«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 5 - 31 Agosto 1996

 

l'ultima

Il cimitero è la Patria
 

Il paese di Cuore era sopra un picco arduo ripido tra fiancate di monti. Il corso di un fiume sul cui greto tumultuava uno scoscendimento di blocchi rotolati dalle piene, guidava a' pie' del paese.

Dalla strada maestra se ne scorgeva il dilungare tra le chiostre per le frappe dei pioppi che vegetavano sui cigli. Il Tarmilo s'orientò a quella scia d'oro. Sotto le fratte che calano a picco sulla via e la costringono sul baratro sonante, il Tarmilo ebbe l'illusione d'entrare nel paese delle chimere.

Gli uomini rudi della montagna, i cavatori che roncano sulle lecchie, quegli uomini dai piedi impietrali che scoscendono sul precipitar dei ravaneti, che in tulle le membra hanno la pesantezza del marmo statuario, coi volti scheggiati, la fronte scabra come una rupe, gli occhi duri come selci di fiume, i baffi arsili come i vilucchi che si abbarbicano alle rocce e le ciglia aperte come aquilotto che si levi, stupirono il viandante.

Le strade erano martellale dai passi cadenzali di questo esercito silenzioso che assaliva la montagna. Rupi nere, cuspidi arcigne di cattedrali misteriose al cui vertice nereggiavano delle croci sghimbescie, s'alzavano contro montagne ciclopiche squartate, dalle cui viscere precipitava una sassaia col rombo del cataclisma. In quelle fiancate lapidee gli uomini s'annientavano come talpe tra scheggioni fenduti. Pendevano a grappoli accappiati a un canapo e davano a una palamina piedi e voce d'acciaio. Uomini e bovi, infrescati d'ombre orride avvallavano, i bifolchi tragittavano pungoli percotendo le bestie, i muggiti s'ingigantivano nelle chiostre. Alcuno, seduto come un patriarca nel vano delle corna, parlava di una gran Nova. Un mondo sepolto si disvelava di nuovo alla luce; sui dirupi immani crateri lanciavano al cielo blocchi come lapilli di vulcano.

Sulle fiancate precipiti s'aprivano spelonche che eruttavano gelo e nuvole: i paesi sparivano nell'immensità.

Cuore scassava la terra col marrello sulla porca davanti la sua spelonca. Impastato di terra, scolante sudore, parve una statua di creta. Scorgendo il Tarmilo non trovò stupore veruno e continuò l'opra dicendo soltanto: — Sei qua!

Svelse malerbe, ricolse sarmenti sulle calocchie, le legò con i salci. Oprando parlava: — Che vento li spinge? Non hai verbo? Non sei ancora partito? E pur le lo dissi che l'acqua ferma imputridisce! Il Tarmilo guardava estatico Cuore. Quand'Egli ebbe rassettato il luogo si volse al Tarmilo e disse:

— Entra!

Nella spelonca c'era un forno scavato nella roccia, un tavolo, un letto di brenti, un libro e uno schioppo. Cuore disse: — Venti d'isola, otto di prigione, cinque di Patagonia [...] S'inerpicarono su per picchi scoscesi nudi. Sopra pagine di monte lavate dalla pioggia erano scolpiti i segni dei romani del tempo che s'erano accampali in quelle grotte. Erano i luoghi dove fu inalberato il 1873 il vessillo della rivolta. Sopra un cippo colossale, erano state scritte parole che né il vento né la pioggia cancellavano.

 

IN QUESTO GREMBO DI ALPE

IN CUI ROMA CONCEDEVA

ALLO SCHIAVO PORTATOR DI COLONNE

L'UMILE STIPE DEL COLLEGIO

PER LA LIBERTÀ DELLA MORTE

UN FUGGITIVO DELLA SAPIENZA E DELLA RICCHEZZA

CARLO CAFIERO

TRA QUESTA LIBERA PLEBE OPEROSA

TENTÒ PRIMO D'INTEGRAR L'IDEA DI UN PIÙ CIVILE MONDO

DI SUBLIME UGUAGLIANZA

IN CUI

OGNI UOMO FOSSE A SÉ STESSO RE E DIO

 

Dal precipizio si dominava una selvetta di cipressi recinti da un muro e un praticello verde sbiancato di tombe.

— Ecco la Patria — disse Cuore accennando l'estremo riposo.

 

Lorenzo Viani

"Ritorno alla Patria", Vallecchi Editore, Firenze, 1929

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