Riprendere la lotta
Nell'agosto del 1995 intervenni nella polemica
provocatoriamente sollevata sulle pagine de “il Giornale” da Stenio Solinas.
Sostenevo che il tempo che andava declinando verso il Terzo Millennio
riproponeva perentoriamente ed in maniera definitiva, i termini dello scontro
tra l'essere e il da sein, tra l'uomo e chi ha preteso di manipolarne -in nome
del progresso- la natura. Parlavo volutamente di scontro e non di antitesi,
negando significato e valore allo stucchevole ed artificioso gioco dialettico
-tanto caro agli hegeliani- che pretende il suo superamento attraverso una
sintesi. «Qualunque sarà l'esito dello scontro -affermavo- non ci saranno spazi
per le normalizzazioni, non si disputerà di regole, non ci si mescolerà con il
buonismo. E soprattutto non si parlerà più di destra e di sinistra». Ed ancora.
Rifiutando l'espressione «sindrome da DC» parlai di «necrofilia». Non potendosi
diversamente intendere la laboriosa operazione di rianimazione «bocca a bocca»
attuata dai politici agenti in nome della liberaldemocrazia e del Mercato.
Proprio quelli che -tra un pellegrinaggio alla City ed una visita in Sinagoga-
decidevano (per dirla alla Zecchi) la «centrificazione forzata».
Il mio intervento venne regolarmente -e giustamente- censurato. Il 30 marzo 1996
nell'incontro che ci vide insieme a Lido di Camaiore riproposi, insieme alla
necessità di «ridisegnare» il volto del nemico, i termini dello scontro. E ci
trovammo d'accordo. Facemmo, allora, le nostre analisi: che prescindevano da
quelle che avrebbero potuto fare i piagnoni del dopo-voto. Di dopo-voto noi non
intendiamo parlare: anche -e soprattutto- perché non ce ne frega niente. I nuovi
scenari in realtà sono vecchi. E, poi, noi vogliamo tornare ad essere
protagonisti di Storia. E per farlo dobbiamo essere in grado di far discendere
dalle analisi il progetto e dal progetto la costruzione dell'azione. Partendo,
dunque, da una puntuale analisi della situazione politica italiana
caratterizzato da un sempre maggiore appiattimento di tutte le formazioni
politiche -e progressiste e conservatici- su posizioni centriste e
liberaldemocratiche, da una confusione «culturale» dilagante che provoca con
l'abbandono delle specificità smarrimenti e caduta di tensione ideale specie tra
i più giovani, dalla devitalizzazione delle energie «rivoluzionarie»
assoggettate anch'esse al processo di omologazione voluto ed imposto dai «poteri
forti» attraverso i quali si esercita il dominio mondialista, riteniamo che sia
nostro dovere assolvere ad un preciso compito storico ponendoci come funzione di
riferimento e di orientamento per quanti -indipendentemente dalle collocazioni
di schieramento- sono ancora in grado di esprimere potenzialità di resistenza.
Per anni abbiamo rifiutato ogni forma partitica. Per anni ci siamo incontrati
fuori e al di sopra degli schemi non preoccupandoci delle diversità di
schieramento di quanti pur continuavano a riconoscersi nell'eresia di
“Tabularasa”. Anzi, rispettando quelle diversità come un dovuto tributo alla
libertà ed all'autonomia. Ma c'è il tempo per ogni cosa. Ora è il tempo di fare
quadrato e di munirci di una precisa linea politico-culturale. Di un progetto,
appunto. È tempo di riscoprire il Politico che non si cela, certamente, tra
volti di plastica, labbra e culetto, barbieretti pugliesi, rospi e mortadelle.
Il Politico che non potrà mai avere a che fare con il buonismo i cui rigurgiti
infastidiscono e preoccupano. Anche perché il loro buonismo non impedirà
-comunque- ai magistrati di continuare a seguire la via giurisdizionale al
potere. Un potere (e se ne rendano conto una volta per tutte i Vito Errico e i
Guarino) di cui avranno a temere non i corrotti, non i tangentisti, non i
mafiosi ma gli antagonisti. Coloro, in breve, che rifiutano ogni sorta di
omologazione ed ogni forma di dominio, espressioni dei «poteri forti» nazionali
e supernazionali. Un argomento, quello dei «poteri forti» che infine dovremo
affrontare sino in fondo perché si sappia quali sono le realtà che costituiscono
l'«ordine mondiale», facendola finita con i pressappochismi di maniera o le
enunciazioni ideologiche. E dovremo farlo per disvelare e denunciare quel
sistema criminale che costituisce l'unico, vero, autentico nemico dei Popoli.
Per combattere il nemico su posizioni vincenti bisogna ben conoscerlo. Voglia di
nemico, dunque. Voglia di contrapposizioni nette: tra chi lavora e chi sfrutta,
tra chi si batte per la difesa di valori e di ideali e chi cinicamente opera al
servizio degli apparati del potere mondialista. Tra chi crede nella circolarità
della «Città del dono» e chi fa usura; in nome e per conto della Banca, della
Loggia, del Mercato. Dei Brothers, insomma.
Basta con i pencolamenti, con i pendolarismi, con le scelte improvvise quanto
incoerenti di «posizioni» altre. Di cui ci si innamora. Cosa significa sentirsi
gratificati perché qualche soggetto del «gruppo» (?!) viene messo in lista in
Rifondazione o viene guardato con benevolenza da qualche tollerante
liberaldemocratico di sinistra? Piantiamola con le cazzate degli «sradicati», di
coloro che hanno perso la loro identità ed hanno preteso di andarla a ricercare
nei topoi disperanti del Nulla. Abbiamo bisogno di uomini e, quindi, di ribelli
e di eretici che sappiano interpretare le esigenze del Popolo, che vogliano
quantomeno proporsi come avanguardia di Popolo. Sempre che non si preferisca
continuare a delegare agli alchimisti della «politica» -agli usurpatori
istituzionalizzati che operano da sempre contro la Comunità nazionale- la
ricostituzione dello Stato... Se l'unica Rivoluzione possibile è quella
antropologico-culturale, l'unica azione possibile è quella «movimentista».
Non c'è bisogno di troppe parole, di lunghi e noiosi discorsi, di saper scrivere
in maniera acconcia, di fare saggistica.
Fare Movimento non è roba da intellettuali.
Muoversi fuori dai sentieri tracciati e passare -jüngerianamente- al bosco.
Tornare, poi, in trincea per essere pronti alla sortita ed al contrattacco.
Riproporre lo scontro in termini di antagonismo totale. Contro i partiti, i
sindacati, gli apparati dobbiamo riaffermare il principio della partecipazione
popolare alla ri-costituzione ed al governo dello Stato.
C'è spazio per operare nell'Area vasta che non è rappresentata dai bottegai, dai
banchieri, dai finanzieri, dai palazzinari, dagli speculatori, dagli uomini di
spettacolo, dai magistrati ma dal Popolo che lavora, che soffre, che dissoda i
campi, che opera in consonanza con la terra, che vive in rapporto organico con
la natura, che costruisce ciò che è destinato a durare e che quindi non può
essere fatto con usura. Vogliamo continuare ad essere schiavi dell'oro o ci
decidiamo a trasformare l'oro in acciaio? Torniamo, allora, a Sud di un'Idea,
riscoprendo il soggetto politico «sudista», raccordando la rabbia e la
disperazione dei meridionali con la rabbia e la protesta di quanti -al Centro e
al Nord- rifiutano lo Stato-padrone, l'arroganza di una razza-padrona fatta di
parvenus della politica e di riciclati del consociativismo.
Attraverso la provocazione federalista noi possiamo e dobbiamo essere capaci di
effettuare il «raccordo» che consenta il superamento dello scontro tra gli
egoismi dei Popoli «ricchi» e le insoddisfazioni dei Popoli «poveri».
Attraverso la riproposizione della concezione comunitaria e dei suoi valori (mai
riconducibili alla logica dell'Utile) noi possiamo spingere in direzione del
superamento della conservazione delle «rendite di posizione» nate dallo
sfruttamento immorale del Sud detto non progredito (perché rifiuta
l'omologazione progressista) ed allo stesso tempo indirizzare verso forme di
solidarismo popolare e di lotta quanti al Nord non sono stati catturati dalle
logiche «calviniste» cui s'ispira l'imprenditoria settentrionale. Sul piano del
«movimentismo» si deve partire dall'osservazione del rispetto dell'autonomia
delle realtà antagoniste già operanti sul territorio per essere in grado, poi,
di coordinarle organicamente e di organizzarle, quindi, in un Movimento Politico
che si ponga come obbiettivo di lotta la liberazione dei cento Popoli che
costituiscono con le loro differenze reali il connettivo «forte» della Patria
italiana che si pretese unificare con tecniche colonialiste senza mai riuscire
ad unire idealmente e politicamente.
Ri-fondazione, dunque, dello Stato in forma federale, nel rispetto di tutte le
autonomie popolari. Lo Stato -e quindi la Patria che lo precede e lo supera- si
ri-costituisce fuori dalle istituzioni, lontano dalle regole imposte dai
sedicenti rappresentanti di un Popolo che non c'è. Che poi sono i rappresentanti
delegati dalle lobbies del Dominio...
Diamogli addosso. Lasciamo il «pianto che paga» agli altri, agli usurai ed agli
sciancati della Storia. Ai cupi. È anche tempo di riscoprire il Gai Saber.
Paolo Signorelli
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