«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 3 - 31 Maggio 1996

 

Facciamo capire agli altri che cosa vogliamo
 

In occasione dell'ultimo incontro tenuto da "Tabularasa" nel mese di marzo constatammo che il clima della competizione elettorale esercitava un peso tutt'altro che trascurabile sulla discussione politica in atto. La cosa era da ascriversi alle ovvie passioni che, in un certo qual modo, sono per natura riconducibili al confronto sui numeri: in Italia, benché se ne possa sostenere il contrario, la corsa alle urne suscita sempre qualcosa. In special modo in quell'area politico-culturale che costituisce -ben si rileva- il nucleo essenziale dei lettori.

A spoglio avvenuto si possono già trarre le linee conduttrici di un ragionamento a tutto campo sulla situazione determinatasi dopo il 21 aprile. Certo, per farlo con la dovuta analiticità, occorrerebbero i necessari computi statistici, le coordinate geo-elettorali, i flussi dei voti. Ma questo è riservato soprattutto alle segreterie dei partiti «che contano», agli «osservatori» qualificati ed interessati, alla Confindustria e quant'altri. Senza scomodare perciò le cifre, è tuttavia fattibile -decantando il più possibile gli umori- porre in evidenza qualche punto fondamentale legato ai fatti.

Il primo che viene in mente è riferito a quanto si è sostenuto nell'imminente vigilia di questa tornata elettorale. «Queste elezioni non ci interessano» è stato un po' il filo conduttore, esplicito e reiterato, di diversi interventi. Mancavano, nel dire la loro, quei redattori impegnati in prima persona nella campagna elettorale, seppur su opposte sponde: si è trattato di scelte di cui costoro hanno dato conto su queste pagine, incontrando o meno il consenso dei lettori.

Tornando a chi non si è schierato, viene spontaneo raffrontare -per riflettere insieme, senza posizioni precostituite- quella tesi con i risultati che stanno a tutt'oggi modificando, forse non insensibilmente, il panorama ideale da cui Carli e tutti noi proveniamo.

Viene naturale, nei fatti, domandarci quanto possa essere stato pagante sposare a tutti i costi la tesi del «progetto», del coinvolgimento anche umorale nell'arena politica, del «fare politica» in senso lato, senza porre attenzione non tanto ad ipotesi di dialogo esasperanti e frustrate con altri interlocutori quanto a quel che succedeva in casa nostra. Fatto peraltro dimostrato dallo scampolo di lettori presenti a Lido di Camaiore, che mi pare indicasse non velatamente un richiamo al realismo politico.

"Tabularasa" avrebbe certamente abdicato al proprio scopo ed al proprio carattere se si fosse sbilanciata acriticamente verso il Movimento Sociale; se la testata avesse esibito una vocazione tatticistica, carrieristica e troppo legata alle contingenze si sarebbe tradita e forse -seppur in buona fede- in un certo qual modo svenduta. È una considerazione che darei per scontata. Così come, però, presumerei scontato rivolgersi politicamente e dialetticamente ai grandi nodi del momento storico attuale usando maggiore sensibilità ed uno spirito critico un po' meno in odor di penitenza.

Credo sia opportuno -e non troppo disdicevole- mettere in primo piano che una certa tendenza a «farci male» può anche apparire non un fattore positivo di riflessione culturale ma una specie di porto delle nebbie, pessimistico, intimistico e fondamentalmente incompreso. Al punto che la vivente espressione di questa forma mentis rischia di congiungere agli atti estremi di sdegnosa coerenza una sorta di grande inimicizia per la politica per quella che è in sé: arte del possibile, costruzione di un destino comune, punto di incontro tra etica collettiva ed istanze individuali. In questo senso, complessivamente inteso, si rende inderogabile affrontare la scelta: se essere cioè –comunque- una comunità élitaria, che dirama ad un uditorio più o meno caratterizzato degli impulsi teorici ed ideali, rifuggendo dalla militanza di partito, o intendere invece il proprio sé e quel certo richiamo all'azione, che affiora di continuo, come il primo valore di riferimento. È un punto di svolta che riguarda non solo questa rivista ma anche altre iniziative di analogo segno, nella consapevolezza di rischi comuni e non trascurabili.

Prender parte ad un processo di integrazione politico-organizzativa significa spesso fare i conti con gerarchie di partito ignoranti, ottuse, parassitariamente vincolate alla data delle elezioni. È una regola, questa, che vale per tutto il panorama delle opzioni possibili; si potrebbe dire che è un male italiano, per eccellenza.

Astenersi dall'impegno in prima persona, cultori della fides suadenda, è un'altra strada. Quella della presenza pervasiva, metapolitica, fondata su una ricerca teoretica, dottrinalmente complessa, proiettata su un piano epocale. Essa consisterebbe in una visione dell'intervento sulle cose in virtù di una polarizzazione delle grandi direttrici, un qualcosa che assomiglierebbe ad un laboratorio dove si maneggerebbero le fonti della semantica politica. Ma anche una piccola «torre d'avorio», dove alla grandiosità narrativa ed alla bellezza dei ragionamenti si affiancherebbe male una sutura tra parole ed atti concreti, quelli immersi nel magma della politica di tutti i giorni.

A queste due condizioni denotative -che hanno in sé un valore anche strategico- si va ad aggiungere un ulteriore fattore. Vi si deve dare il dovuto risalto, perché mette in moto la capacità di essere tempestivi. Sia "Tabularasa", con le sue pagine, sia altri «veicoli» dell'area fascista, nazionalpopolare e della destra radicale hanno rappresentato il bacino d'utenza che stava «fuori», che si era allontanato con gli anni dall'attività politica in senso stretto e si era dedicato all'impegno in situazioni circoscritte, delimitate non poche volte dalla voglia di una «tranquillità» fatta di attese.

Oggi qualcosa si sta forse rimettendo in moto, magari sotterraneamente, emotivamente: è però quel qualcosa che induce, appunto, a smetterla di coltivare i sogni nel cassetto o addirittura in una dimensione inattingibile, e che porta per forza di cose a giocare sul terreno della decisione.

Per queste ragioni, sarà importante ridimensionare i toni crepuscolari, i rimpianti e le strazianti malinconie, per domandarci reciprocamente chiarezza, equilibrio e voglia di farci sentire, facendo capire agli altri cosa vogliamo.

Roberto Platania

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