«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 2 - 31 Marzo 1996

 

L'inganno continua
 

L'accordo per il governissimo che sembrava fatto (il potente ministro dell'armonia lo dava addirittura per sottoscritto) è infine saltato. È già tempo di propaganda e comizi: le solite labili promesse accompagnate dalle invettive di rito nei confronti dell'avversario; le solite facce sorridenti e rassicuranti stampate sui soliti manifesti policromi; gli stessi aggettivi, le frasi ad effetto, gli slogans più volte utilizzati... poi il voto. E tutto ricomincerà come prima. Piaccia o non piaccia (ed a noi di "Tabularasa" la circostanza procura violentissimi accessi di idrofobia) mai come questa volta «lorsignori» ci hanno preso per il culo.

Quell'accordo sembrerebbe infatti destinato ad andare comunque in porto, appena archiviata la partita elettorale ed incassati seggi e rimborsi. Se così sarà, riusciranno a spacciarlo quale indispensabile al Bene comune: una sorta di «sacro» patto per rifare la Costituzione, riscrivere le regole o qualcosa di simile. Così, l'accozzaglia di marpioni che si autoproclama «classe dirigente» senza averne alcun titolo morale coglierà i classici due piccioni con una fava: chiudere finalmente la partita di Tangentopoli che rende il sonno agitato ancora a molti e propinare al «popolo bue», come usa dire il direttore, una manovretta da 100.000 miliardi che sarà a quel punto figlia di troppi padri, ovvero di nessuno.

Ma guardateli in faccia. Tenetele bene a mente queste facce! Quelle di destra, le altre di sinistra... anche dal punto di vista somatico sembrano fatte in serie. Prima repubblica, seconda: s'è superato persino il senso del ridicolo.

Sapreste indicare un nome, uno soltanto, che c'era nella prima ed adesso non c'è più?

A parte l'esule di Hammamet, che a furia d'essere additato come il colpevole di tutte le sciagure d'Italia, finisce per diventar simpatico! Andreotti è alle prese con un patetico processo che costerà miliardi e non approderà a nulla ma ha molti estimatori ed un erede tra gli «statisti» emergenti. Forlani sibila suggerimenti preziosi ora nell'orecchio di Casini, ora in quello di Mastella, ora di Gerardo Bianco. De Mita torna in campo senza veli, né ipocrisie. In seconda linea tutti gli altri, magari senza incarichi costituzionali ma con ruoli di primo piano nei vari partiti, alberi, cespugli...

Chi può chiamarsi fuori? Forse Alleanza nazionale zeppa di riciclati provenienti d'ogni dove ed ormai apertamente sponsorizzata dai grandi «boiardi dello statalismo assistenzialista», come ha recentemente sottolineato Angelo Panebianco sul Corriere? Insomma, quando leggeremo le liste sarà di tutta evidenza che il processo restauratore si è definitivamente concluso, grazie ai vari Dini, Maccanico, Berlusconi, Prodi, D'Alema, Fini, ma anche a quelle sterili opposizioni che, come già avvenuto in passato, esercitano più o meno consapevolmente una funzione stabilizzatrice.

Ecco, dunque, la grande omologazione, la palude: i suoi umori torbidi e malsani saranno alimento prezioso per il potere dominante che ha trovato ancora una volta il modo -ed ha avuto il tempo- di riprendersi da una crisi che sembrava irreversibile.

Vergogna. Mille volte vergogna per quanti si son seduti, assopiti, accontentati, qualche volta venduti.

Intanto cresce ovunque nel mondo un malessere sociale, economico, esistenziale di proporzioni mai viste, i cui esiti saranno devastanti se non si riuscirà a comprenderne le ragioni profonde ed a porvi rimedio. Morte, miseria, emarginazione, disperazione, presto sarà rabbia. Ci piace pensare ch'essa abbia il volto dei bambini massacrati dalla fame, dalle malattie, oppure macellati dai chirurghi per alimentare il grande mercato del commercio di organi. Si avvita su sé stesso questo capitalismo perverso e famelico. Forse morrà strozzato.

Ma, nel frattempo, contro coloro che senza pudore se ne proclamano paladini, tanto a destra quanto a sinistra, bisognerà far nascere un fronte del dissenso, una grande proposta antagonista.

In questa prospettiva, continuo ad essere persuaso che una rivista come la nostra è uno strumento necessario, ma da solo non basta più. Del resto, l'ipotesi o se volete il «sogno» di raccordare politicamente tutti coloro che non ci stanno, che son fuori dal coro mi sembra addirittura più a portata di mano, dopo quello che è accaduto.

A questa prospettiva personalmente lavorerò, con rinnovato entusiasmo, non appena sarà passata quest'altra «fruttata elettorale» e calerà il sipario sullo spettacolo da baraccone, davvero squallido e disgustevole, di queste settimane.

Domenica 21 aprile mi troverò itinerari più interessanti di quello che porta alle «gabine» elettorali.
 

Beniamino Donnici

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