«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Avanti, Savoia!


 

La rivista del craxiano Caprettini, che vidi nascere con bel altri intenti, dedica, a noi di "Tabularasa", un momento d'attenzione. Ne avremmo fatto volentieri a meno perché amiamo scegliere da soli quelli con i quali discutere e, se occorre, leticare. Ma, si sa, non sempre volere è potere. E allora quella rivista, che contribuii a fondare e non mi ha mai pagato gli articoli che vi comparvero, prima d'aver deciso di non inzaccherare la mia penna, scrive che vi sono, «dietro l'invito coraggioso della testata, troppi mix giornalistici e dejà-vu». Sul mix non si trova da ridire. È proprio questo il bello della libertà e sappiamo la difficoltà che si ha a comprenderci quando si è diversi da noi e tutti dediti ad obbedire agli ordini ringhiosi e ringhianti d'un padrone.

Ma sul dejà-vu, andateci cauti. Statevene bravini, sudditi, perché noi siam gente che non ha propensione ad andar pel sottile. Perché, se guardate quella pagina di rivista, vi accorgerete che l'«incorniciato» è al centro d'un articolo che secerne goduria per il ritorno del re. Io mi chiedo: ma è possibile che a quattro anni dall'avvento del Terzo Millennio ci sia gente che goda ad inchinarsi davanti a un suo simile? Ma è possibile che ci debba essere ancora chi vaticini balli a corte, sciabole e feluche, trine e cicisbei mentre sogna di contornarsi di duchi e baroni, principi e conti? Chi sono allora i dejà-vu! Non è per fare il robespierre ma oggi, se si pigia un tasto, si naviga per le vie di Internet e tutto quello che si sa, entra in casa. Nelle nostre case, la cui genealogia è fatta di robusti contadini, che alzarono la panoplia del lavoro e del sacrificio, contornata dai rivoli di sudore e di sangue bollente, a cui faceva ornamento la callosità delle mani. Le distanze son sempre più virtuali che reali, i continenti si parlano e s'odono. La scienza scopre che il cuore non dipende dal cervello e gli spazi siderali vengono solcati come comuni vie di paese. Siamo oltre le dimensioni e vien proprio da ridere a veder gente che plaude al re. «Re» di che cosa e di chi? Si dice in quell'articolo che son duecentomila i monarchici, e trenta (o venti, o dieci, o cento?) associazioni. Beh! noi, i repubblicani, siam di più. Non fateci ridere... Quando poi i re che tornano sono i Savoia, aumenta lo scompisciamento...

Però, che tornino... con questa storia semisecolare del ritorno hanno proprio gonfiato ciò che «sta sotto». Tornino i vivi ed abbiano quel che spetta ad un cittadino. La Repubblica può far l'elemosina anche a chi tassava il macinato. Purtroppo questi «pitocchi» nacquero nelle nostre contrade. La Repubblica è grande: se riconosce il diritto di cittadinanza anche ai figli di puttana, può farlo pure con i Savoia. Tornino anche i morti. Dove vogliono andare? Al Pantheon. Vadano al Pantheon e si metta una pietra sopra. Non se ne può più e abbiamo ben altro da fare che star lì ad ascoltare i lagni di questa triste genìa che fece strame dell'onore d'Italia. Avanti, Savoia, i vostri vivi e i vostri morti... Non starò qui a parlar di dignità. Essa è come il coraggio: uno non se lo può dare...

Valga però un esempio. Zita di Borbone-Parma, moglie dell'ultimo imperatore absburgico Carlo I, decise di morire in esilio per non prestare giuramento alla Repubblica austriaca. Era quello il prezzo del ritorno. Non lo pagò e morì esule. La «regalità» è questa e può appartenere ad ogni essere umano, degno di tale nome. I vermi invece strisciano; essi hanno al posto delle vertebre degli anelli cartilaginei. Considerazioni che mi vengono da fare per riconoscenza della Storia, ch'io son repubblicano e m'inchino solo davanti al Padreterno. È cinquant'anni che i Savoia coi loro paggi son lì a pitoccare questo ritorno. Son i mali della Storia. Quei partigiani lì... se li avessero fucilati cinquant' anni fa, Sciaboletta e compagnia, avremmo risolto il «problema» con mezzo secolo d'anticipo. Ora ci ruzzola fra i piedi questa bora di gufo che la Storia rigurgita. E ci da una preoccupazione in più: quando si vuole candidamente abolire la XIII Disposizione Transitoria della Costituzione Italiana. Lo chiede anche l'articolo anonimo del settimanale di Caprettini. Andiamoci piano e vediamo quanto si può fare. I «membri discendenti» di casa Savoia tornino ad essere elettori e a ricoprire uffici pubblici e cariche elettive. Perderanno così quella tabe che s'annida fra le loro sinapsi e li fa credere nobili. Essi non son diversi da noi né pari. Son uomini, spesso mezzi uomini, anche ominicchi e pure quaquaraquà. Appartengono alla grande fauna dell'homo erectus. Si diano loro ingresso e soggiorno nel territorio nazionale. Punto, però. Perché i furbastri potrebbero giocare brutti tiri. Dite di no? State attenti.

La Costituzione repubblicana prevede: «I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex-re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato [...]». Che cosa succede se si annulla la XIII Disposizione Transitoria? Che quella mala razza pianta su un casino tale che dobbiamo essere costretti a svenarci per dare a loro tutto ciò che fu loro tolto giustamente il 2 giugno del '46. Non si sente proprio il bisogno di queste grane né si ha voglia di dare un nichelino falso ai Savoia. Hanno già preso e non hanno pagato decima per le nefandezze commesse. La storia dei Savoia sta lì come una delle più miserevoli delle dinastie europee, con buona pace di Sergio Boschiero che, inneggiando al re, è diventato un personaggio degno della ribalta delle cronache. Però, meglio Boschiero, monarchico da sempre, che Fisichella, savoiardo sbriciolato già nella zuppa andreottiana. Perché, nell'Italia di Brighella e Pulcinella, ci mancava Fisichella a randellarci i genitali nel nome di quella mezza sega di Vittorio Sciaboletta.

Già, dimenticavo... perché i re sono «altezze»? Vittorio Savoia, un metro e cinquanta, quale «altezza»? Bassezza, questo sì. E lo dico io, quindici centimetri in più, però non ho mai tradito. I Savoia, invece... Carlo Alberto, che lascia i milanesi nelle grinfie di Radetzki. Vittorio Emanuele il Secondo che premia quel gaglioffo del Cialdini, per noi meridionali e la nostra storia un mascalzone al cospetto del quale Kappler sembra un torturatore di lucertole, portando rispetto alle lucertole. Umberto il Primo, che decora quell'assassino di Bava Beccaris. Vittorio il Terzo: si sa chi è stato. Vogliono metterlo al Pantheon. .. In un posto devono buttarlo. Se è vero che esiste un «al di là», io li vedo, i prodi della Divisione «Catanzaro», che fece fucilare senza battere ciglio nel '17, a rimpinzarlo di pedate nel fondoschiena. E di sputi, le anime inquiete di Cefalonia, volate lassù per la codardia di quel dedecor naturae. Umberto il Secondo, beh! C'è stato troppo poco, il Re di Maggio, e la sua storia sta tutta in quella della lingerie di Milly, cantante degli Anni Ruggenti.

Avanti, Savoia!... ma poi, a cuccia e bravi ! Non venga in mente ad alcuno di tornar a picchiar su le gonadi con la storia di tirar fuori il trono. Abbiamo l'Altare ed è già troppo. Chi ha queste voglie, guadagni le brughiere d'Albione. Lì ci son re che vanno a cavallo e regine che si fan «cavalcare» dagli scudieri. Un tempo, quando i re infoiati inseguivano fior di regine di bordelli e le facevano «favorite», le mogli «incoronate» zittivano. Oggi il mondo e quello d'Internet. E le principesse, ingroppate sui membri di corte, son più spontanee e sincere. Guardate Diana e inchinatevi. È una regina, una regina di cuori. E cuor contento, ciel l'aiuta. Come diceva Michel de Montaigne? Anche sul trono più alto del mondo, si sta seduti sul proprio culo. Avanti, Savoia, avanti...

Vito Errico

P.S. - Mi dicono che Pietrangelo Buttafuoco, della nostra covata dei «nipotini» di Beppe Niccolai, sta per diventare direttore de "L'Italia settimanale" con collaborazioni che vengono dai comunisti di ieri, dai fascisti d'avant'ieri e dagli eretici di sempre. In quest'Italia puttana qualcosa cambia davvero. Sta' a vedere che 'sta volta riusciamo a fare sul serio «fascio e martello». E potremmo fare anche cappotto, nevvero Petruzzu!

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