«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 5 - 31 Agosto 1996

 

Un socialista alla corte di Gianfranco I?
Tutti gli errori di Pini, minuto per minuto
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All'avvio delle calure estive Massimo Pini ha rilasciato a "Il Corriere della Sera" una intervista i cui contenuti pretendono di essere una sorta di vangelo dell'ala più oltranzista e slabbrata a destra del vetero-craxismo nostrano. Per chi poco o niente sa di questo personaggio, ecco qualche velocissimo ragguaglio biografico che togliamo di peso dal suo bellissimo libro, che allietò i nostri giorni agostani dello scorso anno; un volume di oltre trecento pagine dedicate al convulso periodo che abbraccia tempi e temi della contestazione sessantottina e lo sbocco nel terrorismo brigatista della sua ala dura, militarizzata. Su quest'opera uno scrittore politico, uno storico del livello di Giorgio Galli ebbe così ad esprimersi: «Una interpretazione di ampio respiro (...) Un libro da leggere per capire meglio quanto è accaduto in un passato che l'autore ritiene definitivamente concluso».

Ma veniamo al pedigree di Pini: «Nato nel 1937. Nel 1957 ha fondato la Casa editrice SugarCo. Nel 1975-76 e dal 1980 al 1986 è stato consigliere di amministrazione della RAI. Dal 1986 è membro del comitato di presidenza dell'IRI. Fa parte dell'Assemblea nazionale del Partito socialista. Ha pubblicato due romanzi, "L'amoralista" e "Le città e le necropoli"; il pamphlet "Memorie di un lottizzatore sulla sua esperienza al vertice della RAI", e "Sessant'anni di avventure e battaglie", una biografia-intervista di Leo Valiani. Vive tra Milano e Roma».

E proprio a Roma ci è capitato di conoscerlo di persona; e, certo, chi spesso e soprattutto volentieri racconta lo scrivente come un inveterato e inverecondo settario di sinistra che ha venduto anima e penna al PDS e a Rifondazione Comunista, grandemente stupirà per ciò che ora diremo di Massimo Pini. Lo abbiamo incontrato in occasioni culturali o conviviali non più di tre o quattro volte e l'impressione che ne abbiamo ricavata è stata quella di un uomo estremamente gradevole, ossia gentile, mite, disponibile, colloquiale oltre che di non comune livello intellettuale. Lo stesso suo giudizio su Craxi, ovviamente positivo, non era privo di qualche non irrilevante riserva («è un maleducato», per esempio) così come quello su Gianfranco Fini, di cui lodava la cortesia e la cordialità caratterizzanti il rapporto con lui intrattenuto ma del quale disapprovava la scarsa o nulla propensione per la politica sociale. Era così gratificante e serena la conversazione con questo uomo colto e amicale che, scherzando ma non troppo, gli dicemmo mentre cortesemente ci accompagnava a casa in macchina: «Tu sei il Dubcek dell'autonomismo socialista, cioè del craxismo dal volto umano». Alla luce di quanto fin qui succintamente detto, l'indirizzo dell'intervista pubblicata dal "Corsera" in parte ci sorprende e in parte no. Ma procediamo a un monitoraggio della conversazione del Nostro con Goffredo Buccini.

 

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«Da un anno e mezzo sostengo che noi socialisti dobbiamo trovare un accordo con Alleanza Nazionale. Altro che PDS». Davvero stupefacente questa affermazione dell'ex-comunista Pini, proprio quando il PCI non è più il PCI e, inoltre, con la segreteria D'Alema sta facendo i conti fino in fondo con il settarismo occhettiano, con la sostanziale fuoriuscita dal socialismo proposta da Veltroni, con i famosi e famigerati «poteri forti», con la infondata formula della Quercia interpretata come reincarnazione dell'azionismo però in dimensione di massa surrettiziamente introdotta dalla precedente segreteria nell'atto di nascita del Partito Democratico della Sinistra. Proprio quando, soggiungiamo, l'on. Fini ridicolizza le più o meno brillanti «teste d'uovo» (o di altro) di origine rautiana o niccolaiana use ad elegantemente discettare in tema di destra «sociale» quale insostituibile distintivo rispetto alla componente «liberale» berlusconiana del cosiddetto Polo delle Libertà. Con l'abituale e perfino cinica franchezza che lo connota, il Giovin Signore di Via della Scrofa liquida i suoi «sociali» dicendo loro che l'unica destra da lui ritenuta valida e di effettiva attualizzabilità è quella «modernizzatrice», vale a dire quella tecnocratica, la destra delle destre, la madre perennemente incinta di tutte le destre. Sic stantibus rebus, che senso ha, caro Pini, «trovare un accordo» con Alleanza Nazionale? Sempre che, si capisce, si voglia fare seriamente della politica -e la si concepisca con spirito di servizio- e non ci si voglia limitare a dei salvataggi individuali o di gruppo. Naturalmente non abbiamo alcun elemento che ci autorizzi a sostenere una tesi tanto riduttiva e deprimente e, comunque, preferiamo pensare che la linea dell'accordo con la destra cosiddetta «modernizzatrice» sia intuita e vagheggiata in buona fede da un gruppo estremamente minoritario di socialisti che non riesce a pensare alla problematica del socialismo italiano se non in termini di revanscismo e di odio viscerale per tutto ciò che c'è a sinistra, a cominciare da un PDS di cui si è decisi ad ignorare il salto di qualità verificatosi due anni or sono con l'ingresso nella cabina di regìa di un leader determinato ad ancorarsi a valori socialisti e a portare una nota di distensione e di costruttività laddove il suo predecessore recava solo tensione e spirito di rissa. Spiace, peraltro, che oggettivamente sia lo stesso Pini a suscitare il sospetto che la sua indicazione strategica, davvero sorprendente, possa essere frutto di una situazione di emergenza scaturita dalla preoccupazione del Cavaliere di vedere ancora una volta il suo nome associato a quello di Bettino Craxi.

Dice l'autore de "L'assalto al cielo - Le avventure dell'illusione rivoluzionaria" (il bel libro di cui si è detto): «C'è stato un passaggio in massa dei socialisti anticomunisti a Forza Italia, ma poi quelli di Forza Italia si sono messi a fare gli schizzinosi. Allora io dico: AN». Orbene, perché mai Massimo Pini non decide di fare onore alla sua intelligenza, alla sua preparazione culturale, al suo livello intellettuale -tutte doti da lui possedute in grande quantità mettendosi a ragionare da socialista? E sia pure da socialista moderno, ripulito da tutte le scorie di un vecchiume contenutistico ed espressivo in cui rientra un certo modo di concepire l'antifascismo, vale a dire in chiave di eternizzazione della guerra civile, di precostituita chiusura verso «quelli di Salò» e loro successori, di rifiuto di una analisi seria e non passionalmente faziosa del triennio 1943-45 e più in generale di tutto il Ventennio littorio e della stessa figura storica di Mussolini.

Ragionare da socialista, a nostro sommesso parere, vuoi dire tenersi perennemente aderenti ad un certo numero di coordinate. Anzitutto a questa: il socialismo è naturaliter di sinistra, fa parte della Sinistra e non all'esterno di essa ma nel suo ambito regola sé stesso, regola la sua autonomia e caratterizzatissima strategia, regola, se necessario, anche i conti con coloro con i quali è giocoforza regolarli. Un socialismo che punti sull'intesa, sulla solidarietà e sul patto d'unità d'azione con la destra contro le altre formazioni della Sinistra umilia sé stesso, si nega e si rinnega, perde qualunque credibilità politica e morale, si suicida. Ma che squallore essere andati a bussare alla porta di Forza Italia -la quintessenza dell'antisocialismo, il doppio concentrato del liberismo thatcheriano-reaganiano, lo strumento di riscossa della parte più retriva della borghesia capitalistica- per quindi constatare che nessuno si degnava di andarla ad aprire. E, caro Pini, quale emozione negativa per te, immaginiamo, essere andato nella seconda metà di giugno sui Monti Cimini al pensatoio (??!!) dei Fini-boys per sentirti dire dal tuo quasi omonimo -che quanto a ruolo personale e partitico ha il coltello dalla parte del manico, anche se ad aprile l'ha maneggiato male e si è seriamente ferito- che la destra «sociale» e quella «liberale» sono due nebulose che non interessano il partito dei Fiuggiaschi. Ecco un niente affatto apprezzabile benvenuto dato all'ospite «socialista liberale» (Rosselli) e liberal-socialista (Calogero, Capitini) che dir si voglia.

 

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Massimo Pini è un socialista autonomista da quando, ilio tempore, mollò il PCI per militare nel PSI che gettava alle ortiche il frontismo paracomunista. Dunque, prima di essere un craxiano è stato un nenniano.

Vediamo, allora, come esternava Pietro Nenni sul conto degli attualmente desiati alleati dell'ex co-presidente dell'IRI nell'anno di grazia 1955 in una intervista concessa a "Paese Sera" per il numero di Capodanno: «Da noi la destra esprime soltanto istinti antisociali, di conservazione e di reazione. Tipico il caso dei fascisti che, per inserirsi nella politica reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro Capo ed a rinnegare l'unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a dire l'opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie dei paesi arrivati».

Orbene, dopo la avvilente pulcinellata del gennaio '95 in Fiuggi con l'ipocrita e alibistico giuramento «antifascista» -concepito al fine del definitivo sdoganamento in un'area di governo controllata dalle forze più conservatrici, maggiormente impegnata in una impresa in grande stile di delegittimazione ed emarginazione dei partiti popolari- i pugnalamenti al «loro Capo» si direbbe che siano ormai tre. Così come la contestazione alla primazia delle «plutocrazie dei paesi arrivati» si stempera, addolcisce e scompare nei viaggi a Washington del presidente di Alleanza Nazionale e del suo variopinto seguito o di altri gerarchi in visita di omaggio e di rassicurazione all'Imperatore d'Occidente di turno alla Casa Bianca. Non senza visite compunte in sinagoghe varie -di cui non sentono alcun bisogno coloro che razzisti e antisemiti mai sono stati- che fanno sorridere chi ricorda in che termini si esprimevano sugli ebrei i pellegrini devotissimi alla mecca «liberaldemocratica» di oltreoceano, già fierissimi denunciatori, per soprammercato, del dominio materialistico e mondialista del capitalismo americano. La clamorosa bocciatura della formula «destra sociale» da parte di Fini ancora una volta oggettivamente coonesta la diagnosi nenniana della destra portatrice di «istinti antisociali, di conservazione e di reazione». Si pensi solo alla divisata privatizzazione della sanità e delle assicurazioni se il Polo avesse vinto le elezioni! Nenni, dunque, vedeva lontano, anche se una esasperazione eccessiva del suo ovvio atteggiamento antifascista lo induceva nell'errore storico di ritenere che nella triste eredità del Littorio ci fosse da salvaguardare solo l'anti-plutocratismo occidentale. E le bonifiche pontine, la fondazione di nuove città, per esempio?

Ebbene, all'autonomista, socialista Massimo Pini questo monito dell'autorevolissimo fondatore del PSI autonomista non dice proprio nulla? E nulla dice neppure un'altra sua celebre asseverazione: «A destra non c'è niente. Non c'è neppure l'avventura». E ancora una volta i fatti si sono incaricati di dare ragione al grande leader socialista, tanto vero che la vita di quel governo da operetta messo insieme da Berlusconi dopo l'effimero successo del 1994 favorito dalle castronerie di Achille Occhetto non ebbe neppure il tempo di essere un'avventura. Mediti bene su tutto ciò l'amico (se possiamo permetterci questo appellativo) Massimo Pini. E magari, diciamo ciò molto seriamente, induca lo stesso Gianfranco Fini a impegnarsi in analoga meditazione.

"Il Corriere detta Sera", nel tentare una più o meno attendibile mappa ragionata della diaspora socialista, colloca Massimo Pini nel ruolo di supremo esponente di non meglio identificati «socialisti tricolori». Il tema del socialismo nazionale non è per noi assoluta novità. Se ci è consentito citarci, vogliamo ricordare un nostro saggio del 1981 dal titolo: "Scipio Sighele, un giobertiano fra democrazia nazionale e fascismo tricolore", che ebbe qualche eco e parve interessare, stando a una intervista concessa al settimanale "Gente", nientepopodimeno Vittorio Emanuele IV il quale, con nostra somma sorpresa, si compiacque interpretarla come una sorta di carta ideologica per la lettura in chiave socialista di una eventuale restaurazione monarchica. A vero dire, l'essere stati elevati al compromettente rango di «fornitori della Real Casa» non ci turbò né punto né poco, ragion per cui ci affrettammo a far giungere tempestivamente a Sua Altezza i sensi della nostra gratitudine per l'onore fattoci e al contempo cominciando a gestire l'inopinato ruolo di profeti di un socialismo caratterizzato da un rosso particolarmente intenso nell'ambito del tricolore risorgimentale. Una ria sorte, tuttavia, ci rese edotti che era difficile togliere dalla testa della gente, soprattutto di quella con cui il nostro Pini ambirebbe allearsi, l'idea che il socialismo fregiato con i bei colori dell'Italia dovesse in realtà configurarsi con un non socialismo e, addirittura, come un vero e proprio antisocialismo. Ci impegnammo a tuttuomo per spiegare all'inclita guarnigione della Fiamma che il papa dei socialisti tricolori sia del Risorgimento che della fase post-unitaria, lungi dall'essere un borghesotto reazionario discendeva sì da magnanimi lombi ma era un rivoluzionario della più bell'acqua, non senza alcune esagerazioni estremistiche come la tesi che Trono, Altare e Proprietà Privata venivano in evidenza quali elementi impedienti della grandezza della Patria. Ciò a tacer d'altro e d'altri. E l'amico Pini è troppo intelligente per non rendersi conto che i veri «socialisti tricolori» ben difficilmente sono allogabili nell'area dove il Giovin Signore di Via della Scrofa comanda a bacchetta.

Il quale Pini, peraltro, è un ben strano craxiano. È erroneo, infatti, sostenere che il PDS, a parte il sempiterno digrignar di denti dell'Occhetto, fu il solo e unico e massimo nemico del Garofano bettiniano. Più di Botteghe Oscure, infatti, sparò contro il PSI il Movimento Sociale Italiano in versione almirantiana-finiana, fra l'altro negando, anche in polemica con il sottoscritto, che il socialismo era da respingere proprio perché, secondo questi ignoranti o mentitori che fossero, incompatibile con il Tricolore. Non questa o quella edizione o targa del socialismo, ma il socialismo come tale. La loro sfacciataggine, in quantità industriale allora come oggi, giunse al punto che un loro esponente, l'on. Mirko Tremaglia, allorché Craxi in uno dei suoi momenti migliori affrontò con la vicenda di Sigonella l'arroganza degli americani nei confronti dell'Italia e sul territorio italiano, uscendone nel migliore dei modi e come socialista e come italiano, si schierò pubblicamente dalla parte degli statunitensi e ufficializzando la sua solidarietà con la repubblica stellata mediante un indirizzo rivolto all'ambasciatore di Reagan.

Non parliamo poi delle minchiate antirisorgimentali del "Secolo d'Italia" -attualmente organo del fascismo denicotinizzato-, la cui redazione era diventata ricetto di tutti i nostalgici del revanscismo elenco-reazionario e delle monarchie preunitarie, dei malinconici oppugnatori della civiltà moderna in nome di quello che definivano con tanto di maiuscola l'Antirisorgimento. E nel quotidiano della destra cosiddetta «nazionale» trovavano ospitalità i più virulenti attacchi a Garibaldi (la grande passione di Bettino Craxi), le più lutulenti ingiurie a Mazzini, la squalifica delegittimante dell'impresa dei Mille, l'apologia delle fasi più regressive del Regno delle Due Sicilie e relativa dinastia dei Borboni.

È insieme con costoro che Pini vuoi fare comunella contro il comunismo (putativo e indimostrabile) della Quercia? È con Tremaglia, l'amico di Di Pietro, che Massimo vuoi fare la lotta contro il Pool milanese di "Mani Pulite" (una battaglia che, sia chiaro, a noi non interessa affatto)? Non scherziamo!

Comunque, continueremo nel prossimo numero, Direttore permettendo, l'analisi delle (errate) posizioni dello spericolato esponente socialista.

Enrico Landolfi

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