repubblichini». Questo e tanto altro è contenuto nel libro "I balilla andarono a Salò". L'autore è quel Carlo Mazzantini che qualche anno fa avevamo apprezzato per il coraggioso romanzo "A cercar la bella morte". Entrambi i lavori affrontano il tema della RSI alla quale il Mazzantini aderì giovanissimo e nella quale combattè fino all'ultimo, come tantissimi altri «figli di stronza». Questo suo nuovo libro ripropone in tutta la sua drammaticità, ma al tempo stesso in tutto il suo fascino e la sua grandezza l'epopea di una esperienza per certi aspetti ancora del tutto sconosciuta e forse irripetibile.

Dalla lettura del libro sorge spontanea una serie di domande. Ha un senso parlare o scrivere ancora di quei tempi, di quella armata di adolescenti e meno giovani che andarono a farsi ammazzare per difendere l'onore dell'Italia e pagare il conto alla Storia? A che serve, a più di cinquanta anni, andare a rivedere e rivisitare vicende, personaggi ed episodi che qualcuno molto semplicisticamente e con una approssimazione assai sospetta vorrebbe consegnare alla Storia? Perché alle soglie del Duemila con tutti i problemi che assalgono e travolgono il nostro Paese ed il mondo intero, continuare a guardare indietro a quei giorni di odio e terrore? Perché quei «figli di stronza» continuano a far parlare di sé e non vengono cancellati dalla nostra memoria storica? Il libro di Mazzantini da molte delle risposte affinchè ciò possa e debba avvenire. Quelle risposte ci trovano del tutto consenzienti. Per un motivo, fra i tanti. Basta guardarsi intorno. Basta soffermarsi su quanto è avvenuto da quegli oramai lontani Anni Quaranta. Proprio sull'ultimo numero di "Tabularasa", Antonio Carli come cappello al suo articolo di fondo riporta le parole del chiarissimo amico Sigfrido Bartolini: «La politica attuale quando non mi fa schifo mi fa pena, l'Italia finì nel 1945 e chissà mai quando la rivedremo in piedi, forse a noi non toccherà, auguriamolo ai figli dei nostri nipoti». È più o meno quanto affermava l'ex-marxista Lucio Colletti non molto tempo fa: «II crollo del fascismo e la disfatta dell'Italia nella seconda guerra mondiale produsse una frattura irreparabile. Qui c'è stato il vero taglio netto che invano si è cercato di rammendare con la resistenza. L'Italia uscita dal secondo dopoguerra è un Paese che ha perso la sua identità. L'Italia come Nazione non è sopravvissuta ...».

Ecco quei «balilla che andarono a Salò» lo fecero anche e perché ciò non accadesse. È una verità che la becera propaganda antifascista non ha mai voluto dire. Anzi si è sempre fatto in modo che quei ragazzi, i «figli di stronza», venissero criminalizzati e demonizzati. «Per decenni l'etichetta "fascista" servì da termine di discrimine assoluto, di condanna e riavuto senza appello. A indicare non un essere umano con ragioni, sentimenti, motivazioni ma un mostro senza anima e senza volto, che non meritava altra sorte che quella di essere abbattuto».

Sono considerazioni contenute sempre nel libro di Mazzantini. Quei ragazzi, al contrario, avevano un'anima ed un volto. Eccome! Avevano soprattutto lo smisurato desiderio che l'Italia non affogasse in quel fango e in quel putridume che abbiamo oggi davanti agli occhi. Volevano dimostrare, con la loro disperata e disinteressata adesione alla RSI, che non tutti gli italiani si erano arresi ora agli americani ora ai tedeschi. Volevano dimostrare che non tutti gli italiani erano «brava gente» e dei semplici furbastri pronti a voltare gabbana sempre e comunque. Volevano dimostrare che l'identità nazionale la si può e la si deve difendere anche quando si sa di combattere una guerra ormai perduta. Volevano lasciare un messaggio. Nobile. Politico e sociale al tempo stesso. Perché a Salò si andò non solo per difendere l'orgoglio di una Nazione umiliata ma anche per custodire, rinverdire e rilanciare un messaggio sociale, di giustizia e partecipazione, forte e chiaro. Fu per molti aspetti una scelta con caratteristiche più psicologiche ed umorali che politiche, istintiva e generosa. È la tesi che Mazzantini sostiene in larga misura. In questo senso una scelta assai simile a quella che altri fecero aderendo alla resistenza.

In entrambi i casi fu determinante, sempre secondo Mazzantini, quanto era avvenuto fra il luglio ed il settembre del 1943. Lo sconcerto, lo smarrimento e la rassegnazione che avevano assalito la maggioranza degli italiani che fino a poco tempo prima avevano aderito e creduto ciecamente nel fascismo e nel suo Capo. Senza dubbio per molti giovani fu proprio così. Una scelta rabbiosa, da una parte o dall'altra. Non va però mai dimenticata la pregnante carica sociale e di rinnovamento che caratterizzò la RSI. Basti pensare alla socialità del Manifesto di Verona. Basti pensare che assieme a «quei figli di stronza» c'erano anche, fra gli altri, il fondatore del PCI Nicolino Bombacci («il socialismo non lo farà mai Stalin ma Mussolini» ebbe a dichiarare nel marzo del 1945 pochi giorni prima di essere fucilato) e Carlo Silvestri fino ad allora convinto socialista e antifascista. L'esperienza «repubblichina» fu per molti versi quanto Mazzantini ci descrive così appassionatamente. Ma non fu soltanto ed esclusivamente quella, che basterebbe ed avanzerebbe. Fu altro ancora. Altrimenti non si spiegherebbe l'ostinazione con cui, a posteriori, i vincitori hanno voluto creare artificiosamente il cosiddetto mito dell'antifascismo e della resistenza.

Cesare Pavese nel suo "Taccuino segreto" affermava: «Solo gli antifascisti sanno il pregio del fascismo: tutto ciò che a loro manca. E s'è visto che mancava di tutto». In un recente libro intervista Giorgio Albertazzi, anche lui tra coloro che giovanissimi andarono a Salò, dice testualmente: «La verità è che la RSI fa ancora paura. Perché fu forse l'unico tentativo serio, svolto in Italia, di fare la rivoluzione; di avvicinarsi ai bisogni della gente. Mi risulta, anche oggi a distanza di molti anni, difficilissimo pensare alla RSI come ad una espressione di un pensiero politico di destra. Fu certamente un'altra cosa». È testimonianza importante e chiara.

Di uno che c'era, come Mazzantini. Dunque quei «figli di stronza» furono portatori di idee e valori che vanno ben oltre una semplice ed istintiva adesione.

Furono almeno un milione coloro che presero le armi per difendere l'onore nazionale e la giustizia sociale. Combatterono fino all'ultimo per andare verso il nuovo, per far comprendere all'Italia e all'Europa che non si doveva né si poteva arrendersi, oltre che al comunismo, al modello capitalistico americano. Cosa, quest'ultima, che è puntualmente avvenuta. Con il flagello della droga, l'impotenza dello Stato a fronteggiare la criminalità, il consumismo sfrenato e l'edonismo irresponsabile, il decadere dei costumi (crisi della famiglia e denatalità), la minaccia di sempre più frequenti catastrofi ecologiche, la corruzione privata e pubblica, la crisi esistenziale dei giovani, la disoccupazione, la selvaggia libertà dei mercati, lo smantellamento dello stato sociale. Anche contro tutto questo combatterono, consciamente o inconsciamente, quei «figli di stronza». Essi, portatori del nuovo, lanciarono una sfida disperata ad un mondo vecchio e corrotto che tale era e tale è rimasto. Dopo cinquanta e più anni il ricordo di quei «balilla che andarono a Salò» è ancora vivo e denso di significato.

Grazie, dunque, a Carlo Mazzantini. Perché fu uno di quei ragazzi e perché oggi fa sì che la sua e la loro testimonianza siano di esempio fecondo e di sprone a noi che rifiutiamo e ci opponiamo a quel mondo e a quel modello di società che nacquero proprio dalla tragica sconfitta di quei «figli di stronza».

Gianni Benvenuti

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