«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Di Pietro: tra cortigiani e nemici


 

È un programma scialbo, la scoperta dell'acqua calda, una serie di ovvietà. E, paradossalmente, condivisibile. Da quando Antonio Di Pietro, dimessosi dalla magistratura il 6 dicembre 1994, ha lasciato intravedere una sua entrata in politica, parlamentari, senatori, columnist e cronisti sono in grande agitazione. Ad ogni esternazione, intervento o colpo di tosse dipietrino, ecco venir da destra, centro e sinistra una valanga di commenti. Da un lato, con parole e atteggiamenti l'ex-PM sembra giocare come il gatto con il topo; dall'altro, sale la febbre di quanti «vogliono capire» con quale schieramento andrà Di Pietro, tanto che una delle critiche più frequenti è quella di essere indeciso. Come se una persona, a differenza degli accusatori che tutto possono permettersi, non avesse anche il «diritto» di esserlo. Al di là dell'opinione che ciascuno si è fatta sull'ex-PM, perché, dunque, la grande paura da parte dei politici d'ogni colore? Questo è il nodo centrale. Vediamo di riassumerne le ragioni.

 

i politici

Dopo le iniziali lusinghe e le «tirate di giacca», leaders e comparse del teatrino hanno capito che l'uomo non è facilmente arruolabile. Sondaggi a parte, Di Pietro catturerebbe dai 4 ai 6 milioni di voti provenienti, questo il succo, da tutti gli schieramenti. Ecco farsi strada il terrore di perdere elettorato, con il rischio di vedersi sfilare poltrone, poltroncine, stipendi ricchi e privilegi (nel solco delle vecchie italiche abitudini).

Sul «programma Di Pietro» l'ex-DC Gerardo Bianco (ora PPI) sentenzia: «Ai suoi 12 punti preferiamo le 10 ragioni esposte dal cardinal Martini nell'omelìa di Sant'Ambrogio». Gioco a premi per i lettori di "Tabularasa": segnalare un profondo pensiero espresso negli ultimi 20 anni da Bianco. Vincita: 3 giorni spesati alla prossima convention del PPI.

Il verde Luigi Manconi, dall'alto della sua filosofia: «Di Pietro è l'acqua calda». Premio: umorismo involontario (l'acqua calda, se non inquinata, può far bene).

E da sinistra? Dall'acqua all'etere. Ecco Valentino Parlato, direttore del manifesto: «L'aria» afferma «è tutta quella di una bomba carta a orologeria preconfezionata». Parola di un ex-sessantottino, ora convertitosi al manifesto SpA. E il grillino-buonista per tutte le stagioni, ergo Walter Veltroni, direttore amerikano de "l'Unità", nonché numero 2 del pacioso Ulivo di Romano Prodi?: «Ci va quasi bene». Della serie: passa con noi e non se ne parli più.

Più rustico, il leghista Umberto Bossi lo liquida così: «Tutte barzellette». E da destra? Anche lì non scherzano, alternando disprezzo e lusinghe. Minimizza Giuseppe Anzani, direttore del cattolico "Avvenire": «... è un dejà-vu in passerella, il nostro pentolone rimestato». Bravo: fa pensare a una vecchia ciabatta che sfila e a una cucina dai sapori agresti. Ed ecco servito il pensiero forte del presidente dei senatori di Forza Italia, Enrico La Loggia: «... un ballon d'essai per saggiare lo stato d'animo dei partiti nei suoi confronti». E Buttiglione, il vaticanista? E l'eterno bambinone Casini, detto il Pierferdinando galleggiante? E il, diciamolo, Cavaliere dei sogni italiani? Massì, tutti stupendi nel bollare il Di Pietro-pensiero. Il fatto è che nessuno, al di là di qualche doveroso distinguo, vuole concedere dignità politica a Tonino. Da quali pulpiti, poi ! Oltre ad essere «sorde e grigie» di mussoliniana memoria, le nostre aule parlamentari pullulano di gente inquisita dalla magistratura per i reati più vari. Chiacchieroni superincalliti, professionisti del bla-bla che cercano di farci dimenticare i grandi Ladroni della prima repubblica. Senza riuscirci. Per non parlare della solita truppa (in questo uguale a quelle della passata legislatura, vedi i De Lorenzo, i Gava, gli Abbatangelo, i Mancini, gli Andò, i Craxi, ecc.) che ha ricevuto voti non proprio immacolati. I forzaitalioti Vittorio Sgarbi e Tiziana Maiolo (Titti, complimenti per l'inversione a U da "il manifesto"!), prima delle politiche '94 hanno incontrato più boss della 'ndrangheta che diseredati calabresi. Entrambi sono stati premiati, dunque eletti a deputati, dalla onorata società Peppino Piromalli & soci.

E che dire, in Trinacria, dei forzaitalioti Gianfranco Miccichè, Enrico La Loggia, e il senatore di AN Filiberto Scalone? A Palermo e dintorni hanno ricevuto i sani appoggi elettorali di un certo Pino Mandalari, commercialista e sodale da 20 anni di Totò Riina. Tutto questo è documentato nel mio libro "L'Italia della vergogna" (Laser Edizioni). Deputati, senatori e predicatori televisivi che non possono non vedere come fumo negli occhi un tipo solido come Di Pietro che, assieme a una schiera di deputati e senatori, spezzerebbe equilibri politico-mafioso-massonici ancora esistenti, svelerebbe un mondo inconfessabile di intrecci affaristici.

 

gli imprenditori

Buoni questi. Soprattutto i più grandi e noti (gli Agnelli-Romiti, i Cuccia, i Pesenti, i De Benedetti, i Berlusconi), parecchi dei quali sono stati inquisiti. Al di là delle generiche espressioni di stima e/o di circostanza, odiano Di Pietro. Oggi lo considerano il «braccio politico» della nuova magistratura, quella di Borrelli & Colombo, Caselli, Cordova, Casson. Sotto sotto temono che, una volta in Parlamento, attorno a Di Pietro possa coagularsi un vero «partito dei giudici» o, comunque, un movimento che voglia spezzare il sistema omertoso e connivente in cui viviamo. Non a caso, il più reattivo si dimostra il cavalier Berlusconi (tessera P2 1816), entrato in politica per salvare sé stesso e la sua azienda, e, soprattutto, per rappresentare con il suo manipolo gli interessi della Loggia gelliana che da decenni ha messo le mani sul Paese. Il massone di Arcore non è che il naturale continuatore della politica del suo sodale Bettino Craxi e del «divo Giulio», alias Andreotti. Cioè i due grandi predoni dell'Italia repubblicana.

 

i giornalisti

Della serie: i favolosi, carissimi colleghi, molto più attenti a fiutare il vento che a fotografare la realtà. Basta guardare alle contorsioni, non solo stilistiche, sulla vicenda "Mani pulite" prima e Di Pietro, da un anno a questa parte. Fino a pochi anni fa, a sentire gli umori della gente di ogni parte politica, ci si lamentava che i giudici facessero arrestare soltanto i ladri di polli o di mele e mai «quelli in alto». Vero. E infatti avevamo alti magistrati alla Carmelo Spagnuolo, Diego Curtò, Corrado Carnevale, Filippo Mancuso e tanti altri che facevano (lo dico per evitare querele) «il bello e il cattivo tempo». Da alcuni anni, invece, le cose stanno cambiando grazie a quei magistrati che combattono il mondo del malaffare e della mafia e che (si pensi ai caduti: Livatino, Falcone, Borsellino) inquisiscono i «pesci grossi». Ed ecco columnist, corsivisti, cronisti, mezzibusti e quaquaraquà televisivi che, a seconda di chi viene indagato o rinviato a giudizio, prendono posizione, cambiano atteggiamento, fanno sottili distinguo, cambiano le carte in tavola. Il vero dramma è che la stampa italiana è imbavagliata. I giornali sono, infatti, in grandissima parte in mano a potentati finanziari che colludono con potentati politici, con la copertura degli istituti bancari. Si tratta di un coacervo di interessi reciproci. E ciascun gruppo imprenditoriale (leggi: bande o clan) ha nei propri giornalisti i fucilieri di turno. Ecco perché a questa congrega politica-mafiosa-massonica può far paura un Di Pietro, al di là se davvero potrà rivelarsi un «soggetto politico pesante e pensante». Di Pietro, in politica, potrebbe rappresentare -con il suo eventuale seguito- un'autentica scheggia impazzita, dunque non controllabile. Ed è questo che politici, imprenditori, massoni, burocrati, giornalisti e quanti amano l'attuale andazzo temono di più. Insomma, quell'Italia che avversa un reale cambiamento, sia esso voluto da un Di Pietro o da un altro valido personaggio.

Mario Guarino

Mario Guarino è autore, con Giovanni Ruggeri, del best-seller "Berlusconi. Inchiesta sul signor TV" (1994) e de "L'Italia della vergogna", settembre 1995.

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