«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 2 - 31 Marzo 1996

 

Ma chi era Luciano Leggio detto Liggio?

 

Dal rapporto «Riservatissimo, 3508» dei Carabinieri di Corleone nel 1963 e dagli atti della «Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia» (Doc. XXIII N. 2 - VI Legislatura), Volume quarto, Tomo sedicesimo, leggiamo:

 

«[...] Dopo la Liberazione, il nuovo clima, lungi dal procurare tranquillità e quiete al galantuomo ed al cittadino probo, ha favorito, invece, il risorgere delle cosche di delinquenza. [...] Dovendo parlare della mafia di Corleone, ci limitiamo a dire che essa trova le sue origini e la sua riorganizzazione nel 1943 all'indomani dell'occupazione alleata. [...]

«Era noto che ogni sera il Cortimiglia soleva comprare del companatico presso un negozio di alimentari sito nella famigerata via Puccio teatro della cruenta sparatoria che il 6.9.1958 in una scena da western aveva visto cadere tre dei più attivi elementi del gruppo Navarriano (cosca nemica di Liggio, N.d.R.). Fu lì che la sera dell'11.2.1960, alle ore 19,15 circa, lo attesero al varco. Sovrintendeva all'imboscata il n° 1 Leggio Luciano con il suo aiutante Ruffino Giuseppe ed i killer Bagarella Calogero, Riina Salvatore, Provenzano Giovanni, Provenzano Bernardo, cugino del Giovanni, Franco Mancuso ed altri di minor importanza rimasti al largo a bordo delle macchine che con i motori accesi attendevano il ritorno degli esecutori. [...]». Così i Carabinieri. Poi, la sentenza di rinvio a giudizio emessa il 14 agosto 1965 dal Giudice istruttore del Tribunale di Palermo, così recita: «Leggio Luciano, imputato di associazione per delinquere aggravata (art. 416 quarto comma e quinto comma C.P.) per essersi associato allo scopo di commettere più delitti; Leggio Luciano, imputato del reato di cui agli artt. 56, 110, 112 n. 2, 575, 577 nn. 3  e 4 C.P. in relazione all'art. 61 per avere in concorso con Bagarella Calogero e Provenzano Bernardo, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad uccidere Streva Francesco Paolo, agendo con premeditazione e per motivi abietti, e promuovendo ed organizzando esso Leggio la cooperazione del reato e dirigendo la attività dei correi; Leggio Luciano, imputato di associazione per delinquere aggravata (art. 516, 4° e 5° comma C.P.) per essersi associato al fine di commettere più delitti scorrendo in armi le campagne e le pubbliche vie; Leggio Luciano, imputato con Bagarella Calogero, Provenzano Bernardo, Riina Salvatore, Marino Bernardo del reato di cui agli artt. 575, 577, nn. 3 e 4, 61 n. 1, 110, 112 nn. 1 e 2, 81 C.P. per avere, in concorso fra loro e con altri individui, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ucciso mediante colpi di arma da fuoco, Streva Francesco Paolo, Pomillo Biagio e Piraino Antonino».

Ma vediamo come viene analizzata la sua posizione.

«Leggio Luciano: appartiene ad umile famiglia di contadini di Corleone ed inizia la sua attività criminosa come ladro di covone di grano. Nell'agosto 1944 viene sorpreso in flagrante dalle guardie campestri che, aiutate dalla guardia giurata Comaiani Calogero, procedono al suo arresto. In quella occasione vengono pure arrestati Giovanni Pasqua e Vito di Prisco il quale viene «indotto» da Luciano Leggio a confessare di essere unico responsabile del reato. La «spontanea confessione» di Di Prisco non serve però a Leggio che viene egualmente condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Dopo quella prima dura esperienza il ladro Luciano Leggio decide di dedicarsi ad attività più lucrose e meno rischiose e riesce a farsi assumere come campiere dal dottor Corrado Caruso, proprietario di una azienda agricola in contrada «Strasatto» -territorio di Corleone e Roccamena- subentrando al campiere Punzo Stanislao, ucciso il 29 aprile 1945 in località Gelardo di Roccamena ad opera di ignoti.

«Mai il nome di Leggio Luciano fu messo in relazione con tale omicidio però non vi è dubbio comunque che l'eliminazione del Punzo, individuo non legato alla mafia, consentì al Leggio Luciano di diventare, all'età di venti anni, campiere di una importante e ricca azienda agricola.

«Non è stato possibile accertare l'esatta natura del rapporto instauratesi fra il dottor Caruso ed il giovane delinquente, che già da allora cominciava a farsi notare per la sua personalità aggressiva e violenta.

«Dalla esposizione di Romano Rosa, vedova del dottor Caruso morto il 3 marzo 1951 si ricava soltanto che il predetto, quando tornava dalla campagna, era avvolto di pessimo umore, tanto da volersi appartare dai suoi stessi congiunti.

«In considerazione dell'indole prepotente ed avida di Luciano Leggio ampiamente dimostrata attraverso i suoi precedenti, si può a ragione ritenere che il malumore del dottor Caruso era dovuto alle angherie, alle intimidazioni e alle sopraffazioni che era costretto a subire ad opera del suo pericoloso dipendente.

«Nel periodo 1947-1949 Luciano Leggio forma oggetto di indagini dei Nuclei Speciali di Polizia impegnati in quel periodo nella lotta contro il banditismo ed il 18 marzo viene denunziato per l'omicidio di tal Piraino Leoluca, ucciso il 7.2.1948.

«Il 18.12.1949 viene denunziato per l'omicidio della guardia rurale Calogero Comaiani, uccisa il 27 marzo 1945 (a distanza di appena sei mesi dal giorno in cui aveva proceduto all'arresto di Leggio) e del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso il 12 marzo 1948.

«Luciano Leggio si sottrae all'arresto e si da alla latitanza che si protrae per ben 12 anni ad eccezione di un breve intervallo tra il 1957 ed il 1958, in cui ritorna libero a Corleone.

«Viene quindi denunziato per l'omicidio di Michele Navarra e Giovanni Russo ucciso il 2 agosto 1958, di Marco e Giovanni Marino e Pietro Mauri uccisi il 6.9.1958, di Carmelo Lo Bue ucciso il 13 ottobre 1958, di Vincenzo Cortimiglia ucciso l'11 febbraio 1961, e di Riina Paolo ucciso il 24.7.1962.

«Il ladro di grano riesce così a diventare un temuto capo-mafia.

«La lunga latitanza vale anche a dimostrare quali enormi profitti abbia ricavato Luciano Leggio dalle sue imprese criminose. È sufficiente pensare alle ingenti somme necessariamente spese in tanti anni per mantenersi, per spostarsi continuamente da una località all'altra per ricoverarsi o soggiornare in costosi luoghi di cura, per retribuire informatori e favoreggiatori, perché si abbia una idea approssimativa e sicuramente inferiore alla realtà, dei cospicui guadagni realizzati da Luciano Leggio sfruttando convenientemente la sua posizione di capomafia, mediante l'estorsione praticata nelle più svariate forme, dall'imposizione diretta alla «mediazione» degli affari, ed all'intervento gratuito in lucrose attività commerciali. L'arricchimento di Leggio Luciano non può avere altra spiegazione.

«Ed è da escludere che egli possa essere stato in qualche modo aiutato dai suoi congiunti, perché costoro che non ne avrebbero avuto comunque la possibilità, anziché depauperarsi hanno anzi notevolmente migliorato le loro condizioni economiche, dimostrando così di aver beneficiato dell'arricchimento dell'imputato. [...]

«Risulta altresì provato, attraverso le deposizioni di Traina Angela, Plaia Camilla, Aiello Maria, Cavadi Agostino, Marchetta Salvatore e Di Trapani Leonarda il vincolo associativo di Luciano Leggio con Marino Francesco Paolo, La Mantia Gaetano, Sorisi Leoluchina, Leggio Maria Concetta, Lauricella Giuseppe, La Rosa Antonino, nonché con Riina Salvatore.

«Indipendentemente dalle responsabilità dell'imputato o in ordine ai reati specifici attribuitigli, si ha nei suoi confronti la piena certezza della sua appartenenza alla mafia e della sua qualità di capo mafia di Corleone, legato come si è visto nei procedimenti penali contro Angelo La Barbera più 42 e Pietro Torretta più 120, ai maggiori esponenti della mafia tra i quali, i famigerati Greco della borgata Ciaculli. [...]»

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