«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 5 - 31 Agosto 1996

 

Numquam retrorsum
 

Mai indietreggiare. Per anni, chi scrive, con altri camerati, è rimasto fedele a questa massima. Nel dopoguerra, quando avevamo i pantaloncini corti; nei cosiddetti anni di piombo, quando venivamo sistematicamente emarginati e aggrediti. Nemmeno per un attimo ci è mai passato per la testa il desiderio o la volontà o peggio ancora la opportunità di mollare. Di intrupparci. Di sedersi comodamente al tavolo dei cosiddetti vincitori. Di rinnegare idee e valori per i quali ci sentivamo di combattere. Così siamo rimasti in trincea. Con le nostre certezze, le nostre sofferenze, talvolta con i nostri dubbi. Ma pur sempre in piedi, orgogliosi delle nostre scelte. Testardi e cocciuti fino alla esasperazione.

«Valoroso è il pino che non cambia colore sotto il peso della neve». Queste parole di Miro Rito ci erano impresse nella mente. Ci hanno accompagnato per decenni, con lo sguardo volto al passato, soprattutto a quella generazione che non si era arresa, ma con i piedi puntati nel presente e le mente già nel futuro. Per questo entrammo giovanissimi in un movimento che vedevamo, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni che mai abbiamo cessato di evidenziare e combattere, il depositario di alcune delle nostre certezze e delle nostre aspirazioni. In quel movimento ci siamo stati tanti anni con dedizione e con entusiasmo, ma pur sempre con tanta irrequietezza.

Fino ad essere, molto spesso, considerati eretici. Perché non accettavamo l'etichetta di destra; perché non accettavamo un certo tipo di anticomunismo viscerale e acritico; perché non accettavamo alcune spinte conservatrici e reazionarie che reputavamo in netto e stridente contrasto con gli avanzati postulati sociali che scaturivano da quel fascismo che noi desideravamo e volevamo. In quel movimento abbiamo sempre sostenuto con forza l'idea corporativa e la socializzazione. Lo Stato Nazionale del Lavoro. Per primi abbiamo parlato di ecologia, ambiente, difesa dei centri storici, musica alternativa, bioetica, nucleare, etologia.

Abbiamo insegnato a intere generazioni ad avvicinarsi alla lettura, all'impegno culturale oltre che politico.

Abbiamo costruito centri librari, aperto radio libere, inventato i Campi Hobbit. Nelle nostre federazioni e sezioni circolavano i testi di Evola, Lorenz, Spengler, Brasillach, Drieu La Rochelle, Tolkien, Mishima, Primo De Rivera, Codreanu e tanti altri ancora.

Tutto questo abbiamo fatto. Perché ci credevamo, e vi crediamo ancora.

Nel luglio del 1991 abbiamo, come ama spesso ricordare l'amico Beniamino, reciso il cordone ombelicale che ci legava a quel movimento. Lo abbiamo fatto perché ci siamo resi conto che esso aveva intrapreso un cammino in netto contrasto con il nostro, che lo avrebbe poi portato fino a Fiuggi. Partito di destra con lo sguardo rivolto al centro, filo-americano, liberista, antifascista. Non dimentichiamoci mai che una delle ragioni del nostro distacco fu la posizione assunta dall'allora MSI-DN a favore dell'intervento americano nella guerra del Golfo.

Come non dimentichiamo mai che al primo incontro in quel di Pieve di Cento, dove c'eravamo tutti, concludemmo i nostri lavori nel nome di Nicolino Bombacci che morì, lui un tempo comunista, accanto a Mussolini gridando «Viva il socialismo!». E così siamo andati avanti in questi ultimi anni stringendoci attorno a "Tabularasa" dove ognuno di noi ha espresso liberamente e criticamente il proprio pensiero. Fino a qualche tempo fa, sempre e comunque, da antagonisti. Da fascisti eretici. Non dimenticando mai Berto Ricci, Beppe Niccolai e il «fascismo immenso e rosso» di Robert Brasillach. Mantenendo, sempre e comunque, fermi quei paletti che avevamo con chiarezza definito all'indomani del già ricordato strappo.

Né a destra né a sinistra, ma oltre.

Netta opposizione all'americanismo e al liberismo imperanti e dilaganti. Difesa a oltranza di quella socialità che la RSI ci ha lasciato in eredità. Dialogo con tutti coloro che non se la sentono più di essere intruppati e irreggimentati in questo tipo di società consumistica e liberal-capitalistica, senza guardare alla tessera che fino a qualche tempo fa hanno avuto in tasca. Questo comporta oggi una drastica e inequivocabile contrapposizione ai due schieramenti di centrodestra e centrosinistra, ogni giorno sempre più omologhi fra loro e asserviti all'alta finanza nazionale e internazionale. Questo comporta altresì rifuggire da ogni tentazione moderata, non lasciarsi abbindolare e irretire da un perverso e illogico sistema elettorale, il maggioritario, che è esclusivamente funzionale alla conservazione di quel sistema che da sempre combattiamo.

Mentre altri tutto rinnegano sull'altare di interessi personali e di gruppo, noi restiamo fermi nelle nostre convinzioni. Il bagaglio culturale e sociale che ci portiamo appresso è troppo prezioso e attuale per essere cestinato come qualcuno invita a fare. Non mi si può chiedere di diventare antifascista. Non concepisco assolutamente di non essere più un fascista. Eretico, di sinistra, come assai spesso ci hanno etichettati. Ma pur sempre un fascista. Oggi più che mai.

In un mondo che si è quasi totalmente arreso alla logica liberal-capitalistica, quella che un tempo orgogliosamente definivamo la «terza via», in contrapposizione al capitalismo e al marxismo, è diventata l'unica e reale alternativa. Siamo i soli che possiamo ancora parlare di socialità e di difesa di un autentico Stato sociale. Siamo gli unici che abbiano niente da abiurare. Qualcuno, che già si è tristemente e comodamente adagiato o all'ombra dell'ulivo o sotto l'usbergo rassicurante di Fini e Berlusconi, vorrebbe convincerci che abbiamo sbagliato tutto, che bisogna adeguarsi.

No, cari Umberto, Vito e Peppe! No, cari amici ed ex-camerati! Nunquam retrorsum! Non si indietreggia, si va avanti. Oltre la mefitica palude mondialista e globalizzante dove ci ha portato un ragionamento che, se permettete, assolutamente non posso né potrò mai condividere.

Sul frontespizio della nostra rivista è da sempre riportata una bellissima frase di Beppe Niccolai: «Non è importante la vita. Importante è ciò che si fa detta vita».

A buon intenditor poche parole.

Gianni Benvenuti

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