«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 5 - 31 Agosto 1996

 

Il crepuscolo del dogma democratico
 

«Di qui la necessità non sentita da noi soli, ma da quanti in Italia sono uomini vivi, di muover l'aria, di mettere del rosso nel bigio, spander vivacità e mobilità, rompere la pseudo-fascista, anzi antifascista muraglia delle marmotte, degli impalati consenzienti, dei musi duri, dei commedianti dell'ideale. Di rosso sangue è fatta l'Italia, per tutti i Cristi cattolici e luterani; e non di rugiada»

Berto Ricci (Avvisi, Anno II, n° 1, 3 gennaio 1932 –X)

 

Ebbene, sì! È giunto il momento di vederci -redattori e lettori- per chiederci che cosa siamo, che cosa vogliamo, se ancora qualcosa rappresentiamo e se, soprattutto, abbiamo ancora la volontà di struggerci passionalmente in battaglie di princìpi. Di chiederci se quest'Italia deve essere considerata terra archeologica, decorativa, alberghiera; se è per assuefazione, longanimità o tolleranza che la nostra terra è divenuta ricettacolo di extracomunitari dediti allo spaccio della droga, allo smistamento organizzato della prostituzione, alla questua arrogante sui nostri crocevia; se è terra di pascolo per le mediocrità politiche, per i partiti dai nebulosi programmi, per le schiere di cortigiani e colonnelli.

Dobbiamo vederci per chiederci se è questa la «grande mediterranea» che abbiamo sempre sognato. Se è essa la stessa terra che ha generato un popolo missionario e pioniere di civiltà. Dovunque macerie informi, reticolati infranti, trincee in disordine o abbandonate. I filamenti delle verità eterne (l'uomo e le idee) gettati in un bagno corrosivo. Lo scetticismo che tutto pervade ha fatto crollare gli assoluti, gli a priori di cui il mondo europeo ha vissuto per millenni. È una visione di sfacelo. Il pensiero è un'illusione, la ragione è una fata morgana, la storia della filosofia è un equivoco secolare e la speculazione degli uomini deve rinchiudersi nel circolo dei fenomeni disperando per sempre della verità.

Si favoleggia di umanità epicurea, paradisiaca. Viene predicata la vigliaccheria. Tutto sta tramontando ingloriosamente, quasi fossimo destinati a vivere per gli anni avvenire d'infamia, di elemosine, di paure, a divenire servi dei servi. Nessuno ci dice che dobbiamo attraversare l'inferno, capire la sofferenza, vivere in essa se vogliamo rimuovere ciò che oggi è pacifica insofferenza. Che dobbiamo vivere di pan duro e di coraggio se vogliamo evitare di morire ingloriosamente tra i lazzi e le ingiurie dei nuovi «padroni».

Scrive bene l'amico Lorenzo Chialastri di Cave di Roma:

«Dobbiamo essere uomini coscienti di non appartenere a questo tempo. Dove il nulla sta divorando tutto, avanza nei corpi delle nostre donne anoressiche, nei loro grembi vuoti, sulle loro ginocchia, leggere, senza più peso di pargolo. Il nulla riempie i cuori, lenisce i desideri, sopisce gli istinti, corrompe gli animi. E questo nulla è tanto forte che riesce a renderci indifferenti al nulla stesso. Il nostro tempo è avanti. Siamo i testimoni dei dì che verranno, uomini perdutamente liberi».

Aspri e rabbiosi dobbiamo essere. Che cosa è tutta questa paciosità se non sconforto, sfiducia, smarrimento? Bestemmia, ingiuria, rinuncia devono diventare le nostre voci. La sofferenza inevitabilmente ci costringerà a dismettere le pantofole, ci stanerà dalle botteghe e dai mestieri, ci caccerà a forza verso quella furia che la storia insegnerà a chiamare vergogna il recente passato e l'attuale. Dobbiamo riuscire a far sì che gli umori delle genti volgano in passione.

La storia oscilla come le maree; e le maree della storia, come quelle devastanti della natura, sono distruggitrici, ma lasciano dietro di sé qualche fecondità dopo che si sono ritirate. Oltre la tempesta, forse, anche la nostra fatica avrà un valore, un significato. Se non altro di testimonianza. E ci soccorre la legge eterna del necessario, continuo ritorno. Sparizioni e riapparizioni improvvise. Ritorna la memoria, ritornano gli uomini, riaffiorano le radici. Noi dobbiamo rappresentare un elemento vivo di opposizione, difensore di una civiltà antichissima che si fa forte di tutti i suoi valori spirituali per battere quella che si vuole imporre con i «valori» economici. Questa è la nostra funzione. Perché siamo irriducibilmente antimoderni. Stiamo ritrovando la coscienza della nostra legittimità. Non vogliamo più rassegnarci alla continua umiliazione di sentirci derisi e disprezzati.

Siamo il temuto ritorno. Ed ecco la necessità che abbiamo di incontrarci, di discutere a viso aperto. Non per creare una struttura organizzativa, che essa avrebbe bisogno di pennacchi e fronzoli vari, ma per dare vita a gruppi di studio laddove esiste la possibilità. Affinchè questi gruppi (pur composti da due o tre persone) elaborino idee e proposte che possano essere dibattute su queste pagine. Non ci interessano i legami con le organizzazioni partitiche esistenti, quali che siano - anche se disposte ad ascoltarci o, addirittura, ad invitarci al loro desco. Le nostre idee non sono mercanzia, non sono in vendita, ma sono a disposizione di chi, stanco di rincorrere l'occasionale, vuoi rinvigorire le proprie radici e ritrovare la memoria. Per ritrovare sé stesso.

a.c.

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