«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

i dibattiti

 

Terza via per il futuro: la Socializzazione,
uno strumento politico per coalizioni di nuovo respiro


 

Per maggiormente chiarire e spiegare questo argomento ritengo opportuno fare qualche premessa necessaria. Esiste, accanto al capitale-denaro, al capitale-industriale, al capitale-mercé, il capitale-lavoro molto spesso, se non sempre, del tutto equiparato al capitale-mercé. Che significa? Significa che il lavoratore è considerato alla stregua di uno scampolo di stoffa o di un avanzo di magazzino, aventi un onere ben determinabile preventivamente. Il beneficio, viceversa, è esclusivamente per il proprietario degli strumenti di lavoro, delle merci o di tutto il magazzino o di tutto lo stabilimento o il complesso degli stabilimenti tra loro organizzati e diretti più che da un «padrone», nel senso antico del termine, quasi sempre, almeno nelle aziende di più grandi dimensioni, che oggi hanno dimensioni sovra-nazionali se non planetarie (si pensi alla Sony, alla Bayer, alla ITT, alla Nestlé, alla IBM, alla Exxon etc. che da sole hanno un fatturato cinque volte maggiore di quello dell'Egitto e della Nigeria messi insieme) da un «padrone astratto», «invisibile», «invulnerabile» (non si può sparare per esempio al «padrone» per vendicarsi di essere trattato da «oggetto» e non da «soggetto» del processo di produzione e quindi di accumulazione della ricchezza). Si è pertanto, ancorché in presenza di qualche garanzia di legge, pur sempre novelli e moderni schiavi, sottoposti e vincolati per un minimo di 35/40 anni a chi detiene nelle sue mani il tuo destino (e insieme al tuo quello della tua famiglia).

E del resto gli schiavi dell'America di metà Ottocento non mancavano di avere -si può discutere se per liberalità del padrone o per mero interesse di questi- tutta una serie di garanzie: erano alloggiati, sfamati, vestiti e si riproducevano liberamente -cosa addirittura più difficile oggi e de facto impedita alla faccia di tutte le Commissioni sulle pari opportunità- e si godevano un pezzettino di tempo libero e facevano anche un po' di «carriera» (cuoca, cameriere, cocchiere, fiduciario etc.) sempre comunque nell'ambito di quanto stabilito dal «datore di lavoro» nonché padrone. All'epoca, peraltro, c'erano anche delle «positività» oggi assolutamente non pensabili dai novelli schiavi: il sentirsi, ed essere ancorché nella schiavitù, una forte comunità ricca dei suoi retaggi e dei suoi costumi come dei suoi spirituals e dei suoi aneliti di miglioramento sociale e di libertà. Erano e si sentivano, insomma, Nazione. In seguito, gli schiavi negri nordamericani riuscirono a liberarsi dei ceppi, terribili e sempre infami della schiavitù, ma non proprio per ragioni legate all'umanitarismo dei Nordisti, tranne lodevoli ma ingenue eccezioni, quanto per gli interessi industriali e «liberistici» e affaristici ed egoistici del Nord!

Ma questa è una storia lunga che ci porterebbe lontano dall'argomento in trattazione.

Oggi il liberismo spinto-che-più-spinto-non-si-può (ossia lasciar del tutto libero il mercato da qualunque ceppo normativo) vi sembra che possa cementare il senso della Comunità e in definitiva il senso della Nazione? Ogni lettore si dia la risposta che vuole; a parere di chi scrive il liberismo spinge invece verso l'annullamento dello spirito di Comunità tant'è che si mira, nelle centrali che contano, a realizzare il cosiddetto villaggio globale, cioè ad essere tutti gli abitanti del pianeta omologati se non omogeneizzati da «identici consumi» e quindi da identiche necessità artatamente provocate. Ma anche questo è argomento che ci porterebbe lontano e fuori di quello strettamente scelto. Solo che non si può non osservare che l'argomento del «capitale-lavoro» è interconnesso, per così dire, con tanti altri. In sostanza, e in breve, mi viene voglia di dire che si perpetua oggi una sorta di schiavitù moderna.

Perché quando si sostiene che il lavoratore subordinato non può «partecipare» non già alla paritaria divisione della ricchezza prodotta ma neanche alla impari divisione (mi fanno ridere o meglio incazzare i cosiddetti premi di produttività o di rendimento peraltro sempre in bilico e spessissimo oggetto di intimidazioni intolleranti, tipo: comportati bene se no ti tolgo o ti riduco drasticamente il premio in parola), a me pare che ci sia sostanzialmente ben poca differenza dalla condizione degli schiavi negri di cui sopra.

Tant'è che oggi come allora tutti i lavoratori producono sì ricchezza ma per pochi privilegiati, detentori del capitale-denaro, contro una mercede preventivamente concordata nel suo ammontare. Questa mercede, oltre a diventare -a causa della pressione fiscale di uno stato famelico perché molto corrotto ieri forse solo un po' meno oggi- sempre più insufficiente per pagare l'alloggio, per sfamarsi, per vestirsi, per istruirsi, per utilizzare il proprio tempo libero, per vivere in libertà... peraltro fittizia anche se il gran numero di auto in circolazione o di elettrodomestici in ogni casa e soprattutto in TV ci inducono a credere e a pensare il contrario, è pressappoco quella che il padrone schiavista dava ai suoi schiavi. Certo lo schiavista americano (perdoni il lettore questo continuo riferimento, utilizzato a mo' di esemplificazione e chiarimento concettuale) avrebbe dato anche la TV e gli elettrodomestici e l'auto ai suoi subordinati negri perché è sempre suo interesse conservare al meglio il proprio capitale-lavoro/merce.

Ma provate a ribellarvi al vostro Capo: non riceverete frustate o non finirete ai ceppi.

Peraltro l'insistente invocazione da parte degli organi rappresentativi del mondo imprenditoriale, e cioè dei liberisti spinti di cui sopra e dei suoi sostenitori sparsi in ogni partito in Italia da AN al PDS, ad una maggiore (sic!) liberalizzazione del mercato del lavoro tende ad ottenere -in parole povere- la massima libertà di licenziare. E chi oggi viene licenziato è sicuramente in una posizione forse peggiore dello schiavo il quale, tutto sommato, diciamo per una pernacchia al padrone, se ne usciva con qualche frustata (era imperdonabile una punizione maggiore fino all'uccisione come sostengono i falsi umanitaristi di oggi, per la semplice considerazione che il padrone mai ha interesse a perdere senza contropartita il suo capitale; tutt'al più lo metteva in vendita pure se a prezzo vile pur di sbarazzarsi di un elemento indisciplinato fonte di turbative), mentre chi fa due fotocopie personali in ufficio è licenziato in tronco (si leggano i quotidiani del 7.12.1995); senza considerare la vita difficile che ha sul posto di lavoro (fabbriche, ospedali, ministeri, banche etc.) chi non è esperto in arti supine che nulla hanno a che vedere con la quantità e la qualità del lavoro prodotto! O al contrario considerando invece la carriera facile che privilegia certi figli di papà o certi detentori di tessere e raccomandazioni giuste !

Ognuno sa quanto, già oggi, è difficile entrare nel mondo del lavoro, e uscirne a 40/50 anni, diventa una tragedia per la quasi impossibilità di trovarsi una nuova occupazione specie per chi è privo del capitale-denaro. E quanti drammi sono a mia conoscenza! Mi rendo conto che chi scrive quello che ho scritto io (e cioè la persistenza di un moderno schiavismo nel Duemila e pure nell'Occidente evoluto) rischia di essere considerato, con grande probabilità, un fanatico pazzoide fuori del tempo reale, ma pazienza! Alla mia vera libertà di dire e pensare in controtendenza o controcorrente, non rinuncio e del resto credo che qualche lettore non rimarrà proprio del tutto annichilito da queste modeste considerazioni. Premesso quanto sopra, l'argomento del titolo che pure merita una trattazione particolareggiata e specifica, ha trovato a questo punto, io credo, in tutti i lettori le conclusioni cui si voleva arrivare. Vi pare possibile che debba continuare e addirittura debba tentare di rafforzarsi ancora di più il sistema capitalistico con tutte le aberrazioni derivanti dagli sviluppi tecnologici, tipo ad esempio il mondialismo finanziario? Non è forse più opportuna una inversione di tendenza e ritrovare «la diritta via» che è anche la terza via del titolo? Tutto il potere nelle mani del capitalista privato o nelle mani di quello pubblico è giusto? è utile? è opportuno? è possibile anche per il futuro? E tutti i terribili guasti prodotti sul pianeta sotto l'aspetto ambientale e sotto l'aspetto socio-economico soprattutto nel Terzo e Quarto mondo ricchi di miseria in espansione esponenziale, non sono sufficienti a far aprire gli occhi a tutti, governati e governanti di ogni parte politica e di ogni latitudine?

La caduta, sotto il peso dei suoi fallimenti e peggio ancora della sua incongruenza di fondo (la proprietà è un furto dimenticando che vi è quella fatta col più onesto lavoro, che è viatico di fiducia, è sprone ad ogni fatica, è tranquillità per ogni vecchiaia, è premio ad ogni lavoro!), del sistema del capitalismo pubblico o collettivismo marxista ha prodotto e produce la vittoria sempre più baldanzosa del sistema del capitalismo privato e dei metodi che diventano ogni giorno sempre più poveri e più deboli alla mercé dei nuovi «schiavisti» sempre più ricchi.

Il che impone, da parte di chi non intenda subire un tale stato di cose, rivedere coraggiosamente le proprie posizioni di diniego della terza via che si propone, prendere atto che essa diventa una strada obbligata (forse la sola!) per superare le laceranti sperequazioni esistenti nel mondo e purtroppo destinate ad acuirsi, per riacquisire il senso vero della vita e della persona umana che non è né un robot senza anima né un mero consumatore di pop corn, di coca cola o di programmi televisivi e combattere tutti insieme per limitare il predominio del capitale-denaro nelle sue varie forme e metodi di concretarsi. La terza via, la socializzazione, consiste nella partecipazione dei lavoratori alla divisione della ricchezza prodotta e nella partecipazione alla gestione aziendale in un clima non di conflittualità ma di vera e sentita collaborazione, onde ottimizzare le scelte produttive evitando gli sbandamenti padronali finalizzati al massimo profitto col minimo costo. Della partecipazione vi è un accenno anche nella Magna Charta vigente all'articolo 46, che è però rimasto del tutto disatteso forse perché per 50 anni in Italia si è preferito perpetuare le divisioni e la lotta di classe per vivere di rendita da una parte (i seguaci di Adam Smith) e dall'altra (i seguaci di Marx). Mi piace citare una frase del Maestro di vita, di cultura e di anticonformismo, Rutilio Sermonti: «Tra uomini che perseguono un unico fine superiore e comune il conflitto è inconcepibile».

Mi rendo conto che non ho esposto tutte le ragioni a difesa della terza via, ma non posso abusare dell'ospitalità di questa rivista. Posso però, se il direttore lo vorrà, ritornarci sopra con maggiori e più convincenti argomenti. Voglio solo aggiungere, in conclusione, che il mondo del capitale in genere vieppiù quello apatride, tenta in tutti i modi di «coinvolgere» il lavoratore introducendo l'arma dei benefits, parlando in maniera enfatica ma ambigua del ruolo insostituibile delle risorse umane o del senso di appartenenza aziendale (tutti eufemismi per «fregare» meglio il sottoposto) o di altre forme di retorica tutte finalizzate ad ottenere di più sotto il profilo della produzione, a diminuire i costi o eliminare le tensioni. Insomma prima si usavano le frustate sulla schiena o i balli sull'aia, oggi si usano metodi scientifico-psicologici che frustano il cervello e comunque frustrano e avviliscono in ogni caso la persona umana.

Viva il liberismo capitalistico, dunque? O avanti -anche se ancora in pochi- con la terza via? A sostenere questa antica e nello steso tempo modernissima idea non siamo in cattiva compagnia: c'è -o dovrebbe esserci- anche tutto il mondo cattolico.

Io non ho dubbi sulla scelta: non mi stanco però di consigliare a tutti quelli del nostro mondo (di sinistra antagonista, ma nazionale) di cercare fortemente e caparbiamente nuovi compagni di strada dopo la svolta liberistica dei «fiuggiaschi»

Occorre dividersi in futuro solo su questo: chi è a favore della partecipazione e chi è contro.

Il discrimine non sarà il fascismo o l'antifascismo ma tra chi è per una giustizia sociale secondo schemi concettuali e giuridici autenticamente rivoluzionari perché ancora quasi del tutto nuovi e inapplicati, e chi no.

Carlo De Luca

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