«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 3 - 31 Maggio 1996

 

I valori sui banchi del mercato
 

«A coloro che uccidono i figli della Patria, date ancora dei figli e sempre migliori. La Patria deve risorgere. Noi abbiamo tentato seguendo una strada, altri seguendone un'altra. Noi non siamo riusciti. Faccia Iddio che il sangue versato da entrambi non abbia bagnato invano la nostra terra. Faccia sì che la nostra Patria risorga. Per i morti e per coloro che vivranno»

Giulio Bianchini, anni 18 (II Regg. Cacciatori della RSI)

dal «Testamento spirituale» fatto pervenire ai propri genitori prima di essere fucilato il 6/5/45

 
 

II 21 aprile han dato la via ad un vaccaro, concio di vino -che imperversa fra le Alpi Orobie e le Prealpi Veneto-, ed ecco che si movimentano papi e presidenti, vescovi e notabili, circoli e parrocchie e il regime minaccia l'intervento della forza pubblica.

A Viareggio, molti anni fa, c'era una figura caratteristica, «Amato», il quale, dopo aver smaltito le sbornie sui marciapiedi, si poneva al centro degli incroci a «dirigere» il traffico. Quando arrivavano i Carabinieri che lo costringevano a desistere dall'impresa, egli, con sguardo altero, misurandoli dalla testa ai piedi, li apostrofava: «Andate a lavorare, disertori della vanga!». Purtuttavia i militi, benevoli, dopo averlo preso delicatamente sottobraccio, lo «guidavano» verso la bettola più vicina e bevevano con lui. «Amato», però, non è mai stato oggetto di discussione nel consiglio comunale di Viareggio; il vaccaro, invece, non solo è sulle prime pagine dei giornali ma, addirittura, il neo-presidente della Camera, Violante, paventa il suo comico deambulare. Tanto intimorito da chiedere -seppur indirettamente- la solidarietà della «destra» ed invitando gli altri a «riflettere sulle ragioni di chi scelse Salò». E qui casca il miccio - si dice dalle nostre parti.

Non mi interessa che Tremaglia abbia pianto dopo aver ascoltato le «riflessioni» di Violante. Il «burbero» Mirko si mette a piangere anche se un bimbetto gli da del bischero. Tanto per chiarire: qualche anno fa l'ho visto piangere, senza ritegno (usciva da un ristorante a sera tarda, quindi, da buon bergamasco...) perché il figlio «era in pericolo»: stava prestando servizio militare di leva in Alta Italia. Questo accadeva orsono una dozzina di anni e se la «maturità» della senescenza l'aveva già raggiunta allora, è facile immaginare quanto «maturo» egli oggi sia. Così come non do alcun peso alle dichiarazioni del saccente Fini riguardo ai «giovani che si schierarono dalla parte sbagliata».

E Violante? Violante... Violante... Mi sovviene alla memoria un Violante, abituale cliente -circa quarant'anni fa- di uno dei ristoranti allora tra i più raffinati di Viareggio. Tanta era la sua bontà che, quando vi si recava, aveva cura di ordinare per il proprio cane barboncino un filetto «al sangue». Filetto che doveva essere servito in un piatto di porcellana. Un dubbio ora mi tormenta: sarà stato lo stesso Violante?

Ecco, questi tre personaggi hanno inscenato la commedia non solo per l'inconfessata tentazione che li induce al desiderio di dar vita ad un nuovo pateracchio di «unità nazionale», ma anche per reprimere, «uniti» e se necessario con la forza, atti inconsulti da parte di quei cittadini che pur oberati pesantemente dalle tasse, possono anche vantare il primato dell'evasione delle stesse. Cosa costa se per raggiungere questa «unità» si fanno versare due lacrime? Oltre a ciò, basta intervistare qualche «ragazzo» della RSI, magari «inserito», quindi, disponibile, è il gioco è fatto. La cosiddetta destra si cheta, il vaccaro è isolato e voi, evasori del Nord-Est... occhio! Ma è un occhio strabico, che non riesce a vedere il Sud, il Sud che potrebbe scoppiare da un momento all'altro, il Sud che da decenni sputa sangue e versa lacrime. Ne vedremo delle belle!

Ma torniamo ai ragazzi che «sbagliarono» e per i quali si richiede riflessione e comprensione. Noi ce ne andammo in RSI (altri sui monti) con i calzoni corti. Abbiamo vissuto la nostra fanciullezza, o la nostra giovinezza, in modo tale da suscitare invidia nelle generazioni che ci hanno seguito. Andammo in RSI che non ce ne fregava nulla del fascismo, anzi, non sapevamo neppure che cos'era. Sapevamo però che cos'era la Patria, che cos'era l'Onore, che cos'era il rispetto per la parola data, quindi, chi era il nemico e chi l'alleato. Sui libri avevamo imparato ad amare l'Italia, le poesie ce la rendevano luminosa, essa era la nostra fiaba. A scuola, i nostri insegnanti, ci avevano educato a venerare gli anziani, ad aiutare gli indigenti, a difendere i deboli. E partimmo. Eravamo in guerra e volevamo difenderla, l'Italia. Dintorno le eran cadute le mura e mentre gli eserciti di tutto il mondo ne calpestavano il territorio, umiliando le nostre genti, noi ci ricordammo -l'avevamo appreso dai libri- che anche Sparta era senza mura ma aveva i suoi giovani a difenderla. Sentimmo impellente il bisogno di mettere in atto gli insegnamenti ricevuti e corremmo ad indossare una divisa.

Siamo stati vinti? Sì, è vero, ma non abbiamo mai trattato la resa. Da più di cinquant'anni siamo circondati da un ferreo cerchio di odio, costretti a vivere nella ristrettezze, ad osservare negli occhi dei nostri cari l'impronta della sofferenza, ma siamo rimasti ciò che già eravamo nella nostra adolescenza: uomini. Quali forse non se ne vedranno più. Di ciò rendiamo grazie ai nostri persecutori. Siamo gli ultimi depositali di Valori che non possono essere etichettati, gli ultimi esecutori di comandamenti che si perdono nella notte dei tempi. Tramandatici da uomini che non misero mai in vendita, sui banchi del mercato, l'Onore e la Dignità.

a.c.

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