«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 5 - 31 Agosto 1996

 

L'in... Vito
 

Mettersi in discussione; aprirsi al dialogo con animo sereno; fare autocritica; essere disponibili; quando occorra, a cambiare opinione da ogni preconcetta rigidità; ecco altrettanti, positivi, aspetti della personalità umana, che favoriscono maturazione e capacità. Purché siano al riparo da strumentalità, che alimenterebbero fondati sospetti di trasformismo. E, soprattutto, purché non si pretenda, coltivandoli, di avere improvvisamente svelato l'Arcano, conquistate verità e saggezza. Che ben lungo e faticoso è il cammino, verso queste mète. Quest'ultimo -se mi è consentito rilevarlo senza che ciò adombri sentimenti di stima ed affetto- è il rischio che si coglie nell'atteggiamento di Vito Errico il quale, da qualche mese, rivolge a redattori e lettori della rivista pressanti appelli al realismo. Avendo peraltro cura di demolire, con logica ed argomentazioni che richiamano alla mente quell'ormai famoso, e datato, articolo di F. Fukujama, ogni anelito al sogno, al mito, all'utopia, alla ribellione. Che tanto la Storia (con la maiuscola) non esiste più. Così come il Popolo, la Politica... Tutto rigorosamente dimensionato alle esigenze di marketing dell'attuale monopolio culturale. Tutto felicemente proteso verso il nulla. Verso la... fine. C'è qualcuno che può chiamarsi fuori da questo viaggio? Alzando il dito, per dare risposta affermativa, mi sembra di diventare il Pierino di turno (fortuna che non sono il solo): sì, signora maestra, io mi chiamo fuori. Colgo, infatti, in queste nostre società di fine secolo e millennio, sempre più elementi che mi rafforzano nel convincimento affatto contrario circa l'ineluttabilità di tale, ingrato, destino.

Ciò dimostra come, in definitiva, modificare il proprio «punto» di vista sia un po' come quando cambia l'umore. Quanto osserviamo è perfettamente uguale all'attimo precedente e, tuttavia, ci appare così diverso da lasciarci sconcertati: situazioni, vicende, oggetti, relazioni, affetti. Persino gli aggettivi. «Possibile» può diventare «improbabile» e viceversa. Magari con un «imponderabile», arbitro della grammaticale disfida. Del resto, ci sarebbero stati mutamenti importanti nella storia, quelle che una volta usava chiamare rivoluzioni, se ci si fosse fermati al semplice calcolo delle probabilità? La statistica è scienza assai recente, non sempre infallibile. E, tanto per restare in questo campo, sarebbe forse nata la Fisica moderna se messer Galileo si fosse fermato davanti al primo dubbio probabilistico o alle diffide dell'Inquisizione? Filosofia, politica, sociologia, letteratura, arte...: quanti esempi potremmo citare in favore delle positive virtù della ribellione all'ordine costituito, della trasgressione di regole comunemente accettate!

Torno perciò rinfrancato all'ultima lezione di Realpolitik del carissimo Vito («"Fra possibile e improbabile", Tabularasa, n° 4, Anno V) per fare qualche considerazione sulla condanna ingenerosa, e senza appello, del Sud. Di tutto il Sud. Sull'argomento, le tesi di chi scrive ricevono provvidenziale ed inatteso aiuto niente di meno che dal Presidente del Senato, Nicola Mancino, il quale, durante una conferenza stampa (30 luglio), così si lamenta: «... se non riusciremo a realizzare le riforme istituzionali in questa legislatura e in tempi brevi, la democrazia correrà dei rischi seri. Avverto nell'aria la delusione degli elettori, la voglia di un uomo forte che sale dalla gente (il «sistema» ha già forse pronta la soluzione Di Pietro? N.d.A.) ... c'è un masaniellismo demagogico (…) c'è un Mezzogiorno silenzioso ed inquieto che potrebbe esplodere da un momento all'altro ...» Verrebbe voglia di gridare: Amen! Mille volte Amen!

Ora, poiché a parlare è la seconda carica dello Stato, già ministro dell'Interno, non è pensabile che la riflessione sia stata ispirata da fantasie oniriche di mezza estate. Né che essa sia sfuggita alle attente valutazioni di apparati, servizi, organismi inquirenti.

All'erta! Tutti all'erta. Altro che Lega. Il pericolo, per adesso potenziale, viene dal Sud, dal suo «silenzio», dalla sua «inquietudine». Sa bene Mancino che gli elementi di rabbia e di tensione, in gran parte strutturali alla condizione coloniale, sono destinati ad amplificare quando, a partire dal prossimo autunno, il Governo dovrà rendere note le scelte in materia economica e finanziaria verosimilmente già decise, che strozzeranno sempre di più il Meridione. E forse, a quel punto, il nodo diventerà soffocante e qualcuno tenterà di levarselo dalla gola. No! che non è la Lega il pericolo. L'hai mai vista una rivoluzione dei ricchi? La ribellione dei «bottegai»? Questi osservano dalla finestra. Scrutano nel sangue il colore della casacca emergente. Ne indossano una. Scendono di corsa a riaprir bottega ed affari.

Oh! «Mezzogiorno silenzioso ed inquieto», non turbare i sonni del senator-poeta e dei tuoi tanti, troppi, cantori e mèntori. Stai ancora lì, scroto a tracolla, sguardo a terra e schiena curva qualche mese ancora. Dai loro il tempo di organizzare una qualche difesa, di studiare il modo... son tempi difficili questi... magari si potesse infornare qualche decina di migliaia di invalidità fasulle, qualche centinaio di posti pubblici per tener buono mezzo milione o forse più di terroni. (Il «posto» è stato volentieri utilizzato dallo Stato, nel Mezzogiorno-colonia, come la vagina delle cortigiane. A taluno la davano. A tant'altri la promettevano).

Fuor di metafora, dopo quella conferenza stampa, per quanto posso, suggerisco a chi si occupa e preoccupa del Sud in termini politici, per contribuire al suo riscatto ed alla liberazione, di controllare spesso il baule della propria autovettura ad evitare che vi «caschi» qualche etto di cocaina. Non c'è nulla di meglio della galera per ridurre i «ribelli» a più miti consigli. No! Non ci vuoi poi tanto a confezionare un dossier, un'accusa infamante. Occhio ragazzi. Occhio ragazzi! Il «Potere» non si fa scrupoli quando è a rischio la sua sopravvivenza. Il Sud è anche quello di cui si fa beffe Errico: finanzieri, carabinieri, maestrine, postini... che aspettano il ventisette. Solo che adesso c'è chi a metà mese non riesce più a fare la spesa. C'è chi era abituato a vivere di elemosine e sussidi e presto realizzerà che la pacchia è finita e non è servito a molto svendersi il corpo e l'anima. C'è degrado e miseria, caro Vito. Guarda anche più in là della Puglia di Tatarella, D'Alema, Buttiglione, Matarrese e compagnia elencando. C'è degrado e rabbia, altro che! E non è solo questione di pane, ma di qualità della vita davvero sconosciuta in gran parte delle nostre contrade.

Eppoi... chi l'ha detto che c'è solo il nostro di Sud. Ce n'è ovunque, nel mondo. E tanti ne nasceranno ancora. Questo capitalismo famelico e perverso si avvita su sé stesso. Giunto all'epilogo, che potrà durare anche molto a lungo, taglierà tutto quello che c'è da tagliare. Vedrai, Vito, che è così.

Ho letto il «manifesto» di Tony Blair. Sembra ispirato da Reagan o dalla Thatcher. Ho una mia opinione sul fatto che in Italia, in questa fase, la sinistra sia al Governo, sindacati compresi, e che la destra stia nell'anticamera. Tutti zitti e buoni. Ci saranno lacrime e sangue e c'è bisogno davvero di una grande palude nella quale chi sta bene farà una gita in barca, con al seguito spray e creme antizanzare, e chi non ha santi in paradiso affogherà. In forza di questo convincimento ho potuto contribuire alla costruzione di un movimento politico di liberazione del Meridione. Non so quanta strada farà (meglio, quanta gliene lasceranno fare). Ma fosse soltanto un pezzo di sentiero sterrato, sarà sempre meglio che passeggiare in pantofole tra salotto e cucina. Ah, se tu per primo strappassi quell'in... vito alla prudenza ed alla moderazione! Tra possibile e improbabile mettiamoci in mezzo le nostre passioni e la nostra volontà. E stiamo a vedere che succede.

Beniamino Donnici

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