«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 7 - 31 Dicembre 1995

 

Riscattare la politica
 

 

Riscattare la Politica. È il primo obiettivo, la prima condizione inderogabile sulla quale fare perno per operare, a fondo, un tentativo serio di ripensamento e recupero della realtà nazionale/popolare. È un punto sul quale tentare un'azione progettuale che forse, oggi, è divenuta del tutto prometeica rispetto alle concrete condizioni entro le quali l'intera serie di valori concettuali e vissuti si trova a muoversi. Riscattare la Politica significa condurre ogni impegno, ogni volontà, ogni impulso essenziale oltre lo scoglio della corruttela, della marea egoistica ed illegale che hanno stravolto il significato autentico della vita associata. Ciò che di alto v'era nella prassi politica, nello strumento di direzionamento dell'interesse collettivo si è abbattuto sul muro cupo ed insormontabile della partitocrazia, della democrazia delle tessere, della logica funambolica.

La stagione consociativa, che oggi riappare sotto mentite spoglie, ha prodotto solo macerie. Macerie morali, macerie culturali, macerie umane.

È con tale abiezione esistenziale, con tale povertà che all'Italiano si è insegnato a convivere. Lo si è abituato, lo si è piegato, lo si è allevato.

E si è fatto dello Stato un ecosistema spoliticizzato, un organismo assurdo, surreale: una sorta di vuoto a perdere, una specie di recita soggettiva e senza apparenti copioni, comunque sempre nelle condizioni di garantire una certa cornice di interessi, altissimi.

Macerie, dunque. E il risultato che il cammino post-resistenziale del Paese ha in prevalenza determinato non si è comunque discostato dalla tendenza, diremmo strutturale, che ha in generale sostanziato il parallelismo storico delle democrazie capitalistiche occidentali. Il gioco ha avuto più sponde, si è condotto su più tavoli ma il movimento progressivo e la direzione non sono stati dissimili. Ovunque -oltre i vari livelli di degenerazione della vita pubblica- la funzione politica si è trovata nella condizione di non interpretare, secondo gli schemi più consolidati, il ruolo interlocutorio di cui la società civile ha per natura bisogno. È stato nella «scoperta» di questa ultima, nella teorizzazione di un suo «status» ontologico, che si è anzi individuato il fattore generale di spodestamento delle istituzioni statuali. Nella centralità del sociale, del consesso civile si è smesso di percepire uno sfondo da plasmare, una realtà a cui dare una forma. I campioni del contrattualismo hanno bensì esaltato la mancanza di forma, considerando la mancanza di contorni una «costante» utile e necessaria all'evoluzione dell'Uomo. La «società aperta» è, aldilà d'ogni ulteriore rilievo, lo sbocco ed il fine di questo meccanismo di delegittimazione del Politico, elaborato da tutta la letteratura sociologica e politologica di marca razionalista e liberale. Lo Stato diviene assente in un Mercato invece sempre più esteso, omnicomprensivo, afflittivo. Il Mercato è l'anima di una società sempre più globalizzata che non riconosce né razze, né tradizioni, né memorie specifiche. Nel Mercato, nuova monade metafisica assoluta, si fa risiedere il legame vincolante: il groviglio complesso di relazioni economiche, il dare/avere quale processo senza finalità superiori, l'estromissione di tutto ciò che non richiami l'opulenza.

Ed ecco, allora, che riscattare la Politica, svincolarla rispetto ad un modulo di giudizio che diventa sempre più diffuso e funzionale alla società dei consumi, è un motivo di lotta antagonista di incommensurabile spessore. Perché si tratta di strappare la rete oscura delle preclusioni, degli inganni, del sovvertimento dei dati reali che il potere del denaro ha steso e stende sempre più sui popoli. Specie in quelli compresi nell'Occidente più avanzato e più gremito dai segni di una mentalità mercantile e secolarizzata.

L' «evoluzione» della destra post-conflitto, in Italia, ce ne da una ulteriore e quasi scontata prova. Laddove, ad una consolidata -anche se non approfondita- visione programmatica di carattere dirigistico si è improvvisamente scoperto il «grandioso» panorama offerto dal liberismo, dalla «logica della concorrenza», dall'imprenditoria «sic et simpliciter», facendo sì che tutto il resto diventasse, automaticamente, cosa cattiva e dannosa. Anche questo è potuto succedere in ragione di un economicismo ingigantito oltremisura, di una brutalità concettuale cinica e sfrontata. Che non sta solo facendo correre i partiti verso il Centro, ma li sta sospingendo ben oltre, fuori dai «luoghi» della Politica, lungo il crinale della spettacolarizzazione e della latenza. Ecco, allora, la cifra che è incisa nella battaglia anticapitalistica. Perché è una battaglia contro «questa» storia e contro la «scientificità» dell'oppressione consumistico-edonistica. Un'oppressione che è instillata nei recessi comportamentali, nelle pieghe dell'abitudinario, nelle cose. Essa priva di un autonomo spessore figurale ogni mito, restringe ogni percorso anagogico -etico e spirituale- ed esilia la vocazione sanamente ed autenticamente politica nell'angolo dell'affabulazione. Per renderla illeggibile, dato che ne ha paura.

Roberto Platania

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