«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 3 - 31 Maggio 1996

 

le lettere

Necessità di un vento sovvertitore e distruttore
 

Povero paese, il nostro, caro Carli, «nave senza nocchiero in gran tempesta», già in passato definita «bordello», dove un popolo bue sa esprimere di malavoglia in tutte le istituzioni i propri rappresentanti che si merita. Dai tempi del liceo ricordo due versi: «In mare irato, in subita procella, invoco te, mea benigna stella». È latino? No, è italiano. È italiano? No, è latino! E invece è tutti e due, due facce e due realtà, ambiguità, compromesso: due verità e due falsità!

Di questa mia ne faccia quello che crede, se non vuole o non lo può, la getti; ma se pensasse di ospitarla su "Tabularasa", la firmi, per favore, con lo pseudonimo che per la prima volta, e presuntuosamente, mi concedo. Altrimenti la cestini. È meglio. Non mi fido là dove libertà è licenza, dove democrazia è altezzoso predominio della quantità sulla qualità; dove tutela dei diritti è becera e villana elemosina e demagogico assistenzialismo; dove c'è assoluto garantismo per «le quattro D» -Deficienti, Delinquenti, Drogati, Disonesti- ma regime poliziesco e inquisitorio per la gente per bene che lavora, che può essere quasi impunemente rapinata, sequestrata, diffamata, vilipesa, tassata e tartassata, marchiata ad libitum come colpevole e buon per essa se –dopo- saprà dimostrare che è innocente, quando sarà ormai coperta di fango e rovinata per sempre. Come fa a fidarsi? Questo voglio dirle: io e lei siamo gente qualunque, probabilmente non possediamo la ricetta per sanare i grandi mali del nostro Paese, o, se la possediamo, ce la teniamo per noi volenti o nolenti come utopica illusione ed aspettiamo l'affondare del tutto.

Ma una cosa credo che sia ben chiara a tutti, anche a gente qualunque come noi, anche ai più sprovveduti: sono cinquant'anni che ci hanno «liberato» dal famigerato e bieco regime; sono cinquant'anni che viviamo impelagati con grandi e dilaganti problemi quali la corruzione, la partitocrazia, la delinquenza organizzata e quella disorganizzata -ma efficientissima-, la droga, il debito pubblico; sono cinquant'anni che rimbalziamo fra leggi, leggine e decreti; tra finanziarie e manovre economiche; e questi grandi mali del Paese sono andati crescendo inesorabilmente fino alla condizione attuale, incontrollabile e fallimentare. Governi, partiti, forze sociali hanno sempre e soltanto, per esempio, aumentato la benzina e le tasse, tagliato sulle pensioni e sulla sanità; abbiamo avuto un governo di tecnici e abbiamo detto: «ora siamo a posto!» e, infatti, puntuali come il destino, hanno aumentato tasse e benzina, tagliato sulla sanità e sulle pensioni! Anche loro come gli altri, come sempre. Niente di nuovo sotto il sole: cambiare tutto perché tutto resti com'è. Più c'è torbido e più c'è da pescare per i furbi.

Ecco, volevo dire: la cura non l'abbiamo, ma una cosa è certa: se con queste cure il male è cresciuto a dismisura, senza freno né controllo, è verità lapalissiana che le cure erano inefficienti ed inutili; leggi, leggine e decreti, manovre e compagnia ballante, semplice fumo negli occhi. Non si sa, non si può, non si vuole! Che altro dire? Quando un organismo, che è fatto di cellule, tessuti e organi, si ammala di un cancro, nel superiore interesse della sua sopravvivenza, sia pure con dolorosa mutuazione, il chirurgo taglia e toglie e, se per un miliardo di cellule degenerate e maligne, togliendo un organo ne distrugge un miliardo di sane e normali, nessuno gli da del fascista e del sanguinario. Se la società, che è un organismo fatto di individui, strutture ed istituzioni, si ammala e sta per soccombere a mali inesorabili, nessuno sa ricorrere a mezzi decisi e decisivi. Tutti temono d'essere tacciati da fascisti e sanguinari, si pubblicizza garantismo e assistenzialismo... e si attende la fine.

Come il nostro mare, sotto un improvviso fortunale, si increspa e trema come vibrasse di rabbia, e si solleva poi in marosi che divorano la spiaggia, la nostra palude stagnante e putrida richiederebbe una libecciata che smuova dal fondo il pattume che la inquina e lo trascini lontano. È questa necessità dì un vento sovvertitore e distruttore che mi ha fatto pensare al mio pseudonimo...

Zarathustra

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