«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 5 - 31 Agosto 1996

 

all'Auditorio delle Civiltà sull'Oceano del Futuro

Disarcionati gli apostati dalla nemesi per le crisi
 

Chi davvero è auspice di un innesto concreto delle conquiste delle Civiltà per lo svolgimento costruttivo della Storia nello sviluppo del futuro dell'Umanità, come quello che esigerà il nuovo Millennio ormai alle porte e per riuscire ad essere «consonorizzato» nell'intensità della «symphonia» ellenica della Cultura, alla chiarezza dell'«ecquum examen» latino per la tutela di ogni cittadino nell'ambito del Diritto ed alla fondamentale «facultas» di eccellente promozione di produttività e di redditi nel Lavoro per equiparare la coscienza delle categorie operative al fulcro sigillante qualsiasi manufatto all'ottima qualità di fabbricazione, non può omettere di dovere valutare adesso l'occorrenza inderogabile d'una metamorfosi di autentica, più sana prerogativa politica per la realizzazione in campo mondiale di Stati-Nazione caratterizzanti le istituzioni più adeguate al rispetto delle libertà ideologiche, religiose e civili nel quadro di crescita rapida delle disparate tecnologie sempre più incalzanti in ogni settore di attività. Mentre, il perfezionamento di rapporti di convivenza e di collaborazione tra le razze e tra i popoli, non può restare egemonizzato e condizionato dal monopolio sulle economie e su qualsiasi fonte di energie da parte della plutocrazia, dall'assoggettamento ad essa dell'intera partitocrazia oggigiorno esistente e dei loro sindacati di regime, tanto più che l'emotività di carattere veramente neurologico da ciò conseguente -in ogni sfera d'azione- riesce a provocare sempre più frequenti «sindromi» di anarchia sociale. Soltanto la coerenza nel potenziamento della Cultura, al reale perfezionamento etico di ogni struttura delle Civiltà esistenti ed all'assolvimento responsabile del Dovere può garantire a tutte le genti della Terra l'accrescimento del Diritto mediante quell'armonia di Legislationem che il gallo Rutilio Namaziano così elogiava per l'Urbe all'epoca in cui l'Impero dei Cesari era prossimo alla decadenza: «Alle nazioni diverse hai dato una sola patria; / ai popoli senza legge fu gran ventura essere soggiogati da te / offrendo ai vinti la parità coi tuoi diritti / hai fatto una città di ciò che, fino ad allora, era il mondo».

 

La maestà del Popolo

Infatti, non si può dimenticare -come specifica Pierre Grimal nella sua opera "La civiltà romana" del 1961- che «la maggior parte degli Stati moderni, per lo meno quelli che, in modo diretto od indiretto, hanno subito l'influenza del pensiero dei filosofi del Settecento europeo, sono fortemente debitori di Roma», perché sino dal tempo della Repubblica durata nell'urbs dal 509 a.C. al principato di Augusto la «lex de maiestate Populi Romani» distingue una peculiarità di natura morale sempre confermata dai fatti attraverso decine di secoli e che il compositore Giacomo Puccini esaltò nel suo "Inno" alla culla di Romolo e dei Cesari quando magnifica «Salve, Dea Roma! / Ti sfavilla in fronte / il sol che nasce sulla nuova storia; / fulgida in arme all'ultimo orizzonte / sta la Vittoria». Non è il caso di tornare a specificare le ragioni politiche per le quali gli «antifascisti» del 1945 e quelli più rinnegati che all'assemblea di Fiuggi nel primo 1994 allestirono il carrettone demagogico di AN ricusarono l'impegno morale di fedeltà all'etica della Storia rappresentato dal carme del realizzatore di opere quali la Boheme e Butterfly, ma lo rammentiamo per sottolineare soltanto come tutti costoro sono e rimarranno sempre refrattari a qualsiasi prospettiva di maggiore evoluzione della Civiltà, perché riflettono unicamente le negatività del passato.

È ineccepibile che la Civiltà romana rifulse non solo per il suo eccezionale contributo all'affermazione del Diritto nell'ampliamento della figura rappresentativa del cittadino nell'esercizio delle sue funzioni, ma lo fece anche nei settori di comunicazioni stradali e postali, dell'utilizzo di acque delle valli e del mare, confermando di non essere indifferente alle strategie di perfezionamenti che dalla remota cultura dei fiumi sta adesso penetrando in quella dell'energia nucleare per uso civile. Quei trafficanti di «disciplina politica» che respingono la Storia (Aristotele docet!) non sono capaci neppure di abbozzare almeno un po' di falsariga di una conclusione decente per l'Italia del XX secolo in materia di perfezionamento delle Istituzioni, di programmazione effettiva nell'ambito politico-sociale, di risanamento nelle iniziative finanziarie ed economiche per la salvaguardia della produzione e dei redditi in campo nazionale, della CEE ed anche mondiale, mentre il sopraggiungere del Terzo Millennio -con l'esigenza urgente dell'ONU di concretizzare per l'Umanità intera un piano reale di sopravvivenza- chiede impellentemente Uomini idonei ad edificare il Futuro.

 

Una vergogna che dura…

Appare lontano il tempo in cui Cicerone attribuiva a Romolo la perspicacia di avere fondato l'Urbe dove il Tevere, oltre a svolgere il ruolo di Pater Tiberinus (la divinità fluviale più influente sul Lazio antico) produceva la forza d'inondazioni per la salvaguardia della Città Eterna dall'attacco di nemici d'ogni epoca, faceva anche da «polmone marino» tra Ostia, Roma e l'Etruria. Invece, è recente, quanto la fase tormentosa del Medio Evo con le tre fasi dell'Umanesimo, che non riuscirono a fornire allo splendore del Rinascimento la necessaria influenza politica tale da renderlo adeguato ad una realizzazione più anticipata della Nazione italica. Nella prima fase, Petrarca cercava nella Storia solo consolazione mediante opere memorabili per gli insegnamenti morali e Boccaccio si esibiva con intonazione più mondana e meglio aneddotica, ma entrambi non raccolsero l'invito di Dante ad uno schizzo di volontà nazionale; nella seconda fase, neppure L. Bruni con la "Storia del popolo fiorentino", G. Simonetta con le memorie milanesi sul rovesciamento di Visconti per opera degli Sforza, M. Goccio (detto Sabellico) con le cronache di Venezia, B. de' Sacchi (Platina) con quelle dei papi e L. Valla (Napoli) con la "Vita degli Aragona" andarono più in là del modo di scrivere dei classici; nella terza fase, N. Machiavelli —-segretario della Repubblica fiorentina sorta con la rivoluzione del 1494- non considerò la fisionomia economica e sociale del suo Stato toscano e su "II principe" traccia in sintesi «in che modo si debbino governare le città o principati li quali, inanzi fussino occupati, si vivevano con le loro legge» lasciando a F. Guicciardini il compito di quella "Storia d'Italia" che diventa analisi, spiegazione ed anche scuola di pensiero politico (G. Lefebvre, "La storiografia moderna", 1973) ma indugia sulla funzione successiva del Risorgimento. Sulle ombre di quel tempo, sulla latitanza nella coscienza degli abitanti della nostra Penisola dal richiamo all'Unità nazionale tra la stesura della Comedia dantesca e la concessione del «censo» per essere ammessi all'elezione del primo Parlamento subalpino (1848), l'«orso di biblioteca» Giosué Carducci specificò nella poesia "Agli amici della valle Tiberina" il suo sdegno contro la vigliaccheria e la corruzione affioranti in molti esponenti politici del Risorgimento italiano.

Infatti, nel dialogo con le bionde acque del Tevere sgorganti dai monti tosco-romagnoli, il cantore di "Giambi ed Epodi" così viene a narrare: «Volgon, fiume d'Italia, ormai tropp'anni / che la vergogna dura: or via, non più. / Ecco, un grido io ti do -Morte a' tiranni-; / portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu. / Portal con suono ch'ogni suon confonda [...]» per concludere poi «da la faccia de' suoi rei figli codardi / ne le tombe de' padri io fuggirò. / Con l'arti vo' che cielo o inferno insegna / da questi monti il foco isprigionar, / e fiamme in vece d'acqua a Roma indegna, / al Campidoglio vile io va' mandar».

 

Culto di Patria

In precedenza al conversare politico di Carducci col Pater Tiberinus però, nel XVIII secolo -da Parigi- trattando le questioni sulle conquiste dei Romani e sulle cause della loro decadenza, Voltaire affermò con il "Saggio sui costumi" che «un popolo diventa facilmente conquistatore o conquistato: tutto dipende dalla bontà dei suoi costumi», trascurando o preferendo ignorare quanto esaltato da un suo remoto connazionale, quel R. Namaziano che aveva indicato l'Urbe latina (specie nel Diritto) l'autentica Patria del mondo. In questo, l'acutezza critica del filosofo autore di "Candido e di Zaire" si allinea alla logica europea di quell'epoca, in quanto Goethe -pochi anni dopo- dopo avere ammirato il Colosseo nella sua realtà e nella bellezza di colori realizzata da P. Hackert nel dipingere l'anfiteatro Flavio sottolineò che «quando si è visto questo monumento, tutto il resto sembra meschino», perché entrambi (come lasciò intendere anche il cancelliere austriaco K. W. L. Metternich al congresso post-napoleonico di Vienna nel 1815) vedevano nell'Italia e nella capitale dello Stato pontificio soltanto una terra frantumata in regni con il territorio ristretto a qualche regione, in granducati e in qualche altra signoria che politicamente faticavano a superare come potenza l'«espressione geografica» alla quale il cantore della dolce terra di Bolgherì ridiede vigore di Stato e di Patria con la sua ode al filosofo e patriota genovese creatore della Giovine Italia, precisando da autentico Italiano che «per noi, la fede della religione si chiama Dante; la fede dell'avventura si chiama Colombo; la fede dell'arte si chiama Michelangelo Buonarroti; la fede della scienza si chiama Galileo Galilei; la fede della politica si chiama Mazzini».

È una dichiarazione di coscienza patriottica che può avere oggigiorno il proprio collegamento storico e la sua continuazione politica attraverso una chiara conclusione del Risorgimento con la redenzione di Trento e Trieste nel 1918; il Natale di Sangue di D'Annunzio e dei suoi legionari a Fiume nel 1919 con l'enunciazione della Carta del Quarnaro capace di fare sentire al Poeta, ai soldati in grigio-verde ed alle genti dalmate (più dell'Alcyone) «tutto il sangue diventato un fiume lirico inesauribile» per una maggiore socialità; la trasformazione del programma di S. Sepolcro nella proclamazione il 21 Aprile 1927 della Carta del Lavoro mediante la creazione in Italia dello Stato corporativo e della sua organizzazione; la realizzazione della Quarta Sponda italica nel Mediterraneo e l'istituzione dell'Impero nell'Africa orientale; infine, la programmazione dello Stato Nazionale del Lavoro con il decreto legge sulla Socializzazione delle imprese nel 1944, idonei a concretizzare quella Civiltà delle competenze e di equilibrio sociale senza la quale il futuro operativo del Tremila continuerà a soffrire e pagare le conseguenze fallimentari della conflittualità insanabile tra la plutocrazia e il neomarxismo.

 

«Symphonia» di pensiero

Si rispetterà in modo giusto lo sviluppo del «culto di Patria» (ossia, la convergenza di genti nell'armonia di interessi, l'analogia di volontà etica con affinità di percorsi evolutivi) come venne invocato dall'Alighieri, da Mazzini e Carducci nello svolgimento della Storia italiana e nella maniera adempiuta dalla crescita della Civiltà ellenica allorché, nell'approntare la realtà del futuro, si raggiungerà quell'omogeneità di volontà e d'impegno che caratterizzarono la «Symphonia» di equilibrio distinguente la «polies» (città-stato) in Attica con Atene, nella Laconia con Sparta, in Focide con Delfi, nel Peloponneso con Olimpia ecc. le quali seppero con tenacia proteggersi dal rischio di qualsiasi «Diaphonia», cioè la dissonanza di propositi tra i cittadini in caso d'inosservanza dell'«Isegoria» (diritto dell'eguaglianza di parola per ognuno di fronte a qualsiasi tribunale e nelle assemblee popolari), mediante il fulcro di perfezionamento del pensiero indispensabile in qualsiasi tempo e in ogni società. È opportuno particolareggiare come prese slancio nella «polies» di Atene e in altre città-stato elleniche la «Democrazia» che venne applicata dal legislatore Pericle, ma soltanto dopo una maturazione alla responsabilità dei cittadini attraverso la personificazione della «Sapienza popolare ellenica» raffinata nei dettagli dai Sette Savi che Fiatone indica nell'opera Protagora (il matematico Talete, l'aristocratico Pittaco, il legislatore Biante, l'arconte Solone, il politico Cleobulo, il sapiente Misone, l'eforo Chileno) ma da nessuno biasimata, nonostante i frequenti confronti di stile e di tesi.

Anzi, furono quei Sette Savi che, a parere di tale cultore delle Muse, impostarono la sentenza «Conosci te stesso» (Nasce te ipsum) ritenuta la più importante per significato indicativo dei valori di qualsiasi persona e fatta poi scolpire con caratteri d'oro sul frontone del tempio di Delfo consacrato ad Apollo, giudizio che venne inserito come base della filosofia socratica.

Emerge da tale massima uno stile di vita che consentirà alcuni millenni più tardi ad Heinrich Schliemann e ad altri esperti di archeologia -seguendo le indicazioni di Omero su "L'Iliade" e di Pausania nell'opera "Feriegesi della Grecia"- di scoprire l'antica realtà di Troia, Micene e Tirinto riportando alla luce nel XIX secolo il «tesoro di Priamo», le tombe di Agamennone e dei suoi parenti con ori e gioielli, l'avamposto più antico della Civiltà europea verso l'Asia Minore. Ecco il viadotto tra passato, presente e futuro!

 

È tornato Kerenskij?

Dalla sintesi logica conseguente all'evolversi della Storia con l'equilibrio di decisione (cequum examen) nel Diritto e con l'armonia del pensiero (symphonia) nella Cultura si deduce che è ottenibile nel Terzo Millennio una migliore stabilità di ordine sociale attraverso l'effettivo miglioramento dello Stato-Nazione e delle sue strutture, il quale per l'Italia deve verificarsi con l'adeguata rivalutazione delle sue funzioni nell'ambito geografico, politico, commerciale e di comunicazione che possiede nel cuore del bacino mediterraneo, come punto d'incontro tra l'Europa, l'Africa, l'Asia e tra le loro Civiltà. «Porta itinerari longissima» (il passo più difficile è quello dell'inizio) precisò nel I secolo a.C. l'erudito latino P. T. Vairone nell'opera "De Rustica" (I. 2.2.) quando sua moglie Fundania cominciò l'amministrazione di un podere agricolo e di tale sentenza si ha piena consapevolezza constatando che la faticosa trasformazione della Costituzione della prima Repubblica, senza intaccare i suoi princìpi fondamentali di diritto, di libertà e di democrazia, in un ordinamento più funzionale e più attinente alle mansioni dell'Italia nell'ambito della CEE e di Stato più contemporaneo possibile in fatto di avanzamento sociale, è parecchio ritardata e lenta, mentre l'azione politica intrapresa dalla nuova maggioranza dell'Ulivo nel Parlamento con l'inizio della XIII Legislatura ha caratteristiche ben poco dissimili da quelle usate in precedenza dal Polo delle libertà, tanto che la sua programmazione incerta e dialettica esprime un conservatorismo reazionario talmente «imborghesizzato» capace di mandare in bestia i «compagni» Lenin, Trotskij, Stalin ed anche i «moderati» (i centro-sinistri» della Duma uguali ai «fratelli» del PPI corrente) di A. F. Kerenskij, quando con prospettive analoghe provocò la Rivoluzione d'Ottobre (1917) consegnando la patria dello zar Pietro il Grande al Bolscevismo, di cui sia Rifondazione comunista quanto il PDS sono i continuatori diretti, anche se preferiscono definirsi post-marxisti, post-stalinisti e, per dispiacere nessuno, persino post-tutto. È palese che sia il Polo delle libertà quanto l'Ulivo sono l'espressione d'una partitocrazia per uno scenario da tragedia greca, non di certo per l'autentico futuro della Nazione italica.

 

Alle speranze del futuro

Senza stimare le conquiste del passato, non si realizza il futuro! Ciò illumina il "Prometeo" di Eschilo per la gloria dell'avvenire, quest'altezza di conquista della propria Civiltà viene elogiata da F. Nietzsche con "La nascita della tragedia" per esaltare la volontà di coscienza indispensabile a realizzare il domani positivo.

Quando per le recenti «votazioni politiche» del 21 aprile, il Polo di centro-destra, con la sua illusione di presidenzialismo di circostanza, di sistema bicamerale perfetto e di federalismo sussidiario, e l'Ulivo di centro-sinistra, con il proprio contorcimento sul «primo ministro» architettato per gli elettori ma scelto dal Parlamento, con un confederalismo di solidarietà alle Camere, altrove ecc., hanno illuso molti cittadini su una loro presunta buona volontà di rinnovamento dello Stato senza mai accennare ai valori della Nazione) in realtà sono stati gli autori di un anchilosante ritardo per l'Italia nel potenziamento delle sue istituzioni democratiche, civili e di sviluppo, perché agli entrambi schieramenti importa ben poco del futuro della Patria, ma interessano invece -e parecchio!- la gestione del potere e la continuazione inconcludente della prima Repubblica.

E una dialettica nichilista di polemiche parolaie che le parti contendenti, alle quali rimangono molto attaccate la Lega Nord ed altre organizzazioni similari, utilizzano per ignorare le autentiche esigenze popolari da proiettare nel Terzo Millennio per il maggiore perfezionamento della Carta del Lavoro (1927), la gestione socializzata delle imprese (1944) e l'utilizzo delle parti salienti del progetto di Costituzione della Repubblica Sociale predisposte dal ministro Carlo Alberto Biggini (L. Garibaldi, "Mussolini e il Professore", 1983) per sconfiggere la bramosia reazionaria dell'attuale partitocrazia di qualsiasi versione. Di recente, nell'indicare le proprie perplessità sulle possibilità italiane di sviluppo nel futuro, un lettore -volontario della RSI, fautore della rinascita nazionale, sognatore dell'equilibrio produttivo- enfatizzava l'idea di un'anarchia etica per la società post-industriale, perché nella storia di sacrifici affrontati dai movimenti libertari nel mondo (D. Tarizzo, "L'Anarchia", 1976) c'è quell'Utopia di solidarietà che il Socialismo trasformò in una «Canto del Cigno» per i lavoratori e che il Fascismo repubblicano ha invece plasmato in un progetto mondiale di Socializzazione per ogni ambiente di produzione. Quel progetto di Civiltà oggi rappresenta per le genti di buona volontà la migliore speranza di progresso nel prossimo futuro.

Bruno De Padova

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