«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 6 - 15 Ottobre 1996

 

Il crepuscolo del dogma democratico
 

«La democrazia è il più grande pericolo sociale per tutte le classi, e specialmente per quelle povere»
George Sorel

 

Questa democrazia, si intende. Da noi ha avuto un'instaurazione precipitosa, senza essere elaborata da un travaglio filosofico e sociale. Non introdotta nelle leggi e negli ordinamenti come risultato di profonde lacerazioni negli strati delle coscienze, ma imposta con le armi. Non un processo irresistibile d'una coscienza popolare indirizzata a questo termine fatale. Non un prodotto spontaneo, una germinazione schietta montante dagli arcani filoni della nostra terra.

Così ci siamo trovati –impreparati- a subire l'imposizione di una sorta di culto popolare; un dogma sul quale non è permesso palesare dubbi, anzi, ogni sia pur minima critica mossa ai modi con cui essa democrazia è concepita ed attuata, viene considerata alla stregua di una pericolosa eresia. Perciò, si da corso all'assimilazione forzata di strutture e sistemi nonché alle graduali e lente riforme disgregatrici che hanno il fine di trasformare i partiti in fragili obsolete inutili impalcature. Per poter mettere in essere quelle nuove «istituzioni» che troveranno presidio in dittature larvate, sostenute da esigue maggioranze, personificate da interessi particolari o di gruppi o di ristrette associazioni elitarie.

Operando poi una serie di transazioni e compromessi, si giunge ad attuare definitivamente il diretto e responsabile coinvolgimento di ciò che rimane dei vertici di quei partiti nei cui programmi, ieri, erano codificati gli ideali che si prefiggevano l'abbattimento dello Stato. Di ogni forma di Stato.

Oggi, gli uomini provenienti dalla Sinistra e dall'Estrema Sinistra, siedono sui banchi del governo con l'incarico di liquidare la solenne dottrina che avevano per anni sbandierato. Mediano nelle istituzioni, si atteggiano a garanti nei confronti delle masse ma, nel contempo, esercitano una vera e propria dittatura simulandola come democrazia rappresentativa. E si confondono con quelli che dicevano di professare ideali di Destra. Gli uni e gli altri, rinnegando la propria estrazione ideologica, ci fanno assistere, anche in politica, al «moderno» fenomeno della transessualità. E siamo giunti al punto che ognuno di loro si senta autorizzato a pensare che «lo stato è lui» e, a conseguenza della indifferenziazione (anche antropologica) tra di essi, non riescono più a distinguere neppure le diversità che, in uno stato veramente democratico, marcano profondamente e lo Stato e il Governo. Credono che Stato forte debba significare una obbligata convivenza di uomini; che questa convivenza debba essere basata, necessariamente, sull'abuso e la violenza. Questa è la loro «politica forte». E ne fanno un presupposto essenziale alla vitalità del loro «nuovo» sistema. Saranno i più deboli, coloro che non hanno più rappresentanza politica e sindacale a pagare. Lorsignori, gli «eletti», potranno anche ridursi lo stipendio del dieci per cento, ma continueremo a vederli raffigurati sui settimanali con il codazzo di baldracche ingioiellate. Il frutto delle loro transazioni.

Chissà se mai un giorno, questo grumo informe di imbecilli che talvolta, quando con la memoria andiamo al suo passato definiamo popolo, riuscirà mai a capire -ed insegnare ai suoi «eletti»- che prima dello Stato c'è la Nazione; un'entità di natura spirituale e morale la quale, di per sé stessa, si propone ogni giorno il problema dei fini. Che la Nazione, essendo appunto entità spirituale, è una entità di opinione. Che delega i suoi poteri, per ovvie necessità di governo e di amministrazione, ad un numero rilevante di istituti e di individui, ma si riserva sempre un rigoroso continuo controllo.

Quel giorno si attuerà la democrazia. Quando il demos sarà riuscito a rendersi arbitro assoluto (kyrios) di tutta l'attività della polis, controllando ogni settore dell'amministrazione.

a.c.

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