«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 1 - 29 Febbraio 1996

 

Il ritorno dei ciurmatori
 

«L'idea di dover soffrire fa paura al nostro popolo: e a chi gli ricorda questo elementare dovere di ogni razza avida d'imperio e d'avvenire, il dovere nazionale e sociale della sofferenza, l'italiano mostra i denti e maledice»

 Curzio Malaparte

"L'Europa vivente", Editrice La Voce, Firenze, 1923

 

 

Spira aria di farsa ma nel cielo plumbeo si scorge -ai più inavvertita- la tregenda. Le beffe si susseguono e il popolo bue, nella totalità, assiste inerte alle loro rappresentazioni. Che cos'è questa obbedienza, questa modestia, questa mansuetudine? Presa di coscienza, indolenza o non, piuttosto, insipienza e idiozia? Non siamo popolo, non siamo nazione. Fuori dalla storia. Senza radici, senza valori, senza princìpi. Sbandati. Non più in grado di provare delusioni, anzi, quasi felici nello sconforto. Passivi ed increduli, assistiamo allo sfiorire di tante speranze, alla mancata realizzazione di tante promesse, all'impossibilità di raggiungere quelle tanto avveniristiche vittorie fatte balenare come possibili mète nei programmi elettorali di tutti i partiti. Che ora si accingono a sottoporcele nuovamente. E così, come se nulla fosse accaduto, senza rimostranze, con docilità bambinesca, ci costringiamo a sgambettare ancora verso i seggi elettorali. Dimenticando le quotidiane peripezie, sorvolando sul fatto che gli incerti equilibrismi cui siamo costretti per non farci sommergere dai disagi della quotidianità, sono pur provocati da qualcosa, da qualcuno... La causa di essi dovrà pure avere un colpevole...

Fate caso a quanto è bizzarro il tempo che viviamo: gli unici che riescono a dipingere con tinte veritiere l'attuale situazione politica italiana, sono due personaggi che vengono definiti comici: Beppe Grillo e Roberto Benigni. E, come se l'imbecillità fosse nostra naturale caratteristica, ridiamo e tiriamo avanti. Ma i comici siamo noi e non facciamo ridere. Siamo senza memoria, senza il benché minimo ricordo di ciò che in tempi andati distingueva l'uomo: la dignità. Che è sempre stata, in ogni individuo, connaturata alla difesa dei propri diritti per cui, anche i potenti, in ogni tempo, han dovuto tenerne conto. Se essa dignità veniva perduta per qualche forzata motivazione, ciascuno operava duramente al fine di riconquistarla, sentendone l'imperioso bisogno. Era un'arma indispensabile. Per non sentirsi inferiori agli stessi animali che, seppur istintivamente, la posseggono.

Eclissato questo atavico moto dell'animo, nato con lo stesso apparire dell'uomo sulla terra, è davvero utopia sperare che si faccia avanti un gruppo di uomini in grado di seminare i germi della rivolta? - e questo è il tema di tanti conversari con amici... Che obiettano: come far capire agli italiani che il servilismo non può essere opposto all'alterigia? Come far capire ai giovani che non conoscono altro tipo di società che non è nell'attuale sistema -e con questi politici- che possono sperare di costruire il loro avvenire?

Certo, amici di "Tabularasa", è difficile riuscire. Il compito che ci siamo assunti come gruppo è arduo, ma abbiamo il dovere di insistere nell'adempimento di esso anche se non ci sarà concesso portarlo a buon fine. Ma dobbiamo tentare, impiegare tutte le nostre capacità con l'intensità che ci viene dalla vitalità intellettuale ancora integra, per scuotere le coscienze e dare giuste motivazioni al risentimento che cova, ancora pavido, nel senno degli italiani.

«Scende in campo», nuovamente, il ciarlatano accoppiato al «capo» degli anini, quello che -come ha scritto Curzio Maltese- è «il più telegenico ma anche il più vuoto». Non sappiamo se il giornalista abbia avuto modo di conoscerlo e frequentarlo per rappresentarlo con tanta precisione, ma gli possiamo garantire che la sua definizione calza a pennello. Chi lo ha conosciuto e frequentato per anni, politicamente, lo ha sempre considerato, infatti, vuoto, arrogante, calcolatore. Un fanatico adoratore degli specchi.

Vien da ridere quando sentiamo i soliti gabbamondo paventare essere egli, il Fini, l'iniziatore di un nuovo fascismo. Il fascismo era una cosa seria ed il «Nostro» -avendo a disposizione solo «colonnelli», già ragazzi di bottega, cresciuti senza arte né parte, sistemati a suo tempo presso il "Secolo d'Italia" affinchè potessero ricevere il minimo di foraggio necessario alla sopravvivenza- tutt'al più potrebbe realizzare la caricatura di un regime alla Pinochet (ma Pinochet aveva a disposizione veri generali). Al servizio potrà avere (l'ammiratore del col. North, il roboante Tremaglia, sta lavorando in proposito) anche un Di Pietro, altro personaggio ambizioso e narciso, disponibile a soprassedere al contenzioso di facciata che ha con il «Venditore», pur di uscire dai campi in cui è stato relegato. Poi, con l'aggiunta di qualche politologo organico -avete notato come tutti costoro stiano diventando possibilisti?-, qualche mozzarella, tatarella e fisichella, il beneplacito dell'alta finanza e della Confindustria (dove Di Pietro ha molte «entrature»), delle lobbies sioniste americane, e il gioco è fatto.

L'Italia in Europa? Sì, ma come inciampo e basto ingombrante per la Comunità. Al servizio del capitale d'Oltreoceano perché l'Europa non diventi Nazione.
 

a.c.

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