«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 1 - 29 Febbraio 1996

 

Dietro le quinte
 

 

Et voilà, Maccanicò. Dal cilindro dei prestigiatori della «seconda» Repubblica, modello transalpino, ecco il coniglio. Anzi, la volpe, astuta, esperta, conoscitrice delle poche italiche virtù e delle innumerevoli debolezze. Maccanicò, il burocrate discreto e riservato, sicuro di sé come può esserlo chi tanti ne ha conosciuto e frequentato dentro i palazzi e tante ne potrebbe raccontare. Di Filippo di Macedonia si scrisse: «[...] basti dire che fu padre di Alessandro». Del Nostro si potrebbe ricordare che fu segretario, al Quirinale, di Pertini e Cossiga, ministro con De Mita ed Andreotti, grande amico di Spadolini e di Cuccia. Scusate se è poco.

Il «nuovo che avanza» ha sfumature ed accenti sempre più antichi, lo sanno pure i bambini che siamo in piena restaurazione. «S'ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo»... non è una disfida, ma l'annuncio della grande, riparatrice, ammucchiata. Tutti insieme appassionatamente... Sembra fosse già deciso dal dicembre dello scorso anno, epoca del dibattito parlamentare e delle dimissioni di Dini divenuto sempre più ingombrante ed insopportabile ad entrambi gli schieramenti. Altro che elezioni! Bisognava fare un governissimo che non apparisse tale (e guarda caso il primo a proporlo fu un autorevolissimo esponente di Alleanza Nazionale), farlo discendere da un lungo travaglio e chissà quali -già, quali?- lacerazioni, perché solo così sarebbe stato digerito dalle cosiddette basi «militanti». Bisognava, cioè, comportarsi come i famosi ladri di Pisa, quelli che rubano di notte e di giorno fanno finta di litigare. Così fu. Così è. Duelli all'ultimo sangue sul palcoscenico trasformato in una sorta di OK Corral e, dietro le quinte, tarallucci, vino, abbracci, baci e, soprattutto, affari.

Una finzione o fiction, come usa dire oggi, in cui, tra le tante scene divertenti e memorabili, c'è stato persino posto per le dimissioni di Fisichella dal Gruppo parlamentare di AN per un giorno uno; la prodigiosa trasformazione dell'incolpevole Nanìa (est modus in nomine) in gigante della dottrina costituzionalista; la fulminea promozione dell'avv. Nanni Giuseppe detto Peppe, ancora in pieno periodo di espiazione-apprendistato, a maìtre a penser della nuova destra italiana: ovviamente, per un giorno uno.

Per non parlare delle macchiette sul versante sinistro: Prodi oramai afono, la maschera facciale perplessa e fragile che rimanda al magistrale Troisi di «credevo fosse amore invece era un calesse»; Veltroni invecchiato di vent'anni ed alle prese con una gastroenterite da abuso compensativo di nutella; D'Alema con i polmoni a mantice a forza di soffiare sulle dita. Insomma una vera manna per cabarettisti, vignettisti e per la redazione di questa rivista.

Comunque vada a finire (potrebbe infatti darsi che, sommersi da proteste e malumori difficilmente gestibili, i protagonisti di questa squallida commedia ci ripensino) quel che si doveva vedere s'è visto.

Destra e sinistra italiane... oggi come ieri. Forse il grande PCI di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, quando occorreva salvare il sistema che diceva di voler combattere le sue «regole», si faceva scrupolo di allearsi con la DC di Fanfani, Moro, Andreotti et similia! Destra e sinistra, come oggi il PDS ed il partito di Fini: divisi su tutto (senza, peraltro, che nessuno abbia mai capito concretamente su cosa) ma uniti nientedimeno che per rifare la Costituzione. Un marpione come Vespa commentava trionfante dallo schermo del TG1: «In fondo la storia si scrive anche così». Oppure la si mette sotto i piedi, umiliandola, svendendola o, semplicemente, cancellandola.

Lo scrive chi non troppo tempo fa sosteneva, su queste stesse pagine, che la Sinistra fosse un cantiere dove chiunque potesse portare il contributo della propria esperienza e fantasia. Non ho difficoltà a riconoscere l'errore di valutazione: solo gli imbecilli non lo fanno, convinti di non poter sbagliare mai. La Sinistra italiana, ahimè, è rimasta un vecchio rudere. I lavori, forse, sono stati appaltati, ma il cantiere non è mai partito: l'Italia è piena di opere incomplete di grandi incompiute.

Perché non dire una verità a tutti nota? Ovvero, che questa ondata di neo-consociativismo restauratore e truffaldino nasce molto meno da motivazioni nobili (rifare la Costituzione, riscrivere le regole, costruire la democrazia dell'alternanza ed altre frescacce del genere) ed assai di più dalle molteplici e reciproche convenienze. Non esclusi gli affari della Fininvest, l'operazione Mediaset, le preoccupazioni delle Coop, le voragini debitorie dei partiti, l'urgenza di uscire da Tangentopoli e di imbrigliare la magistratura, per continuare a fare il proprio comodo. Ogni tanto Pino Rauti azzecca la battuta ad effetto: «Tra poco tornerà Craxi da Hammamet e Di Pietro finirà in galera». Nella sostanza ciò è già avvenuto.

Qualcuno, anziché ridere, si dispera: così uccidono la politica. Macché, è già morta. Dov'è il popolo? Perché non urla la sua rabbia? Perché non li prende a calci nel sedere? Ma non c'è il popolo, c'è la ggente. O, come soleva ripetere il buon Angelo Manna, con toni e pause tutte partenopee, la popolazione, un fatto di numeri, di metri quadrati e di densità.

D'accordo. E le élites? Le minoranze, le avanguardie, gli ultimi che saranno i primi? Chi è pronto a rischiare? Quanti leveranno il culo dalle poltrone, davanti ai televisori dove scorre la fiction, per provare -almeno provare, perbacco!- a rendere la vita meno facile ai pupari ed ai pupi di questo incredibile spettacolo? Domande senza risposte, altrimenti vacillerebbe per la prima volta il mio fottutissimo ottimismo. Provocazioni. Perché non venga la quiete e di essa ci si appaghi. Più d'uno ci chiede: che fare? Può bastare crogiolarsi nella polemica? Basta una rivista? Datemi una leva e solleverò il mondo? No. Costruiamoci una leva e facciamo ciò che è possibile. Perché, a ben vedere, qualcosa è accaduto. Prima solitari, come certi lupi, abbiamo camminato un pezzo di bosco, superando trappole e lusinghe.

Poi il lupo ha ritrovato l'altro, ed un altro ancora ed è tornato il branco. Forse è tempo di vederci, di parlarci, di chiamare a raccolta tutti quelli che in qualche misura si riconoscono nello «spirito» di "Tabularasa".

Abbiamo detto e scritto mille e più volte qual è il collante ideale di questo branco. Non è più questo il punto, ma la necessaria e tempestiva verifica di un possibile, ulteriore, comune impegno politico. A te la palla, vecchia pellaccia. Convoca a marzo la riunione di cui si è più volte discusso e facciamo questa verifica. In fondo non ci costa nulla. Comunque, sarà stato un piacere esserci ritrovati, foss'anche per un giorno solo.

Epperò, se è difficile che una rivista possa fare la storia, è tuttavia certo che non la faranno gli attuali partiti e questa pseudo classe dirigente. Anche i teatri bruciano. E non tutti, come la Fenice, risorgeranno dalle loro ceneri.

 

Beniamino Donnici

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