«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 1 - 29 Febbraio 1996

 

Donne dei marinai
 

 

All'aurora, tutta la distesa del mare s'imporpora: e dove essa è rotta dai tagliamare o dai remi, ribolle argento vivo. Il paese, ancor fradicio dell'umidore notturno, sotto il primo sole sfolgora come fosse di cristallo.

Veduto di sulla cima del molo di ponente, il mare palesa tutti i segreti dei suoi fondali; le orate vi stemperano, coi loro sguisci, il sole; le aguglie i densi cobalti; i ciortoni gli smeraldi maiolicati. I fondali così tersi e trasparenti sembrano fantastiche sale di un palazzo incantato; le meduse gelatinose, bluastre, trasparenti, orlate di frangie iridescenti, coi lungi tentacoli periati, sembrano lampadari di vetro; se un fragolino vi saetta sopra con le sue squame di rubino, i lampadari s'accendono di vivide fiamme. Poco lontano c'è l'abisso verde, impenetrabile, misterioso, opaco, dove nei secoli s'è inabissata una selva di abeti, flotte di vascelli, navi, paranze.

Sulla cima del molo, ma solamente l'inverno, si danno convegno le donne dei marinai e dei pescatori, quelle possenti statue di pece, imbacuccate nei teli monacali, prolifiche, con la chiocciata dei figli attaccati alle gonne e quello piccolo in collo. Su ogni barca che passa sull'orizzonte esse veggono quella su cui viaggia il loro uomo, il quale ha scritto dal Genovesato che ha fatto carico per la Sardegna.

Di meraviglia in meraviglia, è passata buona parte del giorno e nessuna barca ha fatto rotta verso il paese: conviene ridursi dunque alle proprie case. Così fanno le donne dei marinai e dei pescatori, dopo aver detto tutte le sere invariabilmente: - II mare è perfidioso, è salato come le lacrime, è un malalbergo che da un momento all'altro può ridurre la gente sulla nuda terra.

L'estate, cerchereste vanamente queste donne sulle calate del molo di levante o di ponente, e non le trovereste nemmeno nelle darsene o lungo il canale. Esse, a differenza dei vecchi e permalosi Invalidi, non si tirano dalla parte di levante, ma restano a ponente, tra la moltitudine dei bagnanti, truccate alla moda estiva prescritta dai regolamenti comunali: camice bianco, cuffia smerlata, grembiuletto di bucato, scarpe scamosciate. Il viso rimane però tale e quale, arcigno e iodato, con gli occhi fieri smaltati di bianco. Esse sono le rivenditrici della menta, dei croccanti, delle pinolate, delle mele cotte. Anche il fantastico vernacolo, che da sbalzo alle loro conversazioni, tentano, come possono, di afforestierarlo, come dicono esse, di «appunzir-lo», cioè di fargli la punta, perché entri più spedito negli orecchi dei forestieri. Queste stravaganti venditrici ambulanti danno un particolare e forte colore di terrecotte, sullo sfarfallio delle sete altomare, dei verdi pisello, delle lacche carminiate, ai toni delle tenere membra carnicine, non ancora arrivate dai raggi del sole cocente. Il loro ombrello è un parapioggia nero dalle stecche sconnesse, una specie di pipistrello enorme, sfuggito dal tenebrore notturno e abbacinato dal sole, che contrasta con gli ombrelloni policromi, zebrati, a spicchi, a sfere, a losanghe, sotto cui meriggiano i bagnanti.

Sotto quel camice bianco ribolle il cuore salso della pesciaiola invernale, che porta la stadera sulle spalle come un guerriero l'asta e lo scudo; sotto la cuffia smerlata ribolle il cervello abituato alle sfrenature della fantasia e al peso degli assillanti pensieri. Costretti nelle scarpe scamosciate ci sono quei piedi statuari, potenti, assuefatti a pesticciare le prunache del bosco, le asperità delle scogliere. Quando, dopo aver tutto il santo giorno camminato sul sabbione infernale, ritornano alle loro casette basse lungo il canale, si tolgono, assai prima di giungere sulla soglia, gli abiti di rivendugliole estive e, in un attimo, ritornano quelle possenti statue di pece, imbacuccate nei teli monacali: e intorno a loro schiamazza la chiocciata dei figli, ai quali esse parlano con quel vigoroso linguaggio che insegnò loro la madre, in cui si specchia fedele il loro animo fiero e gentile.

Dopo essersi ingegnate durante l'estate sulla rovente spiaggia di ponente, e aver fatto, come le formiche, un modico riposto di cose necessarie per il lungo e desolato inverno, in cui non ci si può ingegnare altro che nel bosco con seccume di legna, esse ritornano all'opra dell'ago da vela e del guardamano, rappezzando vele o agucchiando reti.

Lorenzo Viani
"Gente di Versilia", Vallecchi Editore, Firenze, 1946

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