«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Recuperare il carattere
 

«O poveri italiani che siete schiavi non soltanto di chi vi comanda, ma di chi vi serve, e di voi stessi; che non perdete occasione di atteggiarvi a eroi e a martiri della libertà, e piegate il collo alla boria, alla prepotenza, alla vigliaccheria dei vostri mille padroni ...»

Curzio Malaparte

"Maledetti toscani", Vallecchi Editore, Firenze, 1956

 

 

Da più parti riceviamo inviti a «scendere da cavallo» che, altrimenti, rischiamo «sia di apparire come dei dottrinari inconcludenti, sia di far apparire i politicanti d'area come superbi realizzatori. E questa sarebbe la colpa più grave. Bisogna, vivaddio, che voi del comitato di redazione indichiate cosa volete fare da grandi ai lettori di questa Rivista».

Tra le considerazioni di qualche lettore che ci scrive sullo stesso tema, abbiamo stralciato questa dell'amico Giuseppe Parisi di Santeramo in Colle.

Non posso parlare a nome degli amici della redazione, poiché siamo un gruppo omogeneo solo per quanto attiene alla voglia di dire apertamente ciò che ciascuno di noi pensa. E qui ognuno ne ha la possibilità. Ma sulla «responsabilità di guida» che alcuni lettori da noi «pretendono», andrei cauto.

Questo foglio è rinato, con la doppia intestazione, per volontà di un gruppo di amici (e di lettori) che, dopo aver trascorso la propria vita in un partito se ne sono usciti con disgusto, non certo per costituire un'altra organizzazione. Ci viene chiesto che cosa vogliamo fare da grandi. Niente di ciò che alcuni si aspettano da noi, se non menare fendenti a destra e a manca. Grandi... grandi non lo saremo e non lo diventeremo mai: siamo gli eterni ragazzacci, i monelli della politica italiana. Impossibilitati a cambiare il nostro carattere perché disconosciamo la legge dell'evoluzione nella moderazione, nel compromesso, nell'invecchiamento. Non solo non maturiamo, per cui è insussistente l'eventuale pericolo di essere fagocitati e digeriti ma evitiamo, altresì, di essere innestati su altre forze politiche; anche se, con tanta mestizia ed afflizione, penosamente, esse si «rifondano» per tenere in equilibrio un loro misero scranne.

Noi abbiamo, però -redattori e lettori- il dovere di portare a compimento una missione che altri non sono riusciti ad eseguire: l'alfabetizzazione delle coscienze e il recupero del carattere. Noi tutti, insieme -e ciascuno nel proprio ambito-, possiamo spandere la nostra smania di ribellismo, contaminare chi ha momentaneamente perso fiducia o assopito l'orgoglio che ieri lo muoveva e lo incitava ad agire, quando vivificava le proprie ed altrui energie ed urlava in faccia ai «potenti» tutto il disprezzo che covava dentro sé stesso. Questo vogliamo fare. Vogliamo tornare ad essere «il fogliaccio» - con il dovuto rispetto e riguardo all'educazione ed alla lingua italiana.

Ecco che cosa vorrei dire agli amici lettori e... redattori: siamo piccola cosa, piccoli numeri, modesti polemisti, ma grandi sognatori. Proviamo, cominciamo a dibattere temi esistenziali, a prendere in esame la vigliaccheria che ci circonda, la poltroneria che incanaglisce, il servilismo che sdegna, la volgarità che soffoca. Basta con i dibattiti ed auto-dibattiti - ha ragione l'amico Parisi.

Noi non abbiamo di che render conto a chicchessia se non alla nostra coscienza: siamo perché siamo. E siamo anche, con un pizzico di convinta e meritata presunzione, gli unici che non si faranno mai polverizzare o consolidare dal magma politico italiano. Questo foglio ci da la facoltà di esercitare appieno la nostra libertà, schiavi soltanto del dominio della nostra volontà: essere seminatori di idee. Le dottrine le lasciamo ai maestri della politica spicciola, ai filosofi del contingente, ai pragmatisti delle consuetudini. Siamo gente da strapaese che non si esalta e non si emoziona se non di fronte alla dignità del pensiero, alla parola data, al sentimento dell'onore. Che tiene più per l'intelligenza che per la furbizia; che si impone di provare, in ogni momento, la propria esistenza naturale. E il nostro «farci male» deve essere inteso come rinuncia al soddisfacimento di ambizioni elettorali o di eguagliare il valore al fatto. È forza di carattere, è esempio, che può portare a noi chi ancora è ancorato alle diffidenze, alle incertezze, alla incontentabilità.

a.c.

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